Poco prima di morire, nel gennaio del 474,
Leone aveva designato al trono suo nipote, il figlio, cioe', di Zenone e Ariadne.
Era un bambino di sei anni.
Il testamento di Leone I e' sicuramente un documento
controverso: l'imperatore indica in un bambino il suo successore legittimo; esautora in
tal maniera Verina, regina madre e sua moglie, e Basilisco fratello di quella, ma, contemporaneamente
adombra Zenone, il marito di Ariadne e padre del nuovo imperatore - bambino, Leone II.
Da una parte, dunque, il vecchio imperatore denuncia il
partito trasversale della vecchia aristocrazia greco - romana, che amava le
rivisitazioni neo pagane quanto le raffinate frequentazioni monofisite, dall'altra
contesta, in quell'estremo documento, la predominanza etnica degli isaurici a corte che si rappresenta
in Zenone che, tra le altre cose, del monofisismo incarnava il profilo popolare.
Una situazione, come si vede, articolata e di difficile
interpretazione sotto il profilo politico.
Ci troviamo, inoltre, di fronte ad un
testamento profondamente greco, ma greco nel senso della rivolta nazionalista del 400, reiterata nel
471; dietro quel documento un nuovo sentimento del greco, non piu' classico, anche se ancorato a sentimenti classici e non
ancora bizantino.
Quando
l'imperatore muore, il 3 febbraio 474, appare chiarissimo che il suo testamento
e' inattendibile e impraticabile
politicamente.
Il testamento di Leone e', a nostro giudizio, una notevolissima
anticipazione.
Si tratta di
un'anticipazione ideologica innanzitutto, poiche' chiama in causa una
ideologia della 'grecita'' che pur facendo, ancora, riferimento alla
classicita', a tutta la storia ellenica e, alla fine, all'impero romano come sua
completa realizzazione, per certi versi se ne libera e si ricostruisce in forme nuove.
In verita' emerge una nuova immagine dell'impero,
un impero greco, analizzato come meccanica traduzione dell' impero romano -
cristiano che solo Costantinopoli e' capace di sintetizzare e di rappresentare;
nessun regnum dell'occidente potra' mai sognarsi di rivaleggiare con questo
impianto culturale, filosofico e politico.
E questo impianto viene garantito
dall' Autocrator, perfetta e cristiana realizzazione dell' imperator romano.
Costantinopoli continuera' a pensarsi in questo modo per un
intero millennio: in buona sostanza un impero romano senza i romani, un impero
filosofico senza la filosofia, ma capace, all'improvviso di essere romano e filosofico ad un tempo.
La nuova grecita' permette e
descrive questo.
La cultura protobizantina e ancora di
piu' quella bizantina non pretendono mai di produrre qualcosa di nuovo ma
vogliono muoversi sulle spalle del gia' detto, interpretato e sceverato,
muoversi sulle spalle dei classici, delle autorita' incontestabili, per rendersi
piu' vicino all'epoca storica presente; dunque non per perfezionare il pensiero
e la speculazione, ma per dotarlo di una lingua piu' adatta alla nuova realta' storica.
Insomma una realta' storica che si
muove su pilastri ben stabiliti e ben saldi.
L'idea di
impero, dunque, non puo' venire meno; sarebbe un suicidio politico, la stessa
negazione del nuovo impero Costantinopolitano, ma va rivista e, nel caso, ampliata o
ridotta.
Dipende dai punti di
vista.
Qualche giorno dopo la scomparsa di Leone,
esattamente il 9 febbraio, la nuova regina madre, Ariadne, dopo che Leone II era
stato incoronato imperatore, fa a quello nominare il padre Zenone coimperatore;
non era, in effetti proponibile un imperatore bambino: si sarebbe scatenata una
vera e propria guerra per la reggenza giacche' i pretendenti a quella erano
numerosi.
Verina, vedova dell'imperatore appena morto,
Basilisco suo fratello, e naturalmente Zenone potevano, giustamente, accampare diritti su quella.
Ariadne taglia il nodo.
L'intrapresa di Ariadne e' dettata dal piu' completo buon
senso politico, ma e' altrettanto sicuro che tale iniziativa andava a frustrare
gli interessi senatoriali e clarissimali che dietro una designazione imperiale
'debole' come quella offerta al piccolo Leone II, intendevano procurarsi aggio.
Inoltre c'erano Verina e Basilisco ad attendere di potersi
innalzare su di quella.
In ogni caso Leone I,
nel suo testamento, pur non rinnegando in maniera risoluta il partito isaurico,
al quale, durante il regno, si era abbondantemente appoggiato, invita, per cosi'
dire, il partito greco - romano e tradizionalista a rientrare ampiamente in
partita; cerca Leone I, in quel suo ultimo atto, di stabilizzare un equilibrio
dietro il quale, pero', si intravede la rottura e la possibilita' della guerra civile.
E la guerra civile molto presto si presentera'
alle porte.
La situazione internazionale che il
testamento di Leone lascia dietro se' e', sicuramente, difficile.
Nel 468 i bizantini avevano concluso una pace separata con
i Vandali che aveva riconosciuto la fine dell'unita' geo politica del
mediterraneo: le coste della vecchia africa romana non erano piu' di fatto pertinenza dell'impero d'oriente ma dei Vandali, appunto.
Con quella pace, nolente o volente, in maniera dichiarata
oppure no, Costantinopoli rinunciava a interagire direttamente sugli eventi politici occidentali.
In verita' declinava del tutto,
sotto il profilo del pragmatismo e della percorribilita' politica, l'idea di un
impero romano di occidente imparentato e indissolubilmente legato a quello
d'oriente; sotto il profilo dell'ideologia invece no, ma e' altra questione che
avra' anche effetti storici e diplomatici non di poco conto e che continuera' a
permeare il mondo politico bizantino.
In ogni caso, Gallia e Spagna erano
controllate dai regni visigotici, piu' vicini dei Vandali al mondo romano
e all'Italia, segnatamente, alla aristocrazia senatoriale che governava Roma e
l'Italia, ma completamente indipendenti da quella e dunque dall'impero, messa da
parte ogni deferenza formale.
Per di piu' i Visigoti
esprimevano, prima attraverso il loro plenipotenziario Ricimero, poi attraverso Gondebaldo, un'alta reggenza sul soglio imperiale
dell'occidente.
Fin dalla meta' degli anni '60 di questo secolo, Leone I si
era rifiutato di riconoscere valide le intronizzazioni in occidente cosi'
ottenute; non ultima quella di Glicerio proposta nel marzo del 473.
In ogni caso il disastro di Mercurion del 468 aveva
introdotto una cesura difficilmente rimarginabile tra gli interessi del Senato
di Roma e quelli di Bisanzio; ovverosia non potevano piu' essere interessi organicamente uniti.
Quindi Leone I, da una parte
rifiuta una tattica minimalista in occidente, una tattica del 'salviamo il
salvabile', una tattica che avrebbe richiesto infiniti patteggiamenti con i
Visigoti e forse anche con i Vandali allo scopo di mantenere un potere reale su
Italia e parte della Provenza, dall'altra adotta una strategia massimalista, in
base alla quale, se Costantinopoli non e' in grado di esprimere qui e ora un
vero potere sulla vecchia parte occidentale dell'impero avoca a se' questo
diritto formale per il futuro e dunque per future concrete
intraprese.
Alla fine del regno di Leone I, oppure
all'inizio del regno di Leone II (le fonti non sono affatto univoche), inizia, comunque, l'avventura di Giulio Nepote in
occidente.
Giulio e' giovanissimo, ha appena ventiquattro anni, ed e'
figlio di Basilisco, il fratello di Verina e dunque apparteneva a pieno titolo
alla famiglia imperiale; si trattava, dunque, di una designazione non da poco.
Giulio, gia' comandante in capo degli
eserciti stazionanti in Dalmazia, viene investito del potere imperiale sull'occidente contro ogni campione visigotico.
Giulio
scende in Italia, spodesta Glicerio, ma poi si impantana: il suo esercito e'
debole ed e' costretto a trovare consensi esterni.
Costantinopoli non si impegna
direttamente nell'impresa pur avendola sponsorizzata e provocata.
Quindi la dinastia
cadetta, chiamiamola cosi', all'impero viene coinvolta in occidente e,
contemporaneamente, l'impero rinuncia a intervenire in maniera decisa per
proporre tale investitura.
