Degli appunti in forma strutturata non meritano un
introduzione e infatti non l'avranno.
Si tratta di un lavoro, che qui
brevissimamente presento, non scientifico e sarebbe stato impossibile produrlo
poiche' mi avrebbe richiesto una ricerca documentaria immensa, trasferimenti,
sopralluoghi e prese dirette in visione insomma un tempo pieno lavorativo e un
pieno e completo impegno intellettuale.
Inoltre, questo lavoro non
contiene, nel suo svolgersi, riferimenti bibliografici precisi e quelli
documentari sono necessariamente indiretti; questi appunti nascono,
esclusivamente, da riferimenti bibliografici generali, dalla maturazione e
rilettura di alcune opere di storia bizantina.
Quindi nessuna bibliografia
ragionata da porre in calce a queste lezioni e appunti ma solo riferimenti
bibliografici generali che si riducono a poche opere che subito
elenco:
Bisanzio : la seconda Roma, la storia dell'Impero Romano d'Oriente, dalla sua nascita nel 330 d.C alla sua caduta definitiva nel 1453 / Ralph-Johannes Lilie. - Roma : Newton & Compton, 2005. (I volti della storia), 176). - 543 p.
Bisanzio : splendore e decadenza di un impero, 330-1453 / John Julius Norwich. - Milano : Mondadori, 2001. (Oscar storia). - 476 p.
Bisanzio e la sua civilta' / Alexander P. Kazhdan. -
Bari : Laterza, 2004. (Economica Laterza, 54). - XV, 234 p.
I bizantini in Italia / Giorgio Ravegnani. - Bologna : Il
Mulino, 2004. (Universale paperbacks, 469). - 240 p.
Bisanzio e Venezia / Giorgio Ravegnani. - Bologna: Il Mulino, 2006. (Universale paperbacks, 495). - 217 p.
I nuovi mondi : 350-950 / [a cura di] Robert Fossier. - Torino : Einaudi, c1982. (Biblioteca di cultura storica, 153). - XLVII, 594 p.
Ortodossia ed eterodossia / Mario Gallina in Storia del Cristianesimo : il medioevo, pp. 118-207. - Bari : Laterza, 2001. (Economica Laterza, 239).
Storia di Bisanzio / William Treadgold. - Bologna : Il Mulino, 2005. - 337 p.
Storia d'Europa dalle invasioni al XVI secolo / Henri Pirenne ; introduzione di Ludovico Gatto. - Torriana : Orsa Maggiore, 1991. - 442 p.
Storia dell'impero bizantino / Georg Ostrogorsky. - Torino : Einaudi, c1968. (Biblioteca di cultura storica, 97). - XXX, 568 p.
La teocrazia bizantina / Steven Runcinam ; con un saggio introduttivo di Silvia Ronchey. - Milano : Sansoni, 2003. - 161 p.
Teodora: ascesa di una imperatrice / Paolo Cesaretti. - Milano : Mondadori, 2003. (Oscar storia). - 339 p.
L'uomo bizantino / a cura di Guglielmo Cavallo. - Roma ; Bari : Laterza, 1992. (Economica Laterza). - XXII, 428 p.
Per la forma e per la struttura narrativa che ho
consegnato a questo lavoro, invece, ho avuto in animo un opera a carattere
scientifico che ha tra i suoi scopi la riproduzione precisa di una lunghissima
epoca, epoca lunga un millennio, che va dall'assunzione all'impero d'oriente di
Marciano, nel 450, e finisce nel 1453, anno della caduta di Costantinopoli.
E
proprio per ribadire questa scientificita' e raggiungere un certo distacco nella
narrazione abbandonero' la prima persona singolare per assumere la prima persona
plurale: il protagonista di questo lavoro, insomma, parlera' il noi, parlera' di
un team, di una squadra ideale che sono le sue letture e i riferimenti
bibliografici appena elencati.
Questa introduzione puo' dirsi finita, ora la
parola passa al 'noi'.
Buona lettura.
Perche' questa datazione? E' volutamente forzata e, lo
ammettiamo, e' di comodo.
Essa fa riferimento a eventi eclatanti per
l'immaginario collettivo ma non pregnanti per le vocazioni sociali e politiche.
Eventi che semmai registrano un avvenuto distacco tra due mondi: la parte
occidentale e quella orientale dell'impero romano.
Questi episodi
formalizzano un divario e indipendenza che gia' da tempo (almeno un secolo)
marciava, soprattutto dopo il 378 e il terribile rovescio subito da Valente ad
Adrianopoli ad opera dei Goti.
Eppure, a nostro giudizio, questi
sono stati accadimenti fondamentali dal punto di vista dell'immagine che il
mondo romano orientale offre, ufficialmente, di se', all'interno, ma pure
all'esterno.
Si compie, in verita', in questi anni, un processo
che attraverso forme differenti e spesso contrastanti si era avviato sin dal 330
con Costantino e la destinazione di Costantinopoli a capitale della parte
orientale dell'impero e a residenza imperiale per eccellenza.
