1.2. L'epoca giustinianea (518-578)

Non ci stancheremo mai di ripeterlo: la definizione di epoche ed evi storici è profondamente arbitraria e non rispetta mai una oggettività storica, ma semmai denuncia un particolare approccio analitico, quando non ideologico, alla descrizione e ricostruzioni degli eventi.
Sulla periodizzazione che qui proponiamo non intendiamo più di tanto soffermarci, dunque.

Qui basti dire che l'epoca individuata, lunga poco meno di sessanta anni, è innanzitutto contrassegnata da una continuità dinastica e onomastica: è questa l'epoca in cui fioriscono i regni di Giustino I ( 518-527), Giustiniano (527-565) e Giustino II (565-575).
Oltre a questa inequivocabile continuità, all'interno di questo periodo si possono individuare alcuni tratti caratteristici e distintivi, non novità assolute ma elementi ereditati dal passato che vengono per così dire sottolineati con più forza.

1.2.0.1. L'autocrazia Giustinianea

Primo fra questi la fortissima tendenza a rafforzare la natura autocratica del potere imperiale, a slegarlo dalla presenza di altre istituzioni politiche e soprattutto dall'influenza del Senato e dei demi urbani.
La cooptazione di Giustiniano al potere da parte di Giustino e la sua associazione all'impero, mettono in campo una procedura successoria che avrà largo successo dal VII secolo in poi e che diverrà procedura e veduta politica di tutta la storia bizantina intorno alla designazione imperiale.
La dinastia di Eraclio (610-711) riprenderà queste procedure di associazione rendendole un fenomeno stabile.
Anche qui non denunciamo una novità assoluta, fin dall'inizio e cioè fin dal I secolo, il potere imperiale si era strutturato come un potere designato: all'augustus corrispondeva spesso un Caesar, che era il successore designato, il più delle volte il figlio o uno strettissimo discendente dell'imperatore in carica.
Ora nel VI secolo questa designazione successoria si presenta come scelta insindacabile operata dal principe, contro ogni altra potenza e interferenza istituzionale.
L'epoca giustinianea, sotto questo profilo, anticipa largamente l'epoca eracliana.
Ci sarà la pausa e la sospensione di fine secolo, quando tra 575 e 610, in maniera intermittente e alternata, le vecchie forze istituzionali (il Senato) e le nuove forze 'popolari' (le fazioni demiche), ritorneranno a svolgere un ruolo di primo piano nella vita politica di Costantinopoli.
Non si avvia, dunque, nel 518, un processo lineare e irrefrenabile, ma si palesa un cammino defilato verso nuove forme di stabilità istituzionale.

1.2.0.2. L'occidente e la sua riscoperta

In secondo luogo la riscoperta dell'occidente dopo un secolo dal disastro di Mercurion del 468.
Qui l'epoca giustinianea pare descrivere un ritorno al passato piuttosto che un'anticipazione verso il futuro.
In parte questa impressione non è fallace.
Per certi versi la politica estera protobizantina ritorna a forme tardo romane e subisce la fascinazione di una restauratio imperii.
Ma in verità Giustino e soprattutto Giustiniano si prendono carico dell'occidente del mediterraneo in modo nuovo: l'occidente non rappresenta solo il problema del fascino e decoro dell'antico impero del quale Bisanzio si sente legittima erede, non rappresenta solo un problema ecumenico, ma inizia a divenire un problema difensivo.
Il controllo delle coste nord africane e dell'adriatico rappresenta per Costantinopoli la possibilità di mettersi al riparo e anticipare eventuali colpi di mano dei regni romano – barbarici che in quella parte del mediterraneo si erano formati.
Sicuramente, inoltre, il controllo della parte occidentale del mediterraneo e, segnatamente, di alcuni portali commerciali in quello, rappresenta per Costantinopoli un notevole 'valore aggiunto', ancor più grande se si analizza la crisi commerciale che attraversa l'oriente bizantino per via dell'aggressività militare dei Persiani.
Insomma la 'riscoperta dell'occidente' operata in questa epoca ha valenze molteplici e, soprattutto, nuove e vecchie: vecchie per un sicuro tentativo carismatico di ripercorrere e ricreare le linee del governo universale di Roma, nuove per la volontà di ricreare un ponte tra occidente ed oriente europeo, ponte con significati commerciali, economici e militari del tutto nuovi.
La riconquista Giustinianea, non a caso, non sarà abbandonata come fenomeno anacronistico dalle generazioni imperiali seguenti. Al contrario, il controllo di alcuni nodi nell'occidente europeo rimarrà vitale per la politica bizantina e, se gran parte delle conquiste di Giustiniano saranno rapidamente perdute, buona parte delle città costiere italiane poste sull'adriatico  rimarranno in mano bizantina fino al X secolo e con quelle intere regioni come la Sicilia, la Calabria, la Basilicata e la Puglia.
Con intermittenza anche Napoli non si sottrarrà, fino al X secolo, all'influenza costantinopolitana.