Giulio si trova a guidare
un'impresa di immagine che solo la sua bravura sapra' rendere sostanziale ed effettiva.
Giulio Nepote non ce la fa, trova consensi
esterni in un barbaro di origine forse unna, un certo Oreste, con il quale, poi,
entra in contraddizione, si verificano degli scontri e alla fine l'imperatore
per l'occidente designato dall'oriente si ritira in Dalmazia, abdicando. Era il
28 agosto 475.
L'avanzata di Nepote e la sua ritirata la
dicono lunga sugli ondeggiamenti della politica protobizantina rispetto
all'occidente: Nepote va avanti in Italia fino a che a Costantinopoli c'e' un
sovrano ostile al ramo cadetto, ma da quando, come vedremo, nel gennaio 475, al
trono ci sara' il padre Basilisco recede e si ritira.
L'impero d'oriente scarica le sue contraddizioni interne
sulla residua immagine di quello d'occidente.
Un'ipotesi.
Nel novembre (o forse agosto, dipende dalle
fonti) del 474 moriva Leone II; aveva appena sei anni di vita e qualche mese di
regno, durante il quale, comunque, aveva incoronato suo padre Zenone
coimperatore.
La morte del piccolo autocrate rivela un
problema successorio che il testamento del nonno aveva sicuramente lasciato
aperto. Quel testamento conteneva delle ambiguita' effettive che riusciamo
difficilmente a spiegarci.
Affidava a un bambino
l'amministrazione dell'impero, anche se lo sottoponeva alla reggenza del padre, Zenone.
La intrapresa di Ariadne, e cioe' l'innalzamento
di Zenone a collega del giovane imperatore, avrebbe sicuramente donato
stabilita' al trono almeno fino all'uscita di Leone II dalla minorita'; ma,
purtroppo per lei, ora l'incoronazione di Zenone ha meno senso e peso
politico.
Insomma la situazione si complica
notevolmente.
Da una parte Zenone, il coimperatore, per
cosi' dire orfano del collega e figlio, puo' accampare sicuri diritti al titolo
imperiale e con lui Ariadne, sua moglie, madre del bambino appena mancato e
figlia dell'imperatore che lo aveva designato.
Ariadne poteva ritenersi
una vera regina - madre, una certa imperatrice.
Ma a Costantinopoli c'era un'altra, potentissima, regina -
madre, Verina, vedova di Leone I e madre di Ariadne medesima; intorno a lei
Basilisco, suo fratello e massimo rappresentante del ramo cadetto della famiglia imperiale.
Fin qui la situazione sotto il profilo
dinastico e parentale.
Piu' sopra abbiamo scritto che il
testamento di Leone I, redatto alla fine del 473, fu un testamento 'greco' in un
nuovo senso del termine. Emerge in quello l'orgoglio autocratico e di
un'autocrazia ellenica che, nell'immaginario, si mette al riparo da influenze
barbariche ed esterne.
Abbiamo scritto per quello di
un'anticipazione, ma le anticipazioni nella storia generano, spesso, effetti di segno opposto e contraddittorio.
Questo e' il caso del
travagliato autunno 474.
La grecita' protobizantina,
alla morte dell'imperatore designato, infatti, rivendica la sua parte: gli
Isaurici a corte, e per primo Zenone, se ne devono andare.
E' sicuramente un
movimento di popolo nazionalista che equipara, nelle sue argomentazioni, lo
strapotere degli Isaurici con quello, da poco tempo terminato (471), dei
Germani di Aspar.
Si tratta, come veduto, di un fenomeno endemico della parte
greca dell'impero.
Ma abbiamo
l'impressione che a questo processo, per cosi' dire 'tradizionale', se ne associ
un altro di carattere religioso e nuovo: la progressiva penetrazione del credo
monofisita nella parte ellenica dell'impero e segnatamente nella stessa Costantinopoli.
Dietro a questo proselitismo c'e' una
nuova ideologia per l'impero protobizantino, ideologia geopolitica e nazionale.
Se le piu' importanti province dello stato,
l'Egitto, la Siria, parte dell'Anatolia e la Palestina, insomma quasi tutta la
parte orientale del regno, la prefettura dell'oriente, aveva in maggioranza
assunto tale identita' religiosa, entrare in contraddizione con quella avrebbe
significato mettersi in lotta con il cuore economico e sociale dell'impero e
abdicare alla tradizionale funzione del mondo romano dell'oriente: contrastare l'espansionismo sassanide.
Se, inoltre, fino a Leone I,
si ha qualche indizio sul fatto che il movimento monofisita nutrisse un'alleanza
tattica con le influenze germaniche a corte che osteggiavano inutili e
dispendiose imprese occidentali, ora questo legame viene meno.
Goti e Alani sono di credo ariano che, sotto il profilo
cristologico e trinitario, si ubicano agli antipodi del pensiero monofisita.
Dunque nel monofisismo si scopre l'ideologia
per una nuova grecita' dell'oriente e soprattutto i ceti medi, gli artigiani e i
commercianti paiono abbracciare questa simpatia religiosa.
Una lettera di Verina viene recapitata a
Zenone; in quella la regina - madre consiglia al genero di non recarsi
all'ippodromo, per la rituale e domenicale epifania dell'imperatore in quello,
poiche' tutto il popolo, il senato e l'esercito sono contro di lui e ne
chiedono la deposizione.
Crediamo che l'imperatore uscente non
abbia avuto bisogno di quella missiva per rendersi conto della situazione insurrezionale che si era creata nella capitale.
Ma e'
sicuro che Verina indica al genero la data, il luogo della sommossa e i
protagonisti di quella: una domenica di gennaio 475, l'ippodromo e le organizzazioni da
stadio di Verdi e Azzurri.
A dare
retta a notizie piu' tarde, del regno di Anastasio e cioe' databili all'ultimo
decennio di questo secolo, tra i Verdi militavano con piu' frequenza
commercianti e artigiani, al contrario tra gli Azzurri piu' forti erano le
simpatie aristocratiche; inoltre tra i Verdi erano piu' frequenti i monofisiti, come tra gli Azzurri gli ortodossi.
Addirittura
Costantinopoli era suddivisa urbanisticamente in due settori, in due demi, l'uno
dove i Verdi predominavano, l'altro dove erano maggioritari gli Azzurri, e in
quei quartieri si innalzavano autentiche avanguardie del tifo e capi popolo di sicura influenza.
Una vera eredita' tardo romana in
epoca protobizantina questa.
Dalla lettera dell'imperatrice sappiamo
che, probabilmente, si e' formata un'alleanza formidabile contro gli Isaurici e
il loro imperatore in Costantinopoli: Verdi e Azzurri sono concordi sulla sua
deposizione e sul suo assassinio.
Aggiunge, inoltre,
che l'intero Senato, dopo il popolo, e' unanime in questo proposito e poi,
addirittura, anche l'esercito e' solidale.
Insomma
appare chiaro che se Zenone si reca allo stadio offrira' il fianco al
completamento politico del movimento popolare e le azioni e le urla di Verdi e
Azzurri offriranno il 'la' ad una notevole congiura.
Ma
la lettera di Verina va avanti e consiglia al genero di lasciare immediatamente
Costantinopoli insieme con Ariadne e con tutti i suoi congiunti.
Insomma Verina spera di ottenere gli effetti della congiura
e insurrezione senza spargimento di sangue nella famiglia reale.
E riesce nel suo intento poiche' la stessa notte della sua
missiva, Zenone, Ariadne e i loro seguito abbandonano Costantinopoli per
raggiungere l'Anatolia.
La storia e' costellata di contraddizioni:
il vero protagonista, il nucleo forte della congiura contro Zenone e gli isaurici fu proprio un isaurico, un generale, un
certo Illus.
Dunque perfino nel fronte degli Isauri si erano aperte
delle fratture e uno di loro organizzava il braccio armato del movimento.
Davvero a Zenone non rimaneva che la
fuga.
E' chiarissima, inoltre, la partecipazione diretta di
Verina alla congiura, come quella di suo fratello Basilisco che quasi subito viene acclamato imperatore.
Una scelta piuttosto strana:
il carisma di Basilisco, protagonista in negativo del disastro di Mercurion di sette anni prima, non era irresistibile.