Costantinopoli
ebbe da li' in poi un suo senato e un complesso di esenzioni fiscali che ne
facevano, autenticamente, una Roma dell'oriente e come si disse allora una Nea
Rome.
Quell'espressione 'Nuova Roma' non ebbe particolare fortuna, mentre al
contrario i cittadini dell'oriente continuarono a dirsi oi Romaioi 'I
Romani', pur parlando il greco, fino al 1453 e cioe' alla caduta della citta' in
mano turca.
Si dovrebbe aprire, poi, una trattazione specifica sullo sviluppo
culturale e urbanistico di Costantinopoli da Costantino a Marciano.
Ci sono
notizie sufficienti per ipotizzare che l'area urbana della citta' quintuplico' e
che la vecchia Bisanzio passo' dai 50.000 abitanti dell'epoca di
Costantino ai 600.000 dell'epoca di Marciano
(450/457)
Lasciamo da parte, per il momento, le divagazioni.
I fatti che, pero', ci spingono alla datazione proposta e forzata per nostra
stessa ammissione sono essenzialmente due:
1) la fine della
dinastia teodosiana, con la morte di Teodosio II in oriente e Valentiniano III
in occidente, e dunque la fine dell'unita' dinastica che era stata uno dei
momenti decisivi dell'unita' giuridica delle due partes dell'impero romano,
almeno dal 337 in poi.
Tutto questo tra 450 e 455.
E' chiaro che stiamo
facendo, ora, un discorso sulla contingenza storica. Ma l'impero fino alla
fine del III secolo, aveva avuto bisogno, solo sporadicamente, di collegamenti
parentali per sentirsi unito e rendersi unito.
E', al contrario, il tardo
impero romano che sente questa esigenza, l'impero di Costantino e dei suoi
nobilissimi congiunti.
Dalla morte di Teodosio I (395) questa
necessita' si fa ancora piu' stringente
Ora questo
tratto d'unione viene meno tra il 450 e il 457.
2) poi, sempre nel 457, l'incoronazione e
intronizzazione religiosa di Leone I da parte del metropolita di
Costantinopoli.
Questo accadimento rompe, a livello di immaginario, con
la tradizione di tutte le intronizzazioni laiche e pubbliche dei principes
augusti precedenti, compresi Costantinidi e Teodosiani.
Neanche Costantino, un secolo e mezzo prima,
avrebbe pensato di cooptare il Papa alla sua intronizzazione. La cristianita',
ora, si realizza in maniera diversa nel pensiero imperiale.
Queste tre date (450, morte di Teodosio II, 455, morte di Valentiniano III e 457, intronizzazione di Leone I a Costantinopoli) rappresentano il segno tangibile della fine di un' epoca, per come nella storia sia legittimo parlare di epoche ed evi storici.
Perche' proto bizantina?
Perche' fino a Giustiniano sicuramente e cioe' almeno
fino alla prima meta' del suo regno (540 circa), l'impero d'oriente non perde di
vista l'occidente.
Va riconosciuto un primo periodo di sbandamento, tra i
principati di Marciano, Leone e Zenone (450-491), in cui la fine dell'unita'
dinastica e le imprese vandaliche in occidente determinano un interessamento
essenzialmente strumentale alle questioni italiciane e ispaniche.
Ma presto
si riafferma l'idea imperiale nella quale le restituite insegne di Augusto
assumono di nuovo valore storico e politico, come si rafforza l'idea di una
unita' politica e religiosa con il papato che l'henotikon, emesso da Zenone nel
482, aveva decisamente minato.
L'asse strategico
dell'impero rimane sbilanciato a occidente, insomma, e la tematica della
riconquista giustinianea ci appare come una tematica legittima e non il
frutto di un colpo di testa personale e personalistico.
Persino nell'ultima parte di questo periodo cioe'
quella che va dal 575 al 610, in cui la riconquista dell'occidente si riduce ad
un riflusso dei bizantini sulle citta' costiere della Spagna e dell'Italia e in
cui la pressione persiana, slava e avara minaccia Siria e Balcani, si paga il
pegno della precedente politica senza sapersene provvidamente sbarazzare.
A questo proposito, se
pensiamo che citta' marittime dell'Italia settentrionale come Genova, Ravenna e
Venezia, pur essendo lontanissime da qualsiasi possibilita' di continuita'
territoriale, rimarranno in mano bizantina ben oltre l'epoca individuata e
denominata (Genova fino al 645, le altre fino all' VIII secolo), possiamo ben
percepire come dietro lo spirito giustinianeo stessero istinti e interessi
profondamente radicati nella storia 'proto bizantina' e capaci di riprodursi
nell'epoca successiva ancora con un certo successo.
La terza cosa che ci preme ribadire e che stupisce
gli occhi degli storici e' il fatto che non esiste un 'fondatore' dell'impero
bizantino.
Lo stupore e' stato risolto con qualche designazione
estemporanea.
Si indica in questo Costantino, ma paiono posizioni di comodo,
queste sul serio. Autentiche pigrizie storiografiche. Non a caso, infatti,
l'impero bizantino viene descritto, per chi ha abbracciato queste posizioni,
come qualcosa che, inoppugnabilmente, fu, ma che, forse, sarebbe meglio stato
non ci fosse.
