Al contrario che per l'età repubblicana, per
l'epoca imperiale la tradizione manoscritta ha conservato, soprattutto
per il tardo impero, splendide fonti giuridiche.
Esiste, dunque, una forte disomogeneità quantitativa soprattutto per
quanto riguarda la documentazione delle due fasi della storia
romana: per il periodo imperiale esistono, infatti, ricche raccolte di
sentenze, di giurisprudenza, di regolamenti e catasti, che, invece, sono
molto scarne per l'epoca repubblicana.
Ciononostante la storia del trapasso dalle istituzioni repubblicane a
quelle del principato non è per niente una storia arcana o segreta, ma,
semplicemente, una storia difficile da scrivere, perché va innanzitutto
scritto che non si trattò di una rottura ma di un trapasso e cioè di
trasformazione nella continuità; le istituzioni politiche essenziali e
tradizionali della repubblica si mantennero anche nel principato e
perdurarono, formalmente, persino nel basso impero, pur navigando tra le
aspirazioni teocratiche dei vari domini di quest'ultima epoca
e in mezzo a notevoli cambiamenti sociali ed economici e
nell'immaginario collettivo.
Una rivoluzione nella conservazione e un
tradizionalismo istituzionale permeano, dunque, tutta la storia
dell'impero, la sua ideologia e la sua propaganda, anche in momenti di
apparente crisi rivoluzionaria, anche nelle vicende della dittatura di
Cesare o dei primi tentativi assolutistici di Ottaviano Augusto,
includendo la svolta costantiniana.
Dunque, in parte, le fonti più tarde, le fonti imperiali possono valere
e funzionare per comprendere le istituzioni precedenti. Questo è il
segreto, il mistero politico del mondo romano: una continuità nella
trasformazione che a noi sfugge e pare inimitabile e inavvicinabile,
anche se in parte si è riprodotta nella storia moderna inglese.
Questo è anche il segreto di una instabilità cronica dello stato romano,
poiché a una costituzione materiale non corrisponde affatto un'adeguata
costituzione formale dello stato, una precisa e chiara definizione del
potere del princeps e poi del dominus. Ci è
impossibile definirlo, come per il suo omologo persiano, un monarca nel
senso pieno del termine.
L'idea monarchica sembra essere sfuggita alla storia dell'impero romano:
una sorta di pudore che neppure le teorizzazioni di Aureliano e
Diocleziano riusciranno a vincere definitivamente.
Dunque l'impero romano sarà un impero senza imperatore e una specie di
repubblica retta sotto forma imperiale.
E' ancora maggiormente ovvio che uno studio
scientifico sulla storia romana, ancora di più quella bizantina, è per
me al di fuori portata.
Qui si tratta di un racconto costruito al di fuori delle fonti e le
fonti parlano attraverso la bibliografia consultata.
Un ultimo aspetto mi preme sottolineare cioè che gran parte di questi
'appunti in forma strutturata' è prodotto di una volontà di analizzare
il presente attraverso il passato, che è, comunque, cosa ben diversa dal
'modernizzarlo', ovverosia dargli forme moderne. In effetti il mondo di
Roma imperiale, soprattutto il tardo mondo, quello che viene definito, a
seconda delle prospettive di lettura, tardo – antico o basso impero, mi
ha affascinato per le incredibili anticipazioni che introduceva, tanto
nella forma – stato, quanto nella forma sociale. Nella storiografia più
accreditata e 'testata', questa anticipazione si limita al medioevo,
nella forma di una localizzazione dell'economia e delle risorse
militari, nella genesi della controversa ed embrionale idea di nationes
e nel declino del concetto giuridico di proprietà privata, proprietà
prediale, vincolata, in molteplici aspetti e maniere, al corpo del
tenutario e ai corpi dei lavoratori (vulgo fenomeno detto gleba)
e al consenso del sovrano.
Tutti elementi, questi, indiscutibili.
Quel che, però, mi interessava maggiormente era un carattere 'minore'
storiograficamente del tardo – antico e basso impero, che è in netta
collisione con i suoi esiti 'naturali' verso la società medioevale e,
infine, in rapporti di produzione feudali; il fatto, inequivocabile, che
in genere il mondo romano ma sopratutto la società tardo – antica, in
quello, sono società di massa o, meglio, massificate, secondo le
inclinazioni culturali dell'epoca e secondo le capacità tecnico –
produttive di quella.
L'assunzione del monoteismo, prima solariano e poi cristiano, la
diffusione di un'ideologia etica uniforme non sono solo tutto il
contrario del futuro e rinnovato particolarismo feudale, ma anche la
prefigurazione di una forma – stato totalizzante alla quale corrisponde
una società omogenea, per quanto era possibile dentro rapporti di
produzione non egemonizzati da una particolare forma di appropriazione
della ricchezza sociale.
L'anticipazione del tardo – antico va verso lo stato assoluto della
modernità e prefigura anche, in maniera molto indiretta, una forma
istituzionale centralizzata ma capace di fare presa sul territorio e i
soggetti che lo abitano. In occidente questa, per me, innegabile
'modernità' si interruppe, in maniera quasi brusca, tra la fine del IV e
gli inizi del V secolo, mentre in oriente perdurò lungo tutto il periodo
medioevale nella forma dell'impero bizantino. Gli appunti in forma
strutturata su Bisanzio sono stati, quindi, una necessità analitica
ineluttabile e non solo per una specie di rispetto della cronologia, ma
per il fatto che, avendo scritto di tardo – antico e basso impero non
come un prologo al medioevo, ma come una possibilità per una 'modernità
anticipata', la storia bizantina realizzava questa necessità analitica.
In Genova, Giorgio Cambri
email: g.cambri@joantoedox.it