Rimaneva, per
lui, innegabile il dato dinastico: era pur sempre il cognato di Leone I, detto o
megas, il grande.
Dal canto suo Zenone, l'usurpato, si
rifugia nel cuore dell'Anatolia, nella terra dov'era nato 45 anni prima, nel 430, nella mitica, selvaggia e terribile Isauria.
Insomma se sotto il profilo istituzionale esisteva un solo
imperatore in Costantinopoli, sotto l'aspetto carismatico a quello si contrapponeva un anti imperatore in
fuga.
E ci sarebbe
stata battaglia.
Il nuovo imperatore cerca di fare fronte alla debolezza del suo
carisma.
Per prima cosa va
incontro, non siamo in grado di scrivere se surrettiziamente o concretamente,
alle esigenze che lo avevano elevato al trono.
Abbiamo
notizia di un forte inasprimento della fiscalita' durante il suo governo e
quindi del tentativo di allargare la spesa militare e sicuramente di rafforzare
l'elemento greco nell'esercito.
Contemporaneamente le
relazioni con gli Ostrogoti del magister militum per Illyricum Teodorico
divennero molto tese.
Basilisco, pero', non riesce a liberarsi di questo
vicino e lontano collaboratore.
In
ogni caso il nuovo autocrate cerca di onorare l'ideologia nazionalista che gli
ha concesso il trono; ideologia, lo ribadiamo, importantissima per la
definizione del concetto di bizantino e della storia dell'impero bizantino.
Ma e' sul fronte religioso che Basilisco si propone come
sovrano rivoluzionario.
Si ha notizia di un editto imperiale
incontrovertibile; si tratta dell'Encyclica emessa in questo stesso 475.
In quell'azione di legge l'imperatore annulla i portati
dell'editto di Calcedonia del 451, ridando valore alle decisioni del concilio illegale di Efeso del 449.
Il
monofisismo diveniva, in forza di questo decreto, il credo ortodosso
dell'impero.
In verita' l'imperatore non pretende di appiattire
l'ortodossia sul credo monofisita, ma di utilizzare le decisioni conciliari che
precedono Calcedonia per riunificare l'oriente con l'occidente greco e porre
fine alla diaspora etnica e religiosa che attraversava da venticinque anni il mondo protobizantino.
Sbaglio' nelle forme e forse anche
nella sostanza: rinnegando Calcedonia, infatti, Basilisco rinnegava anche i
canoni che concedevano al patriarca di Costantinopoli supremazia su tutta la
chiesa orientale, cioe' all'ideologia di Costantinopoli uguale e seconda solo
a Roma.
In oriente, in base a tale intrapresa legislativa,
Alessandria diveniva principalis potestas in materia religiosa.
Fu questo un gravissimo errore politico, anche se sotto
il profilo della strategia del potere imperiale era una grande intuizione: liberarsi dell'ingerenza e del carisma
del patriarca bizantino.
Ma nella contingenza Basilisco si metteva contro parte del
nazionalismo greco che aveva contribuito a porlo sul trono; se dunque Siria ed Egitto gioirono, non tutto il mondo
ellenico fece altrettanto.
Per le cose scritte poco sopra, l'imperatore si poneva in
un deciso fronte religioso anti barbarico e anti occidentale, anti germanico e
anti romano al contempo, in una dimensione dell'impero greco del tutto orientale.
Chiudeva, infatti, con i patteggiamenti e le
trattative con il pontefice, definiva una originalita' religiosa orientale e una
chiara autonomia in quel campo del mondo orientale.
Il patriarca Acacio di
fronte all' Encyclica dell'imperatore drappeggio' di nero l'altare
maggiore della chiesa di Santa Sofia, imitazione di San Pietro in Costantinopoli
e la piu' grande basilica cristiana dell'oriente.
Un
anacoreta, Daniele, che da quindici anni non scendeva dalla sua colonna in
Costantinopoli, se ne venne giu' in segno di protesta; la reazione del popolo fu forte.
Alla fine, Basilisco ritiro' l' Encyclica temendo
una seconda insurrezione popolare, questa volta contro di lui.
Fu tanto e tale lo scandalo che l'editto del 475 provoco'
nel mondo ortodosso e poi in Roma, che al ritorno di Zenone al trono, papa
Simpliciano invio' lui non la solita e tradizionale beneaugurante comunicazione, ma una epistola accorata in cui lo salutava come sacerdote e
principe della fede.
Simpliciano si sbagliava sul conto
del restaurato imperatore giacche' Zenone recuperera' ben presto, se non nelle
forme nei contenuti, l'Encyclica del predecessore, ma testimonia in quella
lettera dello scandalo e la preoccupazione provocata dalle imprese religiose di
Basilisco.
Sotto il profilo della politica religiosa,
il principato di Basilisco si presenta, dunque, con un segno rivoluzionario.
Come veduto, pero', deve fare i conti con la contingenza
storica e in quella subisce una grave battuta di arresto. Alla fine Basilisco ritira l'Encyclica.
Ma il nuovo imperatore e usurpatore
doveva anche confrontarsi con la realta' variegata del fronte che lo aveva designato la governo.
Innanzittutto Verina,
protagonista del complotto, vedova del vecchio Leone e potentissima regina -
madre. Di Verina abbiamo gia' veduto l'eclettismo ideologico: simpatie
monofisite accompagnate a nostalgie pagane o neo pagane.
E con quest'ingombrante sorella si apre rapidamente uno
scontro che culmina con l'assassinio dell'amante di lei, un certo Patrizio.
Patrizio, che era magister officiorum nel sacro concistoro,
e in buona sostanza ministro degli interni, probabilmente ambiva al diadema
imperiale al posto di Basilisco e Verina appoggiava questa candidatura.
Questa rivalita' testimonia di una grave crisi nelle
alleanze che stavano dietro Basilisco.
Poi viene il caso
di Armazio, nipote dell'imperatore, che all'ippodromo si atteggia a nuovo
Achille, assume atteggiamenti paganeggianti e provoca scandalo in citta'.
Insomma la corte di Basilisco non riesce a rappresentare la
rivoluzione religiosa ed etnica che l'imperatore pare volere portare avanti; anzi le dona i connotati di una
rivoluzione da operetta.
Infine c'e' ancora aperto il caso di Illus, magister
militum Isaurico e plenipotenziario a corte.
Dietro
questi segnali contraddittori si avverte il riflusso del movimento popolare che
sicuramente aveva contribuito alla designazione di Basilisco e alla fuga di
Zenone.
Zenone era fuggito precipitosamente insieme con la
moglie Ariadne in Isauria; ma non si era condannato affatto a un esilio volontario e a un allontanamento
dall'attivita' politica.
Zenone rende la regione terra di partenza per la guerra
civile e fin da subito la controlla politicamente e militarmente.
Stringe immediatamente un allenza con gli Ostrogoti di
Teodorico, che, in quanto magister militum per Illyricum, controllava gran parte
del piano balcanico. In spregio a qualsiasi ideologia nazionalista greca
promette a quelli, in cambio dell'alleanza, un ulteriore avanzamento dei loro
insediamenti in Tracia e Mesia.
Teodorico prende alla
lettera l'alleanza e si mette a minacciare sempre piu' da vicino
Costantinopoli.
Insomma Basilisco rischia
l'accerchiamento. Fatto ancora piu' grave Illus defeziona, fugge in Anatolia e
si mette al servizio di Zenone: insomma l'esarcebato nazionalismo ellenico del governo di Basilisco non paga
politicamente.
La
situazione si fa critica e Basilisco, nominato Armazio magister militum lo invia
in Anatolia alla testa di un esercito, ma quell'esercito si liquefa come neve al
sole e lo stesso comandante, dietro la promessa della carica di prefetto del pretorio per l'Oriente, abbandona il
campo di Basilisco.
E' la fine; con gli Ostrogoti che incombono sulla capitale
e Zenone che risale l'Anatolia ci sono ben poche speranze per l'imperatore usurpante.
Basilisco depose il diadema e si arrese senza
combattere, chiese in cambio solo la vita salva per se' e per i suoi familiari; fu inviato insieme con quelli in Cappadocia, dove
mori' l'anno seguente.
Era l'autunno del 476 e Zenone rientrava a
Costantinopoli.