Certo, Costantino, esattamente come Augusto Ottaviano, 350 anni
prima, si sente investito da una missione e ispirato da un lieto annuncio, eu
angelos, e il suo dominato sara' assolutamente nuovo e, per certi versi,
rivoluzionario.
E in effetti l'imperatore non mentiva, ne' alla gente ne' a
se stesso. L'impero di Costantino, per politica religiosa, economica, tributaria
e militare fu, sul serio, una nuova parola, un modo nuovo di parlare al mondo,
non un modo bizantino, ma semplicemente tardo romano.
Costantino aveva troppo chiaramente in mente i problemi di
Gallia e Britannia per essere considerato il primo imperatore
bizantino.
A onor del vero bisogna riconoscere che la sua
riforma economica e monetaria ando' assolutamente a favore e incontro
all'esigenze dell'oriente; l'occidente, infatti, non supero' quella terribile
prova e da li', da quella riforma del 320, nasce la profonda separazione tra le
due partes.
Ma non crediamo che sia qui il punto.
Costantino pensava all'unita' dell'impero, anche
se all'oriente, grazie al proselitismo cristiano li' radicalmente stabilizzato,
affidava un compito fondamentale: la costituzione dell'ideologia per il nuovo
impero romano. Un impero 'romano cristiano', questo era il suo obiettivo, e
chiaramente Siria ed Egitto, profondamente evangelizzate, non potevano che
rappresentare l'area dura, lo zoccolo socialmente impermeabile, sul quale
basare l'intera operazione.
Ma ci sono altri elementi che ci inducono a
allungare il periodo di incubazione della civilta' bizantina, oltre che a
posticiparlo: Costantino, il riformatore e rivoluzionario, si era comunque detto
'vescovo di quelli di fuori'.
Come interpretare questa definizione che
l'imperatore da di se' fin dal 313 e cioe' subito dopo l'editto di Milano, il
cosiddetto editto di tolleranza verso i cristiani e l'intervento contro l'eresia
donatista africana?
Significa che l'imperatore, seppur simpatizzante e
adottante il cristianesimo, (ma ricordiamoci che Costantino si battezzo' solo in
punto di morte e cioe' nel 337) si faceva carico di governare e amministrare
anche quelli che non stavano dentro la chiesa ufficiale. Egli era anche
l'imperatore di eretici e pagani che avevano facolta' di appellarsi, per
numerose questioni, direttamente a lui.
Ora ci occuperemo soprattutto dei
pagani.
Al momento dell'editto del 313 i pagani erano la stragrande
maggioranza dei soggetti religiosamente attivi nell'impero. Si stima che i
cristiani rappresentassero appena il 25% dei cittadini e non del mondo
romano.
Con, come veduto, delle significative concentrazioni: in Egitto erano
sicuramente maggioranza assoluta, forse gli otto decimi, in Siria circa la meta'
della popolazione religiosa.
Qui emergono differenze, davvero proto
bizantine, nella composizione religiosa dell'impero.
Un occidente di fatto
pagano e un oriente sensibilmente cristianizzato secondo diverse forme e
credenze teologiche. Ma anche all'interno dell'oriente romano emergono
importanti diversita'.
Se in Siria, Palestina ed Egitto la presenza cristiana
e' notevole, nella stessa Siria la meta' della popolazione e' ancora pagana, nel
piano anatolico e in Grecia i pagani sono discreta maggioranza, mentre nei
Balcani costituiscono, oseremmo dire, una maggioranza assolutamente egemone.
Dunque anche l'oriente tardo romano e' diviso
religiosamente ed e' difficile definirlo proto bizantino, come sarebbe difficile
applicare all'imperatore tardo romano dell'oriente la formula di 'vescovo di
quelli di fuori' nell'accezione che avra' in Marciano a Calcedonia, accezione
molto diversa da quella Costaniniana o Teodosiana.
Insomma il paganesimo persiste e persiste al punto
che un editto contro i pagani di Costanzo II, emesso alla meta' del IV secolo,
di fatto abortisce e non viene applicato in nessuna delle due partes
dell'impero.
Anzi quello stesso cristianissimo figlio di Costantino
onora, in una sua visita a Roma, i templi pagani.
Non e' neanche vero che, in
base alle possibilita' loro offerte dall'editto del 313, i Vescovi si mettono ad
amministrate esclusivamente la giustizia; infatti proprio in ragione dello
stesso editto, ci voleva il consenso di entrambe le parti in causa nella
designazione del giudice. Di conseguenza i vescovi si limitarono ad amministrare
la giustizia civile tra i cristiani.
E, insomma, non si ha realmente un
provvedimento persecutorio vero e proprio, ne' in occidente, ne' in oriente e
sicuramente neppure una serie di processi persecutori palesi e
ufficiali.
Accadde qualche cosa di
diverso e soprattutto, meno eclatante.
Negli anni che vanno dal 337, anno della morte di Costantino, al 380, anno dell'editto di Tessalonica, non puo' essere descritta un epoca di messa al bando del paganesimo ma si assiste, semmai, ad un processo disconfermante, processo giocato su molteplici piani.