1.2.1. Giustino all'impero (518-527)

1.2.1.1.  L'intronizzazione

Giustino era nato circa settanta anni prima a Tauresio, villaggio nei dintorni di Naisso, in Macedonia.
Era di madre lingua latina, esattamente come il suo predecessore, e saltava fuori da una famiglia contadina.
Aveva fatto carriera nell'esercito, secondo l'ormai consolidato da secoli cursus honorum militare e si era trovato a comandare la guardia palatina, gli excubitores, letteralmente 'coloro che si coricavano davanti all'entrata della camera da letto dell'imperatore'.
Era praticamente analfabeta e sicuramente illetterato; sua moglie Lupicina, anche lei di madre lingua latina, era una schiava da lui riscattata.
Quest'uomo, dalla lunghissima esperienza militare, si trova designato all'impero, non sappiamo esattamente in base a quali valutazioni.
Non crediamo alla leggenda della designazione casuale di Anastasio, anche se quella medesima leggenda testimonia del fatto che l'imperatore uscente non vedesse di cattivo occhio il suo successore.
Abbiamo, al contrario, due notizie certe: Giustino era amatissimo negli ambienti militari, un vero campione ed idolo dell'esercito, e fu ufficialmente incaricato dal senato.
Il 1 luglio 518, giorno della morte di Anastasio, non c'era un imperatrice in carica; Anastasio era vedovo, infatti, da tempo e, per di più, non aveva eredi diretti.
Insomma la complessità del fenomeno dell'intronizzazione viene meno per il caso di Giustino: ci troviamo di fronte ad un assunzione al trono piuttosto semplice.

Giustino, all'atto dell'acquisizione del potere, si dice investito dalla potestà imperiale in ragione del “ ... giudizio (krisis) di Dio onnipotente e per vostra unanime scelta (ekloghè) ... ”.
Il principio teocratico si coniugava con quello democratico, esattamente come per Anastasio.
Dietro quelle parole, inoltre, l'ulteriore conferma che alla base dell'elezione all'impero di Giustino fu una decisione collegiale di esercito e senato.
Sappiamo, inoltre, che il governo di Anastasio, per via della sua politica economica e religiosa, aveva, in ampi strati della popolazione e in vaste aree geografiche, suscitato resistenze e risentimenti, quando non rivolte e insurrezioni.
Insomma Giustino ritiene anche di incarnare i desideri del demos.

1.2.1.2.  L'imperatore degli Azzurri

Quando si scrive di demos a Costantinopoli e nelle grandi metropoli dell'epoca protobizantina e oltre, si sottende il termine demi.
Le fazioni urbane da secoli si affrontavano nella vita sportiva e politica delle città primarie del mondo romano.
Anastasio aveva sempre nutrito profonde simpatie ed alleanze per i partito dei Verdi, che, come veduto, facevano il paio con la sua politica sociale e religiosa.
Se si deve dare credito alle fonti, Giustino si manifesta subito come un imperatore che apertamente favorisce la fazione opposta, quella degli Azzurri.
Con questa precisa scelta di campo il nuovo imperatore rende manifesta la sua scelta di campo sociale: il mondo delle oligarchie cittadine classiche e tradizionali.
Se Anastasio aveva favorito in tutti i modi le attività commerciali e artigianali e si era riferito al mondo dei  collegia, ora Giustino ritorna ad un immagine della città per la quale la vecchia casta aristocratica proprietaria di terre fuori porta è prioritaria socialmente e politicamente.
Ma gli Azzurri rappresentavano anche la grecità e latinità dell'impero contro le infiltrazioni orientali che tra i Verdi si disponevano; questa scelta di campo aveva, dunque, anche il significato di una preferenza etnica.
Infine gli Azzurri erano stati per tutto il decennio che va dal 508 al 518 feroci oppositori della politica religiosa di Anastasio, Anastasio che simpatizzava per i monofisiti e che continuava a ritenere valido l'Henotikon emesso da Zenone nel 482.

Insomma la scelta di campo di Giustino ha delle forti connotazioni politiche, anche perché, bisogna annotarlo, l'epoca che va dal 474 al 532 (anno della rivolta di Nika) è il periodo di massima fioritura, istituzionalizzazione e influenza politica delle organizzazioni da stadio.
Quel che qui preme sottolineare è la istituzionalizzazione di quel ruolo; per vie trasversali e incerte alla conoscenza storica, Verdi e Azzurri hanno un'autentica rappresentanza dentro il Sacro Palazzo e sono potenze popolari che descrivono il potere stesso dell'imperatore.
L'imperatore associa a sé, regolarmente, il carisma di questi due colori.
In verità neppure la sanguinosa repressione della rivolta di Nika ad opera del successore e nipote di Giustino, Giustiniano, riesce a deprimere il potere delle fazioni.
Il disastro della rivolta del 532 segna sì un abbassamento dell'influenza di quelle, ma ancora nel 610, e cioè un secolo dopo l'epoca in oggetto, l'assunzione al trono del 'rivoluzionario' Eraclio (imperatore dal 610 al 641) fu strettamente sponsorizzata e appoggiata dal partito dei Verdi e uno dei primi atti di Eraclio, appena entrato in Costantinopoli, fu quello di fare bruciare pubblicamente, dinanzi l'ippodromo gremito, la bandiera degli Azzurri.
Sicuramente, però, va già anticipato, a partire da Eraclio e cioè dal VII secolo, l'influenza politica delle fazioni da stadio declina decisamente e si trasforma in una curiosa, e non profondamente importante, influenza di immagine.
I due demi, Azzurri e Verdi, continueranno a partecipare della vita della capitale, ad essere onorati e scelti a emblemi dai diversi imperatori, ad essere il collante tra il potere imperiale e la città della sua residenza. Ma questo collante diviene sempre più una rappresentazione formale.
Nel' VIII e IX secolo, tolta qualche implicazione politica sempre più indiretta, l'associazione della sua immagine da parte dell'imperatore a questa o quella fazione ha solo valenze pittoresche e folcloristiche.
A tratti, in ogni caso, anche per quelle epoche future, il folclorico tornava ad assumere valenze politiche, ma ne riscriveremo.