Degli aspetti formali del rientro di Zenone
in Costantinopoli non si sa molto, anche perche' l'Isaurico non aveva mai cessato di considerarsi l'imperatore
legittimo.
Dunque chiusi i conti con l'usurpatore e riappacificatosi
con Verina, lo stato del suo principato pare tornare ai suoi esordi, di venti mesi prima.
Ma ci sono dei debiti da pagare, sconosciuti
al suo precedente brevissimo impero.
Innanzitutto andiamo a vedere quelli contratti con gli
Ostrogoti.
Zenone si era servito,
nella guerra civile, tanto degli Ostrogoti di Teodorico Strabone che
stazionavano in Tracia, quanto di quelli di Teodorico l'Amalo che erano
insediati in Mesia.
Aveva a entrambi i capi barbari
promesso ampliamenti insediativi nei Balcani e cariche e onori pubblici in Costantinopoli.
Segnatamente il giovane Teodorico
l'Amalo era fin dal 473 magister militum per Illyricum e, dunque, ricopriva la suprema carica militare per la penisola balcanica.
Ora
entrambi i germani presentavano il loro conto.
Insomma una situazione di non facile
amministrazione.
Un grave debito, poi, l'imperatore
reinsediato lo aveva contratto con la sua stessa gente, la gente di Isauria, che
lo aveva nascosto, assistito, gli aveva fornito forza militare e ottimi
generali.
Costoro in massa, come un seguito, si erano insediati nuovamente
in Costantinopoli.
Particolarmente
grande era il debito di riconoscenza verso Illus, capo carismatico degli Isauri,
che con la sua defezione aveva contribuito in maniera decisiva alla vittoria di
Zenone sull'usurpatore.
E il debito verso Illus era
ingombrante anche perche' sospettiamo che il generale Isaurico abbia fornito il
ponte diplomatico tra Zenone e la regina - madre Verina, risoltasi a sbarazzarsi
del governo goffamente rivoluzionario del fratello.
Insomma le motivazioni che avevano provocato la guerra
civile e la insurrezione di Costantinopoli del 475 si ripresentavano ingigantite.
Zenone doveva, dunque, muoversi con estrema
circospezione.
Ma accade qualcosa di ancora piu' pregnante e
significativo per la storia bizantina e per il corso del governo del 47enne
isaurico; un evento che, almeno formalmente, ha in se' dei contenuti epocali: il venire meno, in occidente, della carica imperiale.
Evento
che, vulgo, viene descritto come caduta dell'impero romano d'occidente.
E, dunque, occorre ritornare agli accadimenti dell' occidente, del
convulso occidente.
Qui dopo la ritirata
di Giulio Nepote (agosto 475), Oreste, plenipotenziario barbaro, pone sul trono
il figlio Romolo Augustolo.
Sappiamo che Basilisco non
riconosce l'intronizzazione, e, sicuramente, avrebbe fatto la medesima cosa Zenone se avesse potuto.
Dunque a Bizanzio la cosa non
piace e forse non piace neppure al senato di Roma, ma e' difficile la
valutazione.
Sta di fatto che una confederazione di
Eruli, Alani, Sciri e Turcilingi, dunque popolazioni germaniche e mongoliche riunite, penetra in Italia e chiede di 'federarsi' in
quella.
In buona sostanza una parte dei suoi connazionali chiede ad Oreste di
concedere loro un favore.
Non sappiamo se
Oreste penso' all'Italia, all'impero o al suo potere personale, sta di fatto che
rifiuto' la federazione.
Ci fu un'insurrezione tra i nuovi arrivati
che si scelse un capo univoco, un certo Odovocar, Odoacre nelle sonorita'
romanze.
Odoacre non era un uomo appena uscito dalle steppe,
conosceva bene l'occidente, aveva ammirato Severino, l'intrepido resistente
latino del Norico, crediamo che fosse cristiano, non sappiamo di quale tendenza.
Insomma aveva perfettamente il senso della
situazione.
I ribelli assediano Oreste in Pavia, la espugnano, saccheggiano e
bruciano.
Oreste riesce a
sfuggire ma, raggiunto a Piacenza, viene li' ucciso il 28 agosto del 476, a un
anno esatto dalla intronizzazione del figlio.
Poi, depone
Romolo Augustolo, riducendolo in confino in Campania (la stessa terra dove fece
traslare le spoglie di Severino dal Norico, un particolare erudito ma
illuminante) e compie un atto rivoluzionario.
Organizza, infatti, una ambasceria a favore del
ristabilito imperatore d'oriente, Zenone, questa ambasceria conduce con se', ed e' il suo vero contenuto, le insegne
imperiali di Augusto.
Con quelle Odoacre rinunciava per se' o per qualcuno dei
suoi all'acquisizione del potere imperiale, come prima cosa, ma dichiarava,
inoltre, decaduto definitivamente, uscito dalla storia, il seggio occidentale
dell'impero: non ci sarebbe piu' stato un imperatore in occidente, che fosse
espressione dell'occidente.
Per se', Odoacre si limito'
ad acquisire il titolo di rex gentium, letteralmente re delle genti, ma secondo il lessico giuridico internazionale, re dei barbari stanziati in
Italia.
Quindi, tra le altre cose, in questa sua intronizzazione,
Odoacre rinunciava all'esercizio del potere su tutta la popolazione italiana, il
suo era un incarico militare, di tutela militare dell'Italia e sotto il profilo
amministrativo e politico si limitava alla sua federazione di gentili.
Con le insegne di Augusto se ne andava, anche nella forma,
il diritto comune e collettivo romano dall'Italia.
L'atteggiamento di Zenone di fronte a questa ambasceria fu ondivago e
ambiguo.
Zenone accetto' le insegne e
dunque apprezzo' la diminuzione che Odoacre proponeva per se', ma subito si propone di obliterarla.
La carica di rex gentium
applicata all'Italia avrebbe di fatto equiparato la penisola ai regni romano - barbarici di Gallia, Spagna e Africa.
Un'equiparazione
concreta, anche se non formale, giacche' Odoacre preferisce, con grandissimo
senso politico, non attribuirsi titoli nazionali.
Zenone
dapprima pare addirittura rifiutare l'idea della estinzione del soglio imperiale
romano e, inopinatamente, conferma il figlio dell'appena deposto Basilisco,
Giulio Nepote, imperatore per l'occidente, ma, si badi bene, si tiene lontano dal consegnare lui le mitiche
insegne di Augusto.
E, in
effetti, Giulio Nepote rimarra' imperatore per l'occidente sino alla sua morte,
avvenuta nel 480, in seguito ad un ammutinamento delle sue truppe dalmate.
Chiaramente
Giulio non ebbe mai la forza e la determinazione di entrare in Italia e si
limito' ad esercitare il ruolo imperiale dalla sua residenza in Dalmazia; in
ogni caso va annotato che, per via di questa anomala intronizzazione
occidentale, secondo gli storici bizantini l'impero romano d'occidente non viene
meno nel settembre del 476 ma solo nel 480.
Poi Zenone offre ad Odoacre una carica obliterante il
titolo di Rex Gentium e lo inserisce, almeno formalmente, nel vivo dell'amministrazione militare bizantina.
Il capo erulo
viene, infatti, nominato Magister militum per Italiam, e cioe' comandante in
capo degli eserciti imperiali stazionanti in Italia; questi eserciti non erano
altro che i gruppi di Eruli, Sciri, Alani e Turcilingi che Odoacre si era portato dietro.
Dunque Zenone percepisce il pericolo di
una titolatura bassa in Odoacre: si badi bene il capo barbaro aveva deciso unilateralmente della fine della carica imperiale
nell'occidente.
Insomma l'autocrate cerca di mettere a registro e di
inquadrare questa pericolosa e sfrontata diminuzione del barbaro.Si crea dunque
verso l'Italia una situazione di forte ambiguita' che portera' nel giro di pochi
anni, segnatamente dal 482 in poi, a gravi tensioni scontri e conflitti dei
quali scriveremo.
Abbiamo altrove rimarcato come l'ideologia imperiale
protobizantina erediti dall'epoca tardo romana l'idea della sua universalita':
l'imperatore ha da compiere una missione che riguarda tutta l'umanita'.