Innanzitutto un livello giuridico: uno stillicidio di
risoluzioni giuridiche rendono sperequato il valore della parola di un pagano
contro quella di un cristiano.
In molte azioni giudiziarie si mette in
dubbio la legittimita' dei diritti civili fondamentali dei pagani (fare
testamento, ereditare e via discorrendo).
Si tratta di una miriade di precedenti giuridici che, poi,
ma solo poi, sotto Teodosio II, e cioe' nel V secolo, verranno codificati e
formalizzati in un codice che, per per forza di cose, e' un codice legislativo
anti pagano.
Poi la disconferma culturale anche questa realizzata
attraverso strategie diverse e intersecate.
Innanzitutto il venire fuori di
un' immagine del pagano come elemento moralmente instabile e depotenziato,
quando non rozzo eticamente; i provvedimenti contro alcune forme dell'aruspicina
e soprattutto dell'aruspicina domestica testimoniano di questo atteggiamento e
al contempo lo rafforzano.
Si lanciava il sospetto morale sulle pratiche
religiose familiari dei pagani, e questo, a dire il vero fin dal 320,
cioe' da Costantino.
Poi si verificano campagne culturali che potremmo dire
'indirette'.
Esempio tipico di queste e' la campagna di opinione, lanciata e
sponsorizzata dagli imperatori Valente e Valentiniano, intorno al 370, contro la
magia e l'astrologia.
Gran parte della letteratura pagana viene, grazie a questa
accusa, esclusa dalle biblioteche e dalle scuole e, addirittura, solo in oriente
pero', si verificarono torbidi e sommosse con l'assalto di biblioteche private,
case di intellettuali pagani e relativo rogo dei libri.
Poi una disconferma che potremmo dire
'politica'.
L'emergere cioe' di movimenti cristiani estremistici, soprattutto
in Egitto e Siria, per i quali l'azione diretta e l'uso della forza contro i
rivali religiosi (fossero quelli eretici o scismatici o pagani poco loro
importava) e' legittima.
Avremmo anche qui uno stillicidio di eventi e ci
limiteremo a citarne alcuni.
Le teorizzazioni di Atanasio, pluridecennale
metropolita di Alessandria, 'patriarca e papa' d'Egitto, che fu in grado di
provocare per lo meno due gravissime insurrezioni anti pagane e anti ariane in
Egitto.
I tumulti di Antiochia, nel 375, contro la leva generale promossa da
Valente che di fatto ottennero l'esenzione dalla tassa di leva dei cristiani e
la conseguenza che solo i pagani si trovarono esposti a quella.
Oppure il
saccheggio dei templi pagani a Roma, subito dopo un editto apertamente contrario
al culto pubblico pagano emesso da Teodosio I intorno al 382/383.
Sono solo
pochi episodi che ci rendono l'idea della temperie politica dell'epoca.
I
pagani si trovano spesso del tutto indifesi rispetto a questi attacchi e
solitamente i poteri dello stato rimasero inerti e semmai pronti a sedarne la
eventuale contro risposta di piazza.
Insomma, non ci fu una persecuzione ma
uno stillicidio di episodi persecutori contro i pagani, episodi, si badi bene,
non istituzionali.
Era come se il
tardo antico avesse rivoltato il suo calzino religioso: ora la parte che i
cristiani avevano avuto in lui la recitavano i pagani. Loro malgrado,
ovviamente.
Infine una disconferma economica: i templi pagani non
godettero piu' delle esenzioni fiscali tradizionalmente loro accordate e,
soprattutto, persero gran parte del finanziamento pubblico loro concesso, che
ando', invece, alle istituzioni cristiane.
Di qui il decadimento delle gerarchie religiose pagane e la
difficolta' a riprodurle; di qui anche il decadimento edilizio del mondo pagano
e il conseguente scadimento dell'immagine generale del paganesimo.
Ci e' abbastanza chiaro uno dei motivi per il quale, se
nel 313 i pagani rappresentavano l'75% della popolazione attiva religiosamente,
nel 380, probabilmente, ne rappresentavano solo la meta', concentrata ancora
fortemente in occidente.
Ma in ogni
caso il paganesimo non muore e lo vedremo e si rimane, dal punto di vista
religioso, nel tardo antico.
L'editto, emesso a Tessalonica da Teodosio I,
rende il cristianesimo 'religione di stato'.
Negli anni seguenti una serie di
provvedimenti proibiscono il culto pubblico pagano e si dispone la requisizione
degli istituti religiosi pagani: il paganesimo non deve
sopravvivere.
L'imperatore d'occidente, Graziano e quello d'oriente, Teodosio
rifiutarono di assumere il tradizionale titolo di pontifex maximus. Il
pontificato, somma carica pagana, rimase vacante.
In conseguenza dell'editto
vennero ritirate tutte le sinecure e i privilegi fiscali ai templi pagani e
venne abrogata ogni forma di finanziamento verso quelli. Era come dire:
chiudete.