Ora nel 518, dopo la 'dittatura dei Verdi' sponsorizzata da Anastasio, il ritorno in auge degli Azzurri e la loro associazione al potere imperiale ha un significato politico altissimo.

1.2.1.3.  La prosecuzione della politica economica di Anastasio

Nonostante queste simpatie conclamate, né Giustino, né Giustiniano si sognarono di rinnegare la politica economica di Anastasio e la sua nuova idea di città.
Ci furono, già in epoca giustinianea, provvedimenti atti a difendere il follis, la moneta dei commerci dal suo deprezzamento, politica che cozzava frontalmente con le esigenze delle campagne che in  follis pagavano le imposte annonarie.
Non abbiamo neppure notizie di un'opera di restituzione delle attribuzioni curiali che Anastasio, in parte, aveva abolito.
Insomma l'imperatore degli Azzurri si manifesta un sereno prosecutore, in questo campo, della politica di Anastasio, campione dei Verdi.
Questo anche perché, nel VI secolo, secondo un processo inaugurato il secolo precedente, le città stanno subendo un fenomeno interessante.

1.2.1.3.1. La fuga dalle campagne: l'inurbamento

Già sviluppatosi nell'epoca di Anastasio e, forse, in quella di Zenone (474-491) si deve annotare un progressivo ed eclatante nel medio periodo aumento demografico nelle città.
Moltissimi contadini vanno verso la città e il suo evergetismo.
I provvedimenti fiscali di Anastasio possono avere accelerato il fenomeno; per di più situazioni militarmente instabili come quelle della Siria interna e, in massima parte, dei Balcani hanno prodotto una fuga dalle terre devastate dalle ricorsive incursioni degli Slavi e dei Bulgari verso le città e, segnatamente, Costantinopoli.
In ogni caso tra la fine del V secolo e la prima metà del VI secolo, le città bizantine vedono aumentare la loro popolazione in maniera notevole.
In città si cercano lavori non qualificati (manovali nell'edilizia soprattutto) e si punta all'assistenzialismo tradizionale delle classi dirigenti romane.

Ma per quanto scritto a proposito dell'impero di Anastasio, questo assistenzialismo statale e curiale è in piena crisi; queste masse immigrate rimangono ai margini della vita urbana, raramente trovano un lavoro.
Giustiniano, qualche anno più tardi, sarà costretto ad istituire delle sorte di 'dogane per la manodopera', che controllavano se colui che intendeva entrare nella città aveva già preso adeguati accordi presso un datore di lavoro in quella. Se ci si trovava di fronte ad un disoccupato potenziale lo si ricacciava indietro.

1.2.1.3.2. La fuga dalle campagne: i monaci militanti

Ma questi uomini in fuga dal mondo agricolo, dalla fiscalità imperiale e dai rapporti di patronato che crescevano in ragione di quella, avevano una soluzione alternativa: il diritto di asilo monastico.
Qui l'evergetismo tradizionale del mondo romano si trasformava nel suo contrario; schiere di monaci nutrivano, accoglievano e di fatto difendevano i derelitti in fuga.
Opere come mense pubbliche, ostelli, ospedali e alberghi fiorivano nelle città.
I monaci erano loro medesimi dei soggetti migranti: dalla campagna alla città e da città a città. Insieme con loro si spostavano interi gruppi di manodopera dequalificata da un luogo all'altro dell'impero protobizantino, in una sorta di migrazione mistica e itinerante.
Con Giustino e poi con Giustiniano si scrivono leggi contro questa migrazione e si cerca di impegnare anche il diritto canonico contro questo fenomeno.
Ma non c'è verso; il fenomeno è talmente importante e profondo che non si riesce a fermarlo.
Le città, dunque, crescono e, per certi versi, migrano l'una nell'altra.
Solo la terribile peste bubbonica del 542-544 fermerà questo incredibile processo demografico.
Anche di questo riparleremo.
Ma per il momento per il regno di Giustino questa continua ad essere la situazione, ereditata dal V secolo e, semmai, aggravata.

1.2.1.4.  Il 519 e la fine del breve scisma d'oriente

1.2.1.4.1. Il ritiro dell'Henotikon

L'anno seguente la sua assunzione al trono Giustino ritira l'editto di unione che era stato alla base del breve scisma di oriente.
Si ritorna, dunque, a Calcedonia e alla dogmatica espressa dal IV concilio del 451.
Questo non poteva che sposarsi perfettamente con la coniugazione del suo impero con il colore degli Azzurri.
La riconciliazione con il papato di Roma fu elemento importantissimo; durò per più di un secolo anche se con traversie e oscillazioni che descriveremo per gli imperatori successivi e sicuramente significava la fine di un periodo, inaugurato da Zenone e durato quaranta anni, in cui Costantinopoli, avvalendosi dell'eredità di Costantino, pretendeva di rendersi autonoma nelle proprie scelte religiose e di imporle in regime ecumenico.
In realtà la riconciliazione con il Papa, Ormisda era sul trono pontificio (514-523), era il contrario di tutte queste apparenze.
L'imperatore rinunciava esclusivamente ad un editto imperiale del 482 e non alla sua influenza sulla decisioni della Chiesa.
Nell'immediata contingenza i Patriarcati di Antiochia, Gerusalemme e Alessandria uscivano diminuiti e sconfitti; ma in verità neppure quelli, anzi, sarebbe meglio dire neppure i monofisiti avevano amato le interferenze imperiali nella politica ecclesiastica. Le temevano, in verità, ancora di più degli ortodossi.
In verità e per motivi opposti l'ingerenza dello stato nelle questioni religiose spaventava entrambi.