Non c'e' carica politica ne' titolatura in tutto lo scenario
internazionale che possa essere equivalente a quella dell'imperatore di Roma.
Ora, nel 476 o 480, Costantinopoli si prende in carico la
univocita' di quel titolo e la sua unicita' e inimitabilita'.
Ci puo' essere un solo imperatore nel mondo e questo
imperatore e' il garante del diritto civile romano, delle relazioni
internazionali tra i popoli, della cristianizzazione e dell'evangelizzazione del mondo, oltre che della difesa della vera fede.
L'impero protobizantino assume su di se' tutti questi
compiti e fino al VII secolo li perseguira' concretamente, passando attraverso
la riconquista dell'occidente di Giustiniano e la travolgente campagna anti -
persiana di Eraclio del 630.
Il contesto che accompagna la riacquisizione del trono di
Zenone e', come scritto, un contesto problematico.
C'e'
il problema degli Ostrogoti, quello degli Isaurici e, infine, rimane Verina,
autentico ostacolo a corte al pieno dispiegamento del potere imperiale.
Ed e' proprio Verina
a intonare l'inizio delle tensioni politiche.
Mentre Zenone prende tempo verso i due Ostrogoti, ai
quali, in parte, doveva l'impero (e ci sono affrontamenti diplomatici e qualche
scontro armato di contorno per il periodo che va dal 477 al 481), Verina sembra riscoprire il partito nazionalista greco.
Organizza una
congiura che dovrebbe eliminare Illus, ma le guardie del palazzo riescono a
individuare ed arrestare il sicario.
Si tratta, in
verita', di un crescendo di azioni ostili che alla fine convincono Illus e buona
parte dei suoi Isaurici a lasciare Costantinopoli e a 'barricarsi' nella terra
natale, l'Isauria (479).
Ma la congiura contro Illus e la cacciata degli Isaurici
non aveva fatto i conti con il complesso scenario internazionale che a Zenone si
presentava.
Le intraprese di Verina producono sul regno di Zenone effetti non
propriamente positivi.
Nel 479 la situazione internazionale precipita.
In quell'anno, infatti, gli
Ostrogoti di Teodorico l'amalo entrano in Macedonia, occupano l'Epiro e giungono
fino a Tessalonica, assumendo il controllo di gran parte delle coste della
Grecia orientale; si apre a loro la via verso Costantinopoli.
Per di piu' il nobile amalo inizia a infiltrarsi nella
Tracia. Gli Ostrogoti intendono prendersi cio' che loro, tre anni prima, nel vivo della guerra civile, era stato
promesso.
La situazione militare si fa grave.
In quello stesso criticissimo anno un disastroso
terremoto colpisce Costantinopoli; i danni sono gravissimi e, soprattutto per
Zenone, buona parte della cinta muraria della citta' crolla o rimane seriamente
compromessa, tutto questo mentre gli Ostrogoti sono a pochi giorni di marcia
dalla capitale.
Ci si adopera, in fretta e furia, a
restaurare l'opera difensiva, ma mentre si fa questo si richiede aiuto al
partito isaurico e in special modo a Illus che le mene di Verina avevano di
fatto costretto all'esilio.
Zenone in persona richiama a se' il generale suo
consanguineo.
Insomma a
Costantinopoli si vivono notevoli convulsioni e a renderle ancora piu' acute
contribuira' lo stesso Illus.
Si riaccende una fase che,
comunque, abbiamo veduto aperta sin dal 475.
Illus accetta di intervenire a favore di Zenone solo a
determinate condizioni; la principale di quelle sta nell'allontanamento di Verina da Costantinopoli.
Zenone accontenta il generale,
esilia la suocera e la spedisce prigioniera e controllata proprio in Isauria, in una fortezza ben munita di quella regione inospitale.
Illus rientra a Costantinopoli con tutti i suoi armati e
viene nominato magister officiorum, ministro dell'interno.
Il partito nazionalista greco era, momentaneamente, alle
corde insieme con la sua componente eclettica, la regina - madre Verina. Ma quel
movimento e tendenza ormai pluridecennale nel mondo protobizantino rapidamente riaffiorera' con forza tra pochi anni.
Per ora, comunque,
Zenone puo' utilizzare gli Isaurici per contrastare gli Ostrogoti nei Balcani.
L'anno seguente, il 480, muore Giulio Nepote, duca
di Dalmazia e investito formalmente del governo imperiale dell'occidente.
La morte di Giulio avviene a causa di una congiura militare
della quale non e' chiaro il mandante.
Sta di fatto che, subito dopo, Odoacre
si precipita ad occupare la Dalmazia e a dichiararla parte integrante dell'Italia da lui controllata.
Formalmente la campagna
di Odoacre si presenta come una missione punitiva contro Ovida e Vittore, cioe'
contro coloro che avevano organizzato la congiura contro Giulio Nepote; si
tratterebbe, dunque, di un'azione di giustizia e vendetta.
In realta' ci spieghiamo adesso la circospezione usata da
Zenone nei suoi confronti quattro anni prima: Odoacre ha occupato, con quel
pretesto, territori che sono assolutamente di pertinenza bizantina e non riusciamo a capire in base a quale diritto, probabilmente
nessuno.
Anzi la diminuzione di Odoacre si sostanzia in una assenza del
diritto per lui.
Le relazioni tra l'imperatore e il Re delle Genti si fanno
inevitabilmente tese.
Gli anni che vanno dal 475, anno del ritiro
dell'Encyclica di Basilisco, al 482 sono anni tormentati anche sotto il profilo religioso.
La caduta di Basilisco e il ritiro dell'editto
che rinnegava le decisioni di Calcedonia provoca nell'oriente bizantino un crescendo di inquietudini
religiose.
Alessandria,
Antiochia e Gerusalemme divengono teatro di quotidiani torbidi e sommosse al cui
centro stanno i monofisiti.
La lingua religiosa dell'autonomia orientale riprende
fortemente vigore.
Zenone si trova in una situazione internazionale difficile e
dentro una corte Isaurica non particolarmente amata in Costantinopoli giacche'
l'allontanamento di Verina non dovette piacere molto ne' al senato ne' a gran
parte del popolo della capitale dove cresce ancora una volta, in verita', il partito anti germanico e anti isaurico.
Le agitazioni
nella parte orientale dell'impero non sono altro che la quadratura del cerchio
di questa instabilita' politica generale e la complicano notevolmente.Qualche
successo Zenone riesce, comunque, ad ottenerlo: nel 481 muore Teodorico Strabone
e il gruppo di Ostrogoti che a lui faceva riferimento viene abilmente recuperato
all'impero.
La parte piu' vicina a Costantinopoli della Tracia viene
normalizzata.
E' un notevole, anche se non decisivo, successo.
Zenone crede che sia giunto il
momento di ridare unita' religiosa all'impero e soprattutto di ritrovare un
minimo di popolarita' in quello e per fare questo e' costretto a tornare al suo
precedessore, Basilisco, e alla sua Encyclica.
La
redazione dell'Henotikon e' il segno di una svolta importante, uno spartiacque,
nel governo di Zenone: si ritorna all'attenzione verso l'oriente dell'impero, si
recupera con quella l'ideologia nazionalista ellenica e, se del caso, e questo
sara' il caso, si rompe con l'occidente, sia esso l'ariano Teodorico l'Amalo,
Odoacre o il Papa di Roma Simpliciano e la sua rappresentanza nel senato di
quella citta' dell'occidente, antica, ormai solo antica, capitale.
Papa Simpliciano aveva salutato il ritorno di Zenone al
trono, dopo la parentesi di Basilisco, con una calorosa missiva nella quale
scriveva: "Ci rallegriamo al vedere in voi lo spirito di un sacerdote e di un principe ricco di fede".
I rallegramenti di Simpliciano
erano piu' che giustificati, apparentemente il partito anti monofisita, con
Zenone, a Costantinopoli trionfava o, quantomeno, si tornava ad una versione
moderata e non spericolata intellettualmente e politicamente dell'idea
monofisita.
Nei primi anni del suo governo, in effetti,
Zenone non prende posizione in materia religiosa; e', pero', la realta' di Siria, Palestina ed Egitto a costringerlo a questa
intrapresa.
E Zenone torna sulle orme di Basilisco ma con
maggiore accortezza.
Nel 482 emette l'Henotikon , ovverosia 'Editto di unione'.