E infatti i templi chiusero, soprattutto i luoghi di culto piu'
grandi in oriente quanto in occidente e a Roma stessa e soprattutto quelli piu'
'visibili', dunque quelli urbani, mentre culti piu' defilati sopravvivevano
nelle campagne.
Qui le due parti dell'impero si differenziano notevolmente:
in occidente, ma soprattutto in Italia e a Roma, la resistenza della maggioranza
pagana si fa sentire e, malgrado la proibizione del culto pubblico, sopravvive
diffusissimo un culto privato, radicatissimo nelle campagne.
Teodosio stesso
sara' costretto, verso la fine del suo regno, a ribadire ai romani la
proibizione del culto funerario pagano, la libatio, una sorta di banchetto
mistico a favore del defunto.
Ma la libatio sopravvive e, infatti, in pieno
quinto secolo un papa e' costretto a stigmatizzarne l'uso diffuso.
Insomma
l'editto emanato a Tessalonica nel 380, sottoscritto da entrambi i colleghi
all'impero, che descrive il cristianesimo come religione ufficiale dell'impero e
religione di stato, proibisce il culto pagano, ma non riesce a sradicarlo.
Questa tensione religiosa, in occidente produrra' pericolosi contro effetti
politici.
Ma, soprattutto, un grande contro effetto religioso: dopo il 380,
sempre piu', i pagani costretti a disertare i loro templi si accostano alla
nuova religione degli imperatori, ma si portano dietro tutto il patrimonio
religioso del vecchio paganesimo.
Le gerarchie ecclesiastiche se ne avvedono
e pretendono, in qualche maniera, di venire incontro al fenomeno.
Quelli che
praticavano la libatio sulle tombe degli antenati, nel V secolo, non erano
affatto pagani, ma cattolici.
Di fatto, dopo Tessalonica, i pagani vengono
equiparati agli eretici (segnatamente gli Ariani) e secondo la logica del
'vescovo di quelli di fuori', pur essendo cittadini in errore, conservano i loro
diritti civili e vengono tutelati dalla legge nei loro interessi
privati.
Qualche anno dopo, nel 390, vengono anche proibiti i giochi
di Olimpia, cioe' quell'incredibile e annuale fenomeno ludico pagano, storico
nel mondo ellenico.
I portati del codice di Teodosio II, emesso nel 428,
determinano per i pagani, in equiparazione con eretici e scismatici, la
impossibilita' di avere legale rappresentanza dei loro beni, di ereditare, di
fare testamento e di unirsi in un matrimonio che abbia effetti legali.
Come
reagisce il mondo pagano a questa stretta teodoside, che potrebbe davvero essere
'proto bizantina' ed in parte lo e', giacche' il 'vescovo di quelli che sono
fuori', l'imperatore, attraverso la sua legge, si rifiuta di tutelarli,
trasformando radicalmente il concetto di ton ekton?
Solitamente, in
oriente, con l'apostasia in punto di morte. Astuzia notevole. Il pagano si
converte sul letto e puo' fare testamento e disporre dei suoi beni, comunque.
Per la vita normale si affida a dei prestanome.
In ogni caso tutti questi
provvedimenti contro i ton ekton, allontanano il paganesimo dalle citta'
commerciali e lo indirizzano verso le campagne e verso i contadini poveri e
privi di qualsiasi sostanza.
Le regioni interne di Anatolia, Siria e
Grecia rimangono con una forte componente pagana, anche in quest'epoca che
potremmo dire davvero, dal punto di vista religioso, 'proto bizantina'.
I
presupposti per il salto epocale, infatti, ci sono tutti.
In occidente tutt'altro scenario: malgrado
Tessalonica, il paganesimo riesce ad avere ancora per tutto il V secolo una
facies ufficiale, un partito dentro il senato e una certa presenza nelle citta',
mentre nella campagne, soprattutto galliche e italiane, rimane egemone. Qui
davvero gli schemi tardo romani nella diversita' tra occidente e oriente
iniziano a saltare.
Insomma il paganesimo sopravvive, a livello
politico come corrente sotterranea e illegale, a livello culturale come un
complesso di credenze teologiche che si accompagnano a pratiche mediche,
pratiche ginecologiche e teorie teosofiche che vengono guardate come
'sottoculturali'.
Il problema e' che il paganesimo continua a rimanere un
fenomeno di massa, una testimonianza della vecchia culturalita' dell'impero,
testimonianza scomoda che riduce il portato della rottura rivoluzionaria operata
da Costantino.
Perche' la rivoluzione sia compiuta, perche' si entri in
oriente in un nuovo lessico, un lessico bizantino appunto, e' necessario che il
paganesimo cessi del tutto, in ogni suo portato culturale.
Nel 451, cioe'
all'inizio dell'epoca che definiamo 'proto bizantina' viene stabilita la pena di
morte per i pagani. L'imperatore e' Marciano.
I pagani vengono colpiti nella
persona e nell'esistenza: neanche nella campagne piu' povere e desolate si puo'
essere pagani.
Non sappiamo nulla dell'applicazione dell'editto; sappiamo
solo che non risolse rapidamente il conflitto con i pagani.