1.2.1.4.2. Una combine di interessi contrastanti

Ai monofisiti non piaceva assolutamente l'identificazione di un imperatore greco, per quanto aperto alle loro teorizzazioni, a supremo giudice delle dispute cristologiche. Dispute che erano nate in Egitto e Siria, che erano state culle del cristianesimo e terre da un secolo e mezzo effervescenti dal punto di vista sociale e politico oltre che religioso e cioè fin dal tempo dei manichei e dei montanisti (fine del III secolo).
Su tali questioni il mondo siriaco ed egiziaco pretendeva di avere assoluta indipendenza, sapeva di dovere governare una situazione instabile.
L'associazione di religione e politica puntava a un terreno pericoloso e scivoloso: un terreno rivoluzionario, alla fine.
Sullo stesso solco ma sul profilo opposto stava la Chiesa di Roma, che pur dottrinalmente opposta al monofisismo, incapace di comprenderne le profonde ragioni filosofiche, condivideva con quello la critica verso il diretto intervento imperiale nelle questioni di fede.
Il Papa di Roma si era costruito, nel corso del V secolo, una sua specificità religiosa, una sua particolare dottrina e un ruolo accreditato dentro la gerarchia cattolica.
L'imperatore non poteva né doveva disinteressarsene.

1.2.1.4.3. Il Papa e l'imperatore

Il rischio autentico del venire meno di un'autorità ecclesiastica superiore e, per così dire, super partes, stava nel fatto che la statuizione di una ortodossia sarebbe passata per le mani dell'imperatore e per le lance dei suoi eserciti; l'ortodossia sarebbe divenuto un fatto politico in modo troppo trasparente.
L'imperatore non poteva assumersi un'alea simile.
Contemporaneamente, però, per estremo paradosso, l'impero aveva bisogno di una ortodossia che comprendesse anche i monofisiti, vale a dire Siria ed Egitto; aveva bisogno, dunque, di una contraddizione in termini.
Questa contraddizione farà sentire tutto il suo peso non solo in questo secolo, ma anche in quelli seguenti fino a divenire uno dei tratti distintivi della storia protobizantina e bizantina.
Al papa non converrà mai appiattirsi completamente sulle esigenze in materia di fede dell'imperatore, esattamente come all'impero non conviene ignorare completamente l'autorità ecclesiastica romana.

1.2.1.5.  Giustiniano patrizio e console (521)

Subito dopo avere assunto la porpora, Giustino aveva chiamato presso di sé il nipote, Giustiniano.
Giustiniano era suo conterraneo, di lingua madre latina, e,  a quanto pare, usciva anche lui da una famiglia contadina della Macedonia. Ma, al contrario dello zio, non era uno sprovveduto culturalmente.
Era nato nel 482 e fin da bambino era giunto in Costantinopoli, era stato adottato dallo zio e alla sua ombra aveva fatto carriera a palazzo.
Alla scomparsa di Anastasio era già ufficiale della guardia palatina, del reggimento delle scholae.

Dopo appena due anni di regno, nel 521, Giustino fa insignire del titolo di patricius il nipote e gli fa assumere il consolato.
L'assunzione del titolo e della carica lascia presupporre una designazione del nipote alla successione e una vera e propria correggenza, non tanto per la titolatura in sé, quanto per il fatto che le fonti sono univoche nell'indicare da quest'anno in Giustiniano il vero ispiratore della politica di Giustino.
In verità anche nel suo nome, il futuro imperatore, rivela l'origine del suo potere, Giustiniano, infatti, non è altro che il patronimico di Giustino.

1.2.1.6.  La questione caucasica

Già dall'epoca precedente, cioè quella di Anastasio, ma ancora di più in questa di Giustino si precisa come area di strategica importanza per la vita di Bisanzio la regione caucasica.

1.2.1.6.1 Iberia e Armenia

Già da secoli, in verità, l'area che parte dall'Armenia settentrionale e prosegue più a nord lungo le sponde orientali del Mar Nero, era stata area interessante per i progetti militari dell'impero romano. Qui gli Iberi, popolazione del Caucaso sud occidentale e stanziata in un territorio corrispondente all'attuale Georgia, erano stati validi alleati nelle guerre persiane e solo raramente avevano perduto questo legame lealistico verso Roma prima e Costantinopoli poi.
Ma fin qui si trattava di un alleanza dai contenuti squisitamente militari.