Lo emette
sotto la forma di un indirizzo alle chiese orientali, precisamente quella di
Alessandria.
Una
delle critiche principali all'Encyclica del suo precedessore era stata quella di
avere sanzionato decisioni conciliari senza avere convocato concilio episcopale
alcuno.
Zenone si limita a un rescritto, dunque a una
lettera 'privata'; ma quella lettera privata, secondo la consuetudine giuridica
romana, giacche' proveniva dall'imperatore poteva acquisire valore di legge.
Insomma Zenone emana un decreto senza ufficializzarne
l'emanazione.
In quella lettera privata l'autocrate non
si sognava di rinnegare, come Basilisco, i portati del concilio di Calcedonia,
tutt'altro, li riteneva chiaramente validi; dunque non condannava il tomus di
Leone Magno che aveva accompagnato quel concilio, ne' negava la priorita' del
patriarcato di Costantinopoli in oriente.
No consigliava qualche cosa di
diverso.
Zenone consigliava a tutti i cristiani dell'impero di
tenere per buone le conclusioni dei concili di Nicea (324) e Costantinopoli
(380); quei concili avevano chiuso i conti con l'eresie trinitarie
(l'arianesimo, tanto per intenderci) e fornivano un impianto sufficiente alla
definizione dell'ortodossia cattolica.
Bisogna,
dunque, mettere semplicemente da parte le disquisizioni cristologiche,
affrontate a Efeso nel 431 e a Calcedonia nel 451.
Zenone era consapevole del fatto che il duofisimo
radicale, il nestorianesimo, condannato nel primo dei due concili e il
monofisismo suo contrario, condannato nel secondo di quelli, rappresentavano,
secondo diversi aspetti, il 'cuore politico' dell'oriente.
Il livello teologico della lettera di Zenone e'
volutamente basso: non si affronta mai, in quella, il problema della natura del
Cristo, cioe' non si entra nello specifico delle disquisizioni di Efeso e Calcedonia.
Ma si fa una chiara affermazione e cioe' che
gli unici concili di riferimento sono Nicea e Costantinopoli e che saranno
colpiti da anatema e dalla legge coloro che seguiranno dottrine divergenti da quelle stabilite in quei concili, a partire da 'Calcedonia e
altrove'.
Questa locuzione vuol dire tutto e il contrario di tutto:
puo' significare una riabilitazione dei nestoriani come dei monofisiti; nella
concretezza politica del 482 significa la volonta' di riunificare la chiesa dell'oriente e di superare politicamente le diversita'
teologiche.
In ogni caso Calcedonia, la maledetta, per i monofisiti,
Calcedonia, se non rinnegata veniva posta dietro le quinte e in secondo piano.
L'editto di unione produce degli effetti notevoli.
In primo luogo recupera gran parte del movimento monofisita
orientale che accetta il rescritto; si allarga un'area moderata di tale pensiero
eretico disposta a una mediazione con l'imperatore e il patriarca di Costantinopoli.
In brevissimo tempo, in oriente
scompaiono torbidi e sommosse e la critica radicale all'imperatore greco e all'ortodossia rimane patrimonio di correnti radicali
sufficientemente isolate.
Come sufficientemente isolate rimangono le reazioni
estremistiche dei duofisiti accaniti.
Insomma si
viene a creare un grande partito moderato, di duofisiti e monofisiti, che
accettano l'Henotikon, rintuzzato da due ali estreme e opposte.
Questo quadro politico, la tripartizione della politica
religiosa protobizantina, produce al momento fenomeni di stabilizzazione, con il
tempo e con il riemergere di correnti ortodosse a corte (alla fine del secolo)
portera', al contrario, ad una complicazione del quadro politico e ad una sua
piu' difficoltosa amministrazione.
Ma lo si sa bene che
le strade dell'inferno sono costellate di buone intenzioni; per il momento,
nella contingenza storica, le buone intenzioni di Zenone sono assolutamente
vincenti e salutari per l'impero e non conducono a nessun inferno.
Due anni dopo, in questo clima di pacificazione
religiosa, puo' insediarsi in Alessandria, dietro la sponsorizzazione del patriarca di Costantinopoli Acacio, Paolo il
Balbo.
Paolo
e' un acceso monofisita, ma come tutti i moderati tra di loro non pretende di
riscrivere la storia della chiesa e dei concili; manifesta le sue idee senza che
quelle debbano avere una valenza politica e istituzionale.
E' quello che l'Enotikon si proponeva.
L'elezione di Paolo il Balbo del 484 alla cattedra di
Alessandria rappresenta il punto di rottura tra la politica di
Zenone e del patriarca Acacio, che saggiamente e prudentemente l'aveva guidata in quel campo, e il papa di Roma, Felice III.
Gia' dopo
l'emissione, ufficiosa come veduto, dell'editto di unione, il Papa aveva
richiamato severamente l'imperatore; gli aveva inviato un messaggio nel quale
gli ricordava che era suo dovere rimettersi ai sacerdoti in materia di fede.
Avvertimento che faceva il
paio con quello inviato da Simpliciano contro Basilisco sette anni prima.
Ma, ora,
l'elezione di Paolo in Alessandria presuppone il coinvolgimento della gerarchia
ecclesiastica nel disegno dell'imperatore.
Felice, allora, convoco' un sinodo che scomunico' il patriarca di
Costantinopoli.
Alla
notifica della scomunica, avvenuta in maniera informale e gustosa nella chiesa
di Santa Sofia, il patriarca Acacio reagi' scomunicando a sua volta il Papa di Roma.
Il papa, con la sua intrapresa, rendeva tutta la
gerarchia ecclesiastica dell'oriente libera dall'influenza di Costantinopoli;
qualsiasi Patriarca, Vescovo o ecclesiastico dell'oriente greco poteva
appellarsi alla decisione del pontefice contro qualsiasi azione presa in materia
ecclesiastica e teologica da Acacio.
A sua volta
Acacio, scomunicando il Papa, disconfermava la serieta' politica e morale di
Felice, non rinnegava la principalis potestas della chiesa di Roma, ma
denunciava il fatto che era caduta nelle mani di un incapace e, dunque, ogni
Vescovo dell'occidente avrebbe potuto eccepire, in nome di tale atto, alle decisioni del pontefice.
In verita' la scomunica e la
contro scomunica non ottennero gli effetti desiderati ne' nell'uno ne'
nell'altro campo.
Rischi maggiori, va detto, li correva
Acacio, giacche' il carisma di San Pietro era duro a cancellare anche nella monofisita Alessandria.
Alessandria, per di piu',
attraverso il suo patriarca Atanasio era debitrice fin dal IV secolo verso
Roma per l'appoggio che il papa aveva costantemente concesso alla
lotta contro il dilagante arianesimo nella comunita' greco- orientale; piu' di
una volta l'intrepido Atanasio si era rifugiato in occidente, a Roma o a Milano,
per sfuggire all'arresto ordinato dagli imperatori filo ariani (Costanzo II, tra i primi).
Sappiamo inoltre che alle origini del
movimento monofisita sta l'esperienza politico - religiosa dei monasteri
egiziani dispersi nel deserto e ardentemente anti ariani e anti imperiali di
quel secolo e che in quelli si struttura l'organizzazione stessa del movimento
monofisita.
Ma sara' un argomento sul quale torneremo nel descrivere la
genesi, nel secolo seguente a quello in trattazione, della chiesa di rito
egiziaco, copto e di credo monofisita e cioe' di una chiesa, sotto il profilo di
quella contingenza storica, autenticamente rivoluzionaria.
Sicuramente in Egitto non c'e' nessuno disposto ora, nel
484, a prestare orecchie alla scomunica del papa di Roma; lo scenario dei
conflitti tra i cristiani dell'epoca tardo romana e' radicalmente cambiato e
Roma, per gli Egiziani e i Siriani, e' lontana e nemica ancor piu' che
Costantinopoli.
Ma lo 'scisma breve' ha un'importanza storica enorme a nostro
parere; in due decenni il mondo protobizantino offre tre anticipazioni di
portata epocale:
1) l'ideologia di un'autocrazia divina con l'incoronazione
di Leone I del 457;
2) l'idea di un'autocrazia civile con il testamento di
quel medesimo imperatore a favore del nipotino Leone II (473);
3) la definizione, ancora timida ma vera, di una autonomia
religiosa da Roma, tanto in Basilisco nel 475, quanto in Zenone nel 482.