In piena epoca
giustinianea, forse nel 541, in Siria, la popolazione pagana insorse e ci volle
l'intervento dell'esercito per riportare l'ordine cui segui' una repressione
spietata.
Qualche anno prima, Giustiniano aveva fatto chiudere la
Scuola di Atene, luogo storico dell'intellettualita' ellenistica, non troppo
legata alla dogmatica cristiana.
Forse solo con Giustiniano, in pieno VI secolo, sotto il profilo religioso si puo' dire chiusa l'epoca tardo romana e dunque la sua appendice proto bizantina.
Il problema dell'affermarsi del latifondo
all'interno dell'impero e' avvertito sin dal I secolo d.c., nella famosa frase
di uno storico dell'epoca.
Ma come avverte la medesima frase e' questione che
riguarda principalmente l'occidente e segnatamente l'Italia, dove si passa da un
economia del mansum ad una forma di organizzazione dell'economia agricola
completamente diversa, con una forte concentrazione delle proprieta' agrarie e
una loro centralizzazione intorno a nodi e localita' contigue
geograficamente.
Al lavoro servile si sostituisce in parte il rapporto di
colonato che comporta una netta diminuzione degli agricoltori piccolo
proprietari.
Il fenomeno inizia a manifestarsi in Italia nel I secolo e si
diffonde nel resto dell'occidente lungo il II e il III secolo. Riguarda Gallia,
Hispania e Africa.
E' un fenomeno grave socialmente che provoca numerosi
interventi legislativi da parte del potere imperiale.
Qui non interessa analizzare l'origine del
processo, ma semmai sottolineare che, in oriente, nell'altra partes dello stato
il latifondo non prende cosi' radicalmente piede.
In oriente la piccola proprieta' contadina resiste,
seppur con alcune eccezioni, importanti, ma non decisive.
Dipese da numerosi
fattori endogeni ed esogeni.
Tra i fattori endogeni sicuramente sta il
fatto che la civilta' orientale e' una civilta' urbana, strutturalmente urbana.
Il possesso della terra non e', come in occidente, un inevitabile segno di stato
sociale e di supremazia economica.
La societa ellenistica e' una societa'
mercantile e mercantilista: la campagna circostante la citta' offre a quella una
serie di servizi primari e fondamentali, sostenta e rende effettive le
possibilita' di vita.
Insomma esiste, in oriente, un contesto economico e
culturale per il quale l'affermarsi del grande latifondo e' piu' difficile e
sicuramente piu' lento.
Anche in Egitto, terra sacra e sottratta alle normali
consuetudini romano – ellenistiche, terra dove la proprieta' contadina, la
libera proprieta' contadina, e' vincolata a tutta una serie di prestazioni e
annualita' a favore del 'sacro e divino' potere pubblico, non si hanno indizi
intorno alla formazione di grandi latifondi privati, ma semmai relative al
progredire del latifondo imperiale.
Questo fu, fin dal
II secolo, uno dei primordiali segni di separazione economica e sociale tra le
due partes della repubblica romana.
E veniamo ai fattori esogeni.
Per primo indicherei la
fiscalita' dell'impero o meglio le forme in cui questa fiscalita' si
realizza.
Fin dai tempi di Caracalla (212) e con successive accelerazioni
sotto Aureliano (270/275) e Diocleziano (285/305). il fisco si concentra sulla
proprieta' agricola in maniera stringente.
Il problema non sta tanto nel
carico fiscale che viene deciso, ma nelle forme della sua disposizione e cioe'
si mettono insieme gli strumenti della capitatio (tassa sulle persone
fisiche, un tempo applicabile solo ai non cives, a coloro, cioe', che non erano
dotati della cittadinanza romana) insieme con la iugatio, imposta che gravava
sulle proprieta' agricole.
Per i meccanismi previsti da questi reiterati
provvedimenti fiscali, si trovarono piu' svantaggiate le regioni a scarsa
densita' demografica e cioe' le aree agricole meno popolate finirono per
sopportare una pressione fiscale piu' grave.
In occidente la densita'
demografica era decisamente piu' bassa che in oriente; si ritiene che il
rapporto tra Gallia e Siria fosse di uno contro cinque. Crediamo che questo sia
un buon esempio.
Una fiscalita' alta in occidente e bassa in oriente
determina il fatto che la parte greca, aramaica ed egiziaca dell'impero non
conosce il devastante fenomeno del patronato fiscale, in base al quale i
contadini, incapaci di fare fronte alle imposte cedono le loro proprieta' al
latifondo, in cambio di protezione fiscale.
I provvedimenti fiscali del III
secolo non fanno che accelerare la divaricazione tra le due partes e possono
essere considerate la seconda causa, questa esogena giacche' provocata dal
potere pubblico, della separazione dei due mondi.
Una separazione, come veduto, tutta tardo antica
cioe' che conferma un processo avviato da tre secoli.
Ma l'impero aveva imparato a riconnettere le
due partes, al di la' delle notevoli diversita' economiche, sociali e
religiose che da II al IV secolo emergono.
Innanzitutto in entrambe le due
partes si mantiene la distrettazione dioclezianea: le quattro prefetture, le 12
diocesi e le 100 province.