1.2.1.6.2.  L'Eufrate

Nel V secolo e malgrado la campagna di Anastasio del 503-505 contro i Persiani, l'Eufrate cessa di essere un fiume romano e buona parte dei portali commerciali che si affacciavano sul fiume non sono più terra di monopolio dei mercanti greco – romani.
Questo significa che la via aperta verso il golfo persico che il fiume rappresentava si chiude ai commerci imperiali.
Le vie verso India e sud est asiatico devono dunque passare per il mar Rosso, dove però la situazione diplomatica e le relazioni con l'estero, segnatamente le tribù arabe e gli stati nubiani ed etiopi, non sono sempre facili per i bizantini.
Già Giustino ma ancora di più Giustiniano si adopereranno con ogni mezzo affinché l'avanzata del cristianesimo lungo l'alto corso del Nilo si accelerasse e che fosse posta sotto il controllo 'naturale' del patriarcato di Alessandria. In tal maniera si veniva a disegnare un quadro di relazioni più favorevole ai commercianti greci in quell'area.
Ma non bastava.

1.2.1.6.3. La via della seta

Non bastava giacché due delle tre direttrici del commercio della seta dall'estremo oriente rimanevano, di fatto, sotto il controllo persiano.
La terza direttrice, più periferica e insidiosa, passava proprio per il Caucaso e i porti settentrionali e orientali del mar nero.
Nel VI secolo, dunque, il Caucaso e le alleanze con Iberi e Armeni assumono per i bizantini una nuova valenza.
Si prendono contatti con molte popolazioni transcaucasiche, tra cui i Kazari e a metà di questo secolo (in epoca giustinianea, cioè) con le prime avanguardie migranti dei Turchi.
Sta di fatto che, malgrado queste intraprese diplomatiche, le vie transcaucasiche per i mercanti greci rimangono estremamente insidiose, giacché passano per territori occupati da popolazioni pagane e dedite alla razzia e alla scorreria.
Non va scordato che ancora in quest'epoca gruppi di Unni stazionavano  tra Ucraina e mar Nero.
Insomma si trattava di terre selvagge e pericolose e questa non poteva essere una soluzione commerciale duratura e infatti non lo sarà.

1.2.1.7. I Balcani

1.2.1.7.1. Gli Anti e l'anomalia slava

Sotto Giustino si verificò una nuova gravissima penetrazione nei Balcani.
Una tribù slava, gli Anti, attraversò in massa il Danubio e saccheggiò Tracia e Macedonia, giungendo, pare, in vista della stessa Costantinopoli.
Potrebbe essere considerato come un episodio tra gli altri cui era abituato l'impero in quella regione da secoli e, in parte, lo è; nel senso che, seppur a fatica, gli Anti vengono ricacciati fuori dalle terre dell'impero.
Il problema delle migrazioni slave sta nella loro nuova caratterizzazione; al contrario delle incursioni gote e sarmatiche dei secoli III e V, gli slavi puntano a stabilirsi in massa sulle terre che devastano.
Questo significa che fin dalla loro apparizione mettono in campo rapine, saccheggi e requisizioni a loro favore ed espropriano quando non eliminano fisicamente coloni e patroni latini.
Si stabiliscono, senza chiedere nulla, senza mettere in campo mediazione politica alcuna, nelle terre dell'impero e se le distribuiscono.
Per di più, le tribù slave sono ancora legate al politeismo tradizionale di quella cultura e ben lontani dall'essere penetrate dalla predicazione cristiana.

1.2.1.7.2. I romei dei Balcani

Di fronte al mal definito disegno dei confini Danubiani, che abbiamo descritto per il regno di Anastasio I, il protrarsi nel tempo di incursioni così devastanti ha terribili effetti: in primo luogo la migrazione della popolazione latina e grecizzata verso le coste dell'adriatico, dove le difese dell'impero apparivano più salde.
Ma in verità si prepara già in questi anni un fenomeno incredibile e poco documentato che si realizza gradualmente tra la seconda metà di questo secolo e la prima metà del seguente e cioè una sorta di contro emigrazione delle popolazioni latine e romee verso la sponda sinistra del Danubio, l'antica Dacia, che era, paradossalmente, rimasta spopolata, giacché gli Slavi, per entrare nell'impero, l'avevano abbandonata.
Insomma si gettano le basi in questi anni per la nascita di quell'isola linguistica neo latina in mezzo ad un mondo slavo che è l'attuale Romania.

1.2.1.7.3. Gepidi,  Avari e Longobardi

La situazione dei confini balcanici era, come scritto, mal definita.
Nella vecchia provincia di Norico e Valeria si erano insediati i Longobardi che si erano costituiti in regno, occupando terre di pertinenza imperiale e spingendosi a sud, nell'attuale Slovenia e nella Croazia settentrionale.
Discendendo il corso del fiume, i Gepidi si erano costituiti anch'essi in Regno (uno stanziamento corrispondente all'attuale Ungheria, Romania e Bulgaria settentrionale) che trovava tra i suoi tributari numerose tribù slave; dietro di quelle Avari e Bulgari si avvicinavano sempre più decisamente al Danubio e i primi avevano dato vita a notevoli sconfinamenti.
Insomma i grandi fenomeni migratori delle popolazioni delle steppe asiatiche, che da una cinquantina di anni, marcatamente dai tempi degli Unni, parevano essersi fermati, ora riprendevano.
Il gravissimo problema diplomatico di Bisanzio verso queste popolazioni stava nel fatto che quasi tutte tali tribù non erano evangelizzate e non erano, dunque, capaci di recepire il carisma ecumenico che da Costantinopoli emanava.