In questi due decenni il mondo protobizantino rivela capacita' di adeguamento e trasformazione davvero incredibili e che non disconfermera'.
L'impero di Zenone, governo come si sara'
ampiamente capito non facile, si porta dietro in aggiunta tutte le
contraddizioni del vecchio mondo tardo - romano; non ultime le persistenze di
una aristocrazia senatoriale con nostalgie pagane e 'vetero
imperiali'.
Verina, della cui origine e biografia abbiamo altrove
scritto, sicuramente le rappresenta bene; ma le rappresentano ancora meglio, nel
versante plebeo e popolare, le popolazioni delle regioni interne della Siria, in massima parte contadine che insorgono in nome della
restaurazione del paganesimo.
E' il 483 e siamo, cioe', nell'anno seguente
alla promulgazione dell'Henotikon.
Alla testa di quell'incredibile movimento di popolo si mise un
isaurico, un certo Leonzio.
La ribellione si
fece armata e molto pericolosa; la pericolosita' di quel movimento di popolo ci
fa ulteriormente ragionare sulla effettiva e approfondita cristianizzazione
delle campagne dell'oriente e non solo dell'oriente.
Riteniamo che, almeno fino al VI o addirittura VII secolo
in oriente e forse fino all'VIII o IX secolo in occidente, il persistere del
paganesimo nelle campagne e, forse nelle citta', fosse realta' storica non indifferente.
La finzione ideologica imperiale,
ovviamente, dava per disperso questo proselitismo religioso fin dalla fine del
secolo precedente a quello in oggetto; ma ci sono troppi indizi per non pensare
ad una zona grigia, impenetrabile al pensiero ufficiale e ai suoi resoconti che,
se non apertamente pagana e dunque epidermicamente evangelizzata, mantenesse con
i vecchi riti e liturgie pagane un forte legame.
L'esplosione del culto dei santi locali e patroni delle
comunita', proprio nel mondo bizantino del VII - VIII secolo, di fronte a
particolarissime evenienze storiche che mettevano in discussione l'esistenza
stessa della societa' e dell'impero bizantino, che mettevano in dubbio, cioe',
'la salute dell'impero' come l'avrebbero detta nel III secolo i pagani di Roma,
non fa che fortificare questa nostra ipotesi.
Anche su questo torneremo a tempo debito.
In ogni caso
la rivolta della Siria trova una sua specificita' politica e cioe' degli alleati
istituzionali e dunque si inserisce in un contesto politico
ufficializzato.
Potente segno
questo dell'instabilita' e incostanza dei tempi in cui si trova a governare
Zenone.
In quello stesso anno, il magister officiorum, Illus
sfugge all'ennesimo attentato in Costantinopoli. Anche questa volta il sicario viene fermato e disarmato dalle
guardie palatine.
Il
mandante e' Ariadne, l'imperatrice, che, secondo le fonti, non perdona
all'Isaurico l'esilio della madre nella selvaggia Anatolia.
Non crediamo che le motivazioni di Ariadne fossero
esattamente queste; riteniamo piuttosto che dopo la pacificazione della Tracia
per la morte di Teodorico Strabone, dopo l'adozione di Teodorico l'Amalo da
parte di Zenone, (adozione avvenuta giusto in quest'anno e della quale
riparleremo) e, soprattutto, dopo la pacificazione religiosa che l'Henotikon
aveva introdotto in molte province dell'impero, la presenza degli Isaurici a corte fosse meno importante e
decisiva.
Si poteva ridare
respiro, dunque, al movimento nazionalista ellenico gia' descritto.
Illus, dunque, per la seconda volta abbandona
Costantinopoli, ma, inizialmente non in veste di ribelle.
Zenone, infatti, gli aveva affidato proprio il compito di
reprimere la rivolta pagana della Siria; lo allontanava dunque dalla citta' ma non lo destituiva.
Insomma l'imperatore attendeva gli
eventi e verificava il suo collaboratore e contemporaneamente gratificava il
partito di Ariadne.
All'azione contro i ribelli pagani di Leonzio avrebbe
dovuto partecipare anche Longino, che era il fratello dell'imperatore; anzi
Longino si trovava gia' sul posto e guidava le operazioni militari.
L'unica qualita' di Longino era quella di essere uno
stretto parente dell'autocrate, altre, a quanto affermano le fonti, non ne aveva.
Tra il generale incaricato delle operazioni e il
fratello dell'imperatore sorgono dei forti contrasti e alla fine Illus si
risolve a sbarazzarsi di Longino: lo fa arrestare e segregare in Antiochia.
Zenone a questo punto, annotiamo la notizia con un certo
stupore, dichiara il generale 'nemico pubblico', fa requisire tutti i suoi beni
e lo bandisce dall'impero.
Illus era caduto in una trappola tesagli dal partito nazionalista
ellenico?
C'e' da credere a questa ipotesi.
Ma lo stupore, per il regno di Zenone, non ha
limiti e gli eventi che seguono la rovina pubblica di Illus la dicono lunga
sulla instabilita' dell'impero che, costantemente, Zenone cercava di
controbilanciare.
Illus, a questo punto, passa dalla parte dei ribelli
pagani di Leonzio; insieme con quello prende possesso anche dell'Isauria,
portando la rivolta nel cuore dell'Anatolia, dove molte popolazioni interne non
erano del tutto insensibili al tradizionale politeismo, ingrossa le sue fila e libera l'imperatrice Verina.
Verina, l'eclettico sogno
neopagano e monofisita ad un tempo, si trova liberata proprio da colui che
aveva, pochi anni prima, fatto perseguitare.
Segue una
marcia trionfale, giacche' Leonzio e Illus hanno nel loro seguito e nella loro
futura corte la regina madre.
La revanche neo pagana trionfa tra Siria interna e
Anatolia meridionale; e per certi versi sembra quasi di essere ritornati al
governo di Giuliano l'Apostata di 120 anni prima.
Il 27 giugno 484, a Tarso, Leonzio viene incoronato
imperatore dalle mani di Verina; dopo di cio' l'esercito neo pagano in una marcia irrefrenabile punta verso sud e occupa
Antiochia.
Ed ad Antiochia si stabilisce una corte alternativa a
quella di Costantinopoli con Leonzio come imperatore.
Il
mondo pagano ponendosi, costitutivamente, al di fuori e al di sopra delle rissa
tra duofisiti e monofisiti, finisce per garantire meglio di quello cristiano le
esigenze di entrambi, e infatti Antiochia accoglie con notevole giubilo il nuovo insediamento
imperiale.
Leonzio da' all'Enotikon una
facies alternativa.
Nel 483, all'inizio della rivolta neo pagana, Zenone
aveva cercato in ogni modo di riavvicinarsi agli Ostrogoti che stazionavano nei Balcani e che avevano
occupato Epiro e Macedonia.
Questo
riavvicinamento era stato favorito dal recupero di una parte degli Ostrogoti,
quelli che seguivano Teodorico Strabone.
In quell'anno
Teodorico l'Amalo, vero protagonista delle attivita' delle tribu' gote, aveva
accettato l'adozione imperiale: Zenone lo aveva adottato come
figlio.
L'anno seguente Teodorico
viene addirittura eletto console e gli viene riconosciuto il governo della
Tracia e della Dacia.
Solo a patto di questi incredibili riconoscimenti, il
giovane Teodorico accetta di partecipare alla campagna anti pagana e anti antiochena.
Zenone, in ogni caso, ha assoluto
bisogno della sua collaborazione.
La campagna si rivela
tutt'altro che facile: solo nel 488, e cioe' dopo quattro anni di durissimi
scontri, l'impero di Leonzio, Illus e Verina viene eliminato.
Negli ultimi anni del conflitto si verifica una
sanguinosissima guerra di posizione nelle regioni interne dell'Anatolia, dove si si sono asserragliati i ribelli.
Alla fine le teste
mozzate di Leonzio e Illus vengono portate in trionfo a Costantinopoli, mentre
Verina ha pensato bene di morire di morte naturale prima dell'innevitabile
cattura ed esecuzione.