La struttura militare e la disposizione sul
territorio dell'esercito non mutano di molto.
Per di piu', da Costantino in
poi, la coscienza dell'emergenza di potenti diversita' tra occidente e oriente
induce gli imperatori a costruire e consolidare e poi a reiterare un quadro di
solidarieta' dinastica tra le due porzioni dello stato romano.
Dentro questo
progetto, la realizzazione di un apparato religioso univoco, di una ortodossia,
fosse essa cristiana o pagana (il sogno solariano e restauratore dell'apostata
Giuliano non sfugge a questa tendenza e infatti cerca di risolverla in un
utopistico mondo pagano riunito sotto la unicita' della divinita' di sol) e'
fondamentale ed e' altrettanto fondamentale che l'imperatore sia investito, in
prima persona, del compito e del diritto di mettere in atto e garantire tale
operazione.
Quando l'impero diviene cristiano, l'imperatore si assume il
compito della sua cristianita'. Ma rimane fino al V secolo, almeno, garante di
quelli che stanno al di fuori sia dalla cristianita' ortodossa sia dalla
cristianita' in toto.
Dunque tutti i nomi di quel mondo vengono riassunti
sulla sua persona, compresi i nomi geografici, compresa la 'paganissima'
distrettuazione dioclezianea, validata da Costantino.
Dunque sotto il profilo
dell'organizzazione politico – territoriale cambia ben poco nel mondo romano che
va da III a V secolo, soprattutto nella parte dell'impero, e cioe' quella
orientale, che ha ancora sufficienti motivi per considerarsi romana, secondo
l'accezione dell'epoca.
Nell'occidente si fanno avanti altre forme di
distrettuazioni del potere politico che ben poco hanno a che fare con il mondo
romano e che infatti mal si dialettizzano con il mondo orientale e di fatto non
vengono riconosciute legittime da quello.
La rivoluzione occidentale, cioe'
l'inserimento dei regni romano – barbarici all'interno delle terre dell'impero,
non viene riconosciuta da Bisanzio, spesso in forma palese, piu' frequentemente
in forma occulta.
Qui troviamo una oscillazione che e' completamente, ancora
una volta, tardo antica e che non ci descrive una civilta' nuova e un nuovo modo
di esprimere potenza internazionale.
Il distretto stabilito da Diocleziano
conta ancora per il mondo che definiamo 'proto bizantino'; c'e' ancora
l'esigenza di riaffermare quegli antichi valori, di accantonarli, a tratti, per
esigenze politiche contingenti, ma poi di fargli rivivere, magari in forme
nuove.
C'e' ancora, fino alla fine del VI secolo, l'idea di un impero
romano e del rispetto delle sue strutture amministrative; idea che viene
meno durante la rivoluzionaria dinastia Eracliana (VII secolo).
Ma siamo, qui, in piena epoca
bizantina.
A livello della distrettuazione militare si mantengono
notevoli elementi di continuita' tra epoca proto bizantina e tardo antico.
Si
conservano, innanzitutto, le divisioni tra truppe comitatensi e limitanee e se
e' possibile si approfondiscono. Differenze stabilite fin dai tempi di
Diocleziano (285/305) e ribadite dal governo di Costantino (313/337).
Le
truppe comitatensi, dislocate all'interno dell'impero, intorno all'imperatore e
a gangli nevralgici sono e rimangono contingenti di pronto intervento, mobili
sul territorio e in quelle la cavalleria recita un ruolo preminente.
Per di
piu', Costantino e ancora di piu' i suoi successori, aumentano
considerevolmente i loro ranghi.
Le truppe limitanee, dislocate lungo le
frontiere a controllare valli e fortini di confine, assumono sempre piu'
l'aspetto di guarnigioni di soldati – contadini, che, in cambio della milizia,
possono condurre un'attivita' agricola su appezzamenti posti subito fuori la
cerchia degli accampamenti. Questo aspetto verra' sottolineato e approfondito in
oriente, fino a farne un tratto distintivo della milizia in quella parte
dell'impero; la riforma tematica del VII secolo, riforma pienamente 'bizantina',
non fara' che prendere in eredita', ipostatizzandola e codificandola, la
trisecolare esperienza delle truppe limitanee.
Divergenze tra oriente e occidente si fanno avanti
anche nel campo delle alte gerarchie militari: il dato di partenza fu il doppio
comando unificato, uno per l'occidente e l' altro per l'oriente, stabilito da
Costantino con i suoi due magistri militum, peditum et equitum praesentialis .
In oriente, pero' le piu' alte cariche militari proliferano, determinando
una maggiore divisione dei poteri e una, proporzionalmente, minore
concentrazione degli stessi: al magister militum praesentialis, si associano
nuove cariche nelle alte gerarchie militari, distribuite secondo le principali
aree geografiche della parte orientale dell'impero e avremo cosi', gia' alla
fine del IV secolo il magister militum per Illyricum , accompagnato da un
magister per Traciam e da un altro per orientem.