Insomma l'area balcanica e la sua difesa rimaneva un difficile problema.
Ancor più difficile in ragione del fatto che né Anastasio, né Giustino e neppure Giustiniano dopo di lui avranno intenzione di dislocare molte risorse militari in quell'area, considerata, a torto o a ragione, area periferica, strategica solo in rapporto con la difesa di Costantinopoli.
Eppure la regione era terra di buone imprese agricole, di numerosi centri artigianali anche se non di eminenti sedi commerciali.
Già in questo secolo si manifesta un gravissimo calo demografico nelle città danubiane (Singindunum, Viminacium) con fuga degli abitanti verso altre aree; quelle città, già alla fine di questo secolo, o saranno distrutte o cambieranno nome, assumendone uno slavo.

1.2.1.8.  L'Italia

1.2.1.8.1. L'editto contro gli Ariani

Per il 523, e cioè il quinto anno di regno di Giustino, abbiano notizia dell'emanazione di un editto contro la professione di fede ariana.
L'Editto ci stupisce per due motivi.
Per prima cosa appare tautologico rispetto ai provvedimenti contenuti nel codice teodosiano emesso quasi un secolo prima.
In secondo luogo facciamo fatica a coglierne lo scopo: nella parte orientale dell'impero l'eresia ariana era stata debellata da molto tempo e gli ausiliari germanici che pure militavano ancora nell'esercito  non rappresentavano più da decenni un problema politico.
L'editto fu un atto di politica internazionale.

1.2.1.8.2. La mediazione di Papa Giovanni

I Vandali in Africa, i Visigoti in Spagna e gli Ostrogoti in Italia erano rimasti legati alla loro primitiva evangelizzazione, avvenuta ai tempi di Ario.
Usavano la loro professione di fede come strumento di riconoscimento di sé medesimi nei confronti della popolazione indigena latinizzata e anche delle residue strutture aristocratiche romane.
Insomma Giustino dichiarava che la parte occidentale del mediterraneo, ancora formalmente romana e sottoposta alla sua autorità, era governata dagli eretici.
Ora se per Visigoti e Vandali l'editto imperiale poteva passare inosservato o, meglio, essere annoverato in un'azione diplomatica tesa a rendere manifesto un raffreddamento dei rapporti tra Costantinopoli, Cartagine e Toledo, e poco più, per gli Ostrogoti d'Italia la questione era sicuramente più spessa e grave.

Teodorico, infatti, era anche formalmente magister militum per Italiam di Giustino ed era dunque costretto a fare rispettare il decreto, colpendo i suoi collaboratori, i ranghi militari e la aristocrazia ostrogota che da decenni si era stabilita in Italia.
Sappiamo, inoltre, che le relazioni tra Teodorico e impero non furono delle migliori; probabilmente il re ostrogoto avrebbe voluto avere per sé un riconoscimento più alto da Costantinopoli, probabilmente la carica di prefetto e la porpora.
Queste cose gli furono sempre promesse ma mai concesse.
Fino a che, però, lo scisma provocato dall'Henotikon si tenne in piedi, l'antagonismo tra Vescovo di Roma e Patriarca di Costantinopoli oscurò ogni altra contraddizione.
La risoluzione della crisi ecclesiastica nel 519, riportava le antinomie allo stato maturo.
Giustino, con la sua intrapresa, intese mettere in grave difficoltà Teodorico.
Ce la fece.

In Italia, nel 524, scoppiarono gravi torbidi tra ariani e cattolici: la mediazione costruita in trent'anni dal re Ostrogoto tra organizzazione di potere germanica e organizzazione giuridica romana si incrinava.
In seguito ai gravi disordini, Teodorico convinse il papa, Giovanni, a recarsi a Costantinopoli per chiedere a Giustino di ritirare l'editto.
Nel 525, in effetti, Giovanni si recò a Costantinopoli e perorò la causa del ritiro dell'editto imperiale.
Non ottenne la revoca del decreto e quando ritornò in Italia venne fatto arrestare e morì in prigione l'anno successivo, nel mese di maggio.


1.2.1.8.3. La destabilizzazione del regno ostrogoto

Con il provvedimento del 523 e con la sua reiterazione nel 525, riteniamo che la coppia di governo formata da Giustino e Giustiniano perseguano deliberatamente di attentare alla stabilità del regno ostrogoto.
Nel 524 Teodorico si deve liberare della maggior parte dei suoi collaboratori di origine romana e operare una sorta di colpo di stato con relativa purgazione politica; nel 526, con un errore politico gravissimo, si sporca, seppur indirettamente, le mani del sangue del Papa.
Peggiore rottura tra le strutture di potere parallele che convivevano in Italia non poteva esserci.

1.2.1.8.4. La teoria di Giustino e Giustiniano e quella di Gelasio

L'editto contro gli Ariani ha, comunque, effetti anche verso Africa e Spagna, dove la popolazione indigena è in massima parte cattolica, tolta la significativa eccezione dei pastori berberi e mauritani rimasti legati all'eresia donatista di due secoli e mezzo prima.
Insomma c'è forse un piano generale dietro questa intrapresa legislativa? Un piano che possa preludere all'offensiva in occidente che Giustiniano tra nemmeno dieci anni metterà in campo?
A nostro giudizio non esiste continuità organica: l'editto del 523 è soprattutto ideologia, ovvero propaganda ideologica.
L'imperatore come sorgente di una ecumenicità inimitabile e vero custode della fede.
Neanche a Papa Giovanni quell'ideologia poteva piacere e, infatti, riteniamo che il suo viaggio a Costantinopoli del 525 sia stato animato da una sincera volontà di fare ritirare l'editto o quantomeno di censurarne le forme.
Ricordiamoci inoltre che malgrado la ricucitura dello scisma nel 519, né Giustino, né tanto meno Giustiniano penseranno a sottoscrivere l'invettiva emessa da papa Gelasio nel 496 contro Anastasio.
Per entrambi il ruolo dell'imperatore all'interno del mondo cristiano è un ruolo particolare e gode di particolari privilegi: egli è l'eletto di Dio per mezzo del popolo e dell'esercito.