Finisce, cosi', una rivolta,
sicuramente significativa, ma per certi versi sciocca, che aveva
determinato la necessita' di assoldare in maniera ancora piu' approfondita di
prima gli Ostrogoti di Teodorico e di cooptare quel giovane germano alle piu'
alte cariche dell'impero e dello stato.
Niente di nuovo sul fronte orientale, giusto per
parafrasare il titolo di un'opera cinematografica non troppo recente.
Il tradizionale nemico di Costantinopoli, l'impero
Sassanide, sta vivendo un periodo estremanente critico della sua vita politica.
Questa criticita' ha un solo nome:
gli Unni bianchi.
Vale a dire una orda degli Unni che
disinteressandosi dell'occidente (Balcani e Reno), punta direttamente a meridione.
Questi gruppi dall'Ucraina dove,
stabilmente, stazionano da mezzo secolo, si spingono lungo il Caucaso e
investono le province settentrionali dell'impero persiano.
Mentre il problema mongolico e', per il momento, risolto
per l'occidente e per l'impero protobizantino, soprattutto dopo la battaglia dei
Campi Catalaunici e la morte di Attila, abbiamo il sospetto che attraverso vie
diplomatiche che non siamo in grado di esplorare esso investa il mondo
persiano.
E' un autentico diluvio. Addirittura il re dei re si trova ad
essere tributario per il suo stesso trono, e dunque ad essere vassallo, degli Unni.
E' costretto, giusto nel
484, a concedere il governo diretto dell'Armenia a quelli.
Insomma, per
fortuna o abilita' diplomatica di Zenone, l'oriente persiano non e' in
grado di esprimere aggressivita' e di creare grossi problemi di confine.
Zenone, dunque, puo' in questi anni
lavorare a tempo pieno alla stabilizzazione religiosa, alla risoluzione delle
contraddizioni interne e alla definizione del problema Ostrogoto; e sta
ottenendo l'importantissima realizzazione di tutti questi obiettivi.
I Balcani erano secondo ogni aspetto controllati dagli
Ostrogoti: in loro mano erano la Mesia, la Macedonia, l'Epiro e addirittura
alcune coste della Grecia orientale, ivi compresa la citta' di Tessalonica.
Per di piu', dal 480 / 481, Odoacre aveva in mano
la Dalmazia.
Insomma sotto la concreta amministrazione
imperiale rimaneva ancora meno di quello che descrivemmo intorno all'eredita' di
Teodosio II: qui ci riduciamo alla Grecia, a parte dell'odierna Serbia e alla Croazia meridionale e occidentale.
Per di piu' su queste
regioni esercitava una sovranita' militare il magister militum per Illyricum,
cioe' vale a dire Teodorico e Teodorico era legato ora da un legame adozionale
con l'imperatore medesimo.
Una
situazione di non facile decifrazione e sicuramente una situazione difficile,
nella quale a capi barbari (Odoacre), facevano da contrappunto altri capi
barbari (Teodorico).
Ma anche qui Zenone mostra le sue doti politiche e di governo.
Di fatto dal 488, ma in verita' dal 486, e'
riuscito a ricostituire una buona e solida unita' all'impero che gli e' dato di
governare; ha saputo ordinare e recuperare energie che parevano perdute.
Zenone ha usato la forza quando era possibile usarla e la
diplomazia quando la forza non poteva essere messa in campo.
In verita' le province orientali sono pacificate, sotto il
profilo religioso, e per di piu' l'impero sassanide non e' in grado di offrire serie minacce.
Il partito nazionalista greco, attraverso
l'imperatrice Ariadne, e la fazione moderatamente monofisita, attraverso l'Henotikon, stanno ridonando nuove energie
all'impero.
Basta non compiere passi piu' lunghi della gamba e Zenone
non li compie.
Per Bisanzio alla questione balcanica e'
indissolubilmente legata la questione occidentale e alla sicurezza dei Balcani si associa la possibilita' del controllo
dell'occidente.
L'occidente, ora, si riduce all'Italia di Odoacre, e'
l'obiettivo piu' alto che l'imperatore, in una fase come questa, si puo' proporre; ma e' un obiettivo percorribile e
Zenone lo persegue.
Inoltre, secondo il sottile discorso diplomatico di
Costantinopoli, l'Italia, oltre che essere terra di riconquista concreta, puo' divenire strumento per una buona
trappola.
Il sacro
concistoro dell'imperatore ha le capacita' e le conoscenze necessarie per
realizzare questa trappola.
Riteniamo che Zenone sia
convinto di questo, insieme, ovviamente, con il suo entourage.
In verita' Zenone provo' un' impresa militare contro
Odoacre subito dopo l'emanazione dell'Henotikon e cioe' tra 482 e 483.
Ma l'impresa falli' e servi' solo a dimostrare che un
esercito greco, da solo, senza l'appoggio degli Ostrogoti, non era in grado di muoversi agilmente in quello
scacchiere.
Per di piu' una
eventuale riconquista dell'Italia avrebbe lasciato i Balcani in pieno possesso
goto e dunque sarebbe stata una revanche obsoleta e con le spalle terribilmente
scoperte.
In nome dell'adozione, le fonti riferiscono
che Zenone abbia proposto a Teodorico addirittura la porpora imperiale per l'occidente, l'autocrate chiede all'ostrogoto di
muovere verso l'Italia.
Ma muovere sgomberando del tutto i Balcani e cioe' portando
via la sua gente, tutta la sua gente, rinunciando agli insediamenti decennali che in quella penisola avevano
creato.
Si riproporrebbe
il caso occorso tra Alarico e l'imperatore per l'oriente
Arcadio ottanta anni prima.
E si propone, ma con maggiore decisivita' strategica dal
punto di vista di Costantinopoli.
Nel 488 Teodorico, viene insignito del titolo di
Patrizio romano e forse anche di quello di magister militum per Italiam, che spodestava Odoacre.
Alla fine l'ingombrante magister
militum per Illyricum, se ne andava via con tutto il suo seguito tribale e
sgomberava incredibilmente i Balcani, che tornavano ad essere bizantini e
'romani'.
Fu un autentico miracolo politico e
l'inizio di una nuova era per Costantinopoli: la fine della coabitazione con i
Germani sulle terre romane e greche.
Zenone fu un imperatore notevole e forse avrebbe
meritato l'appellativo di 'Grande' che, al contrario, non gli fu concesso.
Alla fine del suo regno la questione nazionale era
praticamente risolta: Isauri e Goti non albergavano piu' ne' a corte, ne' spadroneggiavano sulle terre
dell'impero.
Le anomalie
impazzite del regno di Marciano, Leone e Basilisco, anomalie che da trent'anni
lo stato si portava dietro erano state risolte.
Ma
soprattutto era placata la questione religiosa: l'oriente dell'impero, se non
pacificato dall'editto di unione, ne era uscito tranquillizzato.
Questa tranquillita' piaceva sicuramente poco a certo
duofisismo costantinopolitano e ad un certo modo di intendere il nazionalismo
greco, modo sfrontatamente limitato che confondeva, in maniera troppo meccanica,
il greco con il romano.
E Zenone si mosse sull'orlo di un baratro sapendolo
interpretare.
Alla sua morte, alcuni a
Costantinopoli gridarono all'imperatrice Ariadne, chiamata in causa dalle
indecisioni del Senato : "Da' all'impero un imperatore ortodosso, da' all'impero
un imperatore romano".
L'equiparazione tra ortodossia e
romanita' e' sicuramente il prodotto di una ideologia nazionalista ben piu'
limitata di quella che abbiamo descritto in questo capitolo e di quella alla
quale si ispirera' in generale l'impero bizantino.
Che questa componente
'nazionalista', legata all'ortodossia, si premunisca di rinnegare la lezione di Zenone e' fatto notevole.
L'imperatore isaurico viene
vissuto, in quegli slogan, nati in ambienti filo aristocratici e di quella
aristocrazia di ascendenze italiche che si era da un secolo stabilita a
Costantinopoli, come un pericoloso rivoluzionario: un monofisita e un barbaro.
In quegli
stupidi slogan, letti in negativo, si legge la grandezza di questo imperatore,
in verita', moderato, riformatore e diplomatico.
Zenone mori' il 9 aprile del 491 e lascio' un impero largamente piu' solido di come lo aveva ereditato quindici anni prima.