1.2.1.9. Trasformazioni nell'esercito

L'esercito della prima epoca bizantina rimane, come scrivemmo a suo tempo, un esercito formato in larga parte da mercenari come per tutta la storia romana.
Inoltre questi mercenari continuano ad essere in buona misura barbari, segnatamente germani, si ipotizza una percentuale del 60% per quelli e qui si segue una storia più recente quella che proviene dal IV secolo e da Costantino.
L'impero di Giustino non opera una rottura con questa tradizione, ma sotto il suo regno si mettono in campo alcuni provvedimenti in materia militare che indicano una nuova tendenza, tendenza che solo nel secolo seguente, il VII secolo cioè e sotto i governi di Eraclio e Costante II (610-668), troverà la sua piena attuazione.

L'Isauria, terra da poco pacificata almeno dal 498, e in genere l'altopiano anatolico a quella adiacente divengono aree privilegiate del reclutamento militare.
Le fonti iniziano a fare riferimento a dei buccellari nell'esercito quando citano e descrivono questa nuova fonte di reclutamento, indigena, autoctona e ellenizzata.
La buccella indicava, nel tardo latino, la galletta salata, razione alimentare tipica dell'esercito romano del IV e V secolo.
Ora si traggono leve intere di questi 'mangiatori di gallette' proprio dalle zone interne dell'Anatolia ed è talmente connotata socialmente ed etnicamente questa cooptazione nell'esercito imperiale che viene coniato o recuperato un termine ad hoc per descriverla, buccellarius appunto.

Dalla scelta di questo significante si può anche inferire che tali truppe isauriche e anatoliche non fossero destinate alla funzione dei soldati limitanei, solitamente posti a ridosso delle frontiere e delle fortificazioni di confine e dotati di un piccolo appezzamento di terra, ma che, al contrario, qui ci troviamo di fronte a reparti mobili sul territorio, in continuo spostamento, probabilmente reparti scelti, costretti, per forza di cose, a portarsi dietro la loro fonte di sostentamento.
Insomma Giustino, senza operare rotture rivoluzionarie con l'impianto militare precedente, inizia a spostare il cuore dell'apparato bellico protobizantino  verso l'elemento ellenizzato e autoctono.
Questo provvedimento, per la particolare configurazione che l'esercito protobizantino ha assunto durante il V secolo, ha una certa importanza giacché, alla fine, anche i buccellari si trasformeranno in limitanei, in piccoli proprietari agricoli, e concorreranno  all'emergere di un nuovo assetto militare e sociale che, lo ripetiamo, solo nel VII secolo giungerà a maturazione.

1.2.1.10. Un matrimonio scandaloso per una nuova coppia imperiale

1.2.1.10.1. Un matrimonio scandaloso

Non amiamo i pettegolezzi e i pruriti che circondano le descrizioni del nipote dell'imperatore e di sua moglie Teodora, la futura imperatrice.
Teodora soprattutto fu sinceramente e segretamente odiata da tutta la storiografia bizantina coeva.
Di lei vennero raccontate le peggiori nefandezze e vizi inimitabili; di conseguenza in questi resoconti anche l'immagine dello sposo, Giustiniano,  esce diminuita.
La grande colpa del futuro imperatore è proprio quella di essersi unito in matrimonio con Teodora, secondo queste fonti.

Certamente quell'unione dovette essere un autentico scandalo poiché Teodora era la figlia di un uomo del circo, un domatore di orsi, era nata a Costantinopoli intorno al 502, ma, per via del mestiere del padre, aveva girato tutto l'impero e soprattutto l'oriente.
In oriente la futura imperatrice si era macchiata di due gravi colpe: aveva praticato il meretricio fin dalla più tenera età e, soprattutto, aveva acquisito la lingua religiosa dei monofisiti.
Insomma Teodora rappresentava tutto ciò che l'aristocrazia di ascendenza tardo romana e l'ortodossia post scismatica di Costantinopoli potevano detestare: era una donna di origine quasi sicuramente servile, era stata prostituta ed era monofisita.
In ogni caso questa giovane era molto bella, su questo le fonti sono concordi, e dopo un  matrimonio rapidamente trasformatosi in divorzio con un funzionario imperiale per il nord Africa,  si stabilisce a Costantinopoli.
Qui entra nelle file degli Azzurri dei quali, malgrado sia di simpatie monofisite, è tifosa e finanziatrice sfegatata.
Non ci stancheremo mai di ripeterlo, le organizzazioni da stadio dell'epoca protobizantina e bizantina non si possono ridurre a organizzazioni politiche e religiose, sono fenomeni sociali molto più complessi nei quali si coniuga il livello della parentela, del legame vicinale e della sacralizzazione cristiana e 'patronale' dell'area urbica, di quello che nel capitolo precedente chiamammo 'sotto demo'.
Dunque non deve affatto recarci troppo stupore il fatto che una donna amante dell'oriente e delle sue sfumature cristologiche sia, in Costantinopoli, una appassionata tifosa degli Azzurri anziché dei Verdi.

Il matrimonio tra Giustiniano e Teodora fu fortemente osteggiato non solo nell'opinione pubblica ma anche a corte.
La moglie di Giustino, Lupicina, legatissima alla tradizione romana, lo avversò con ogni mezzo, ritenendolo, superstiziosamente e 'paganamente', sicura causa di sciagure per l'impero e la  famiglia imperiale.
In effetti solo quando Lupicina morì, nel 524, sarà possibile organizzare l'unione tra Giustiniano e Teodora e l'anno successivo si poté svolgere la cerimonia.

1.2.1.10.2. Una coppia imperiale

In moltissimi suoi atti pubblici, il futuro imperatore, Giustiniano si presenterà così : “Io e il mio dolcissimo affetto abbiamo stabilito che ...”.
Raramente nella storia di Bisanzio verrà descritta e rappresentata, in maniera così chiara e serena, una collegialità nel potere.
Ma a costituirla fattivamente, questa collegialità, ci pensò Giustino e con un atto inequivocabile: il 4 aprile 527 Giustiniano e Teodora furono nominati suoi coimperatori.
L'imperatore riteneva fondamentale, dunque, che a succedergli, non fosse solo il nipote ma che anche Teodora dovesse essere coinvolta nella successione.
Nel provvedimento, infatti, Teodora risplende di luce propria: non diviene coimperatrice in ragione del legame matrimoniale con Giustiniano, per una meccanica ricaduta di potestà, ma viene direttamente nominata alla reggenza dell'impero.

Si trattava, a nostro giudizio, di un pensiero rivolto allo stato dell'impero.
Teodora, per formazione culturale e trama esistenziale, era donna in grado di rappresentare la parte orientale dello stato, come Giustiniano, di madre lingua latina e di origini contadine, sicuramente la parte ellenica e balcanica.
Si trattò quasi sicuramente di una strategia propagandistica e di una campagna di immagine, ma dietro ogni propaganda come dietro ogni icona si cela un elemento di concretezza.
Giustino seppe coglierlo e cogliendolo preparava l'impero alla sfida alla quale probabilmente da tempo ambiva Giustiniano: la riconquista dell'occidente, ovverosia la riconquista dell'impero romano.

1.2.1.11. Epilogo di Giustino

1.2.1.11.1. Doppie coppie

Giustino tra 525 e 527 organizza una simbiosi tra il suo regno e quello del suo predecessore, Anastasio,  sul quale aveva scagliato anatema e il cui nome aveva escluso dai dittici consolari.
Nella coppia Giustiniano – Teodora si propone sincronicamente la coppia Giustino – Anastasio e si propongono i poli di una politica dalla quale la società protobizantina (ma come vedremo anche bizantina) fa fatica a liberarsi: lo sguardo rivolto verso due luoghi, oriente e occidente.

Non crediamo che la chiusura dello scisma nel 519 e l'editto contro gli ariani del 524 siano organicamente collegati con le future intraprese occidentali di Giustiniano e che le abbiano preparate consapevolmente.
In quegli anni Giustino cercò di ricucire uno strappo religioso divenuto ingombrante e di ribadire una centralità costantinopolitana in materia religiosa che il monofisismo di Anastasio aveva rischiato, alla fine e nonostante ogni apparenza, di mettere in discussione.
La situazione era più complessa di quanto possa pensare chi immagina questo piccolo ruolo, ruolo preparatorio, al regno di Giustino.

Se, cinque anni dopo la scomparsa di Giustino, nel 532, il popolo in rivolta, a Costantinopoli, acclama un parente di Anastasio, questo significa che anche nella capitale, che si era più volte ribellata contro Anastasio, le esigenze sociali e religiose che quell'imperatore aveva incarnato erano vive; tutto ciò avviene nonostante una dichiarata ossequienza verso l'ortodossia e verso la chiesa di Roma.
Energie profonde e pericolose per la stabilità del trono lavoravano, energie che il governo di Anastasio aveva malamente interpretato, esistevano e andavano rispettate.

1.2.1.11.2. Giano bifronte

Potremmo dire che il governo di Giustino non rappresenta una fase preparatoria, consapevolmente preparatoria, di quello di Giustiniano, ma semmai, un periodo di attesa dentro una situazione in cui l'astro commerciale di Bisanzio in oriente è in crisi e nella quale i Balcani sono insicuri.
L'occidente, dal canto suo, rappresentava un serio problema: ai bizantini non poteva sfuggire il fatto che la perdita del controllo diplomatico dell'Italia significava aprire le sponde dell'adriatico (segnatamente Otranto e Bari) al nemico e che da quelle sponde sarebbe potuta derivare uno sbarco in Epiro o in Grecia.
La morte di Teodorico nel 526 non fa che rendere il problema ancora più attuale.
In verità Giustino è costretto a strutturare una politica 'bifronte' per la quale non è possibile disinteressarsi di nessuno dei problemi internazionali in essere.
E questa bifrontalità la mantiene nella doppia designazione del 527, la designazione di Giustiniano e Teodora.

Il 1 agosto 527 Giustino moriva; aveva circa ottanta anni.

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