Insomma gli imperatori
dell'oriente riescono a rimanere, grazie a questa accorta politica
amministrativa, arbitri indiscussi della situazione e a non trovarsi ostaggi di
qualche concentrazione di potere militare. Anzi, in verita', in oriente il
potere dell'imperatore si slega in maniera permanente dall'influenza e
l'influsso dei grandi potentati militari.
La linea autocratica inaugurata timidamente da Caracalla
all'inizio del III secolo, perfezionata da Diocleziano e Costantino, si afferma
radicalmente nell'oriente romano e si realizza nelle forme e nelle strutture
politiche di un impero 'cristiano romano d'oriente'.
La riforma monetaria Costantiniana aveva provocato
un autentico terremoto sociale ed economico e cioe' aveva determinato un crollo
del valore del danarius di rame imbiancato, che, al contrario, sino a
Diocleziano compreso, era stato difeso strenuamente.
I prezzi aumentarono
fino al 1000%, i prezzi di qualsiasi materia o servizio, ivi comprese le imposte
annonarie.
Per un attimo l'economia monetaria parve venire meno e in quasi
ogni parte dell'impero si torno' allo scambio in natura o quanto meno si
accelero' il ritmo della sua diffusione (iniziata, in verita', gia' nel mezzo
del III secolo).
Per di piu', Costantino accompagno'
questa sua riforma monetaria, con una riforma fiscale che colpiva anche i
commerci urbani: il famoso auri lustralis collatio.
La monetazione Costantiniana prevedette l'emissione di
un soldo d'oro di 4,4 grammi di conio (il famoso grammata) cui si legava
l'emissione di una seconda divisa pesante di argento, la siliqua, che pesava
2.24 grammi e valeva 1/24 del grammata e, infine, di una terza divisa
argentea (il nomisma, nella parte greca, nummus in occidente) che corrispondeva
a 1/72 del valore della lira d'oro.
Insomma Costantino, abolendo il
corso forzoso del vecchio danarius di rame imbiancato dall'argento, aveva legato
gli equilibri della sua nuova moneta al reale valore di mercato dell'oro
rispetto all'argento. Si trattava, insomma, di monete estremamente pesanti
rispetto a quelle del secolo precedente.
Piccoli proprietari agricoli, piccoli
imprenditori e artigiani risentirono enormemente di questa febbre da cavallo
dell'economia: i loro vecchi depositi e risparmi, in rame imbiancato, non
valevano piu' nulla o quasi.
I contro effetti economici furono notevoli: ovunque,
come scritto, si torno' allo scambio in natura e la fiscalita' divenne
essenzialmente naturale ma commisurata al valore monetario delle merci e dunque
si appesanti' notevolmente.
Ancora piu' eclatanti i contro effetti sociali:
fuga dei contadini poveri sotto il patronato del grande latifondo, fuga dalle
citta' verso le campagne e un incredibile crisi delle nascite.
Citta' come
Mutina, l'odierna Modena, solo per fare un esempio vicino geograficamente
a noi, persero nel giro di qualche decennio la meta' della popolazione e due
terzi delle forze produttive.
La rovina di Modena e' paradigmatica per la
rovina delle civilta' urbane dell'occidente, anche se, va precisato, la cura di
Costantino non fu capace di cancellare la convivialita' urbana in alcune aree
(come in Italia e Gallia meridionale) ma di ridurla fortemente o, per meglio
dire, di ridistribuirla su una urbanita' rurale diffusa, ma sarebbe una
parentesi lunga e estranea agli scopi di questa trattazione.
In ogni caso
Gallia settentrionale, Spagna e Africa risentono fortissimamente del peso di
questi provvedimenti fiscali e monetari.
Nondimeno l'oriente, comunque.
In citta' come
Antiochia e Alessandria si verificarono gravissimi torbidi e tumulti della fame
e della penuria, reiteratamente, nei quali motivazioni religiose si confondevano
con aspirazioni sociali.
Il IV secolo romano fu, sia in occidente che in
oriente, un secolo di tumulti urbani, brigantaggio e banditismo diffusi.
L'istituzione delle truppe comitatensi risponde anche a questo grave problema di
ordine pubblico.
I due poli estremi dell'impero, Gallia ed Egitto, si
assomigliano, sotto questo profilo, enormemente. In Egitto abbiamo un dissenso
nazionalista che si tinge dei colori dell' antiarianesimo piu' radicale e delle
prime teorizzazioni monofisite e che si nasconde in un reticolo monastico
cristiano disposto nel cuore del deserto a Sud di Alessandria; in Gallia
descriviamo una chiara volonta' autonomista, uno sciopero fiscale che fomenta
gruppi armati e il riferimento alla vecchia e morta 'cultura celtica' della
regione e, in fatto religioso, al paganesimo.
I due poli
dello stesso problema.
Ma tra i due poli c'e' una profonda
diversita'.
Innanzitutto abbiamo indizi che alla morte di Costantino non
tutta la vecchia moneta di rame imbiancato avesse cessato di circolare,
soprattutto in occidente; bisogna ipotizzare una resistenza diffusa di patronati
ma soprattutto autorita' municipali al completo adeguamento dell'economia alle
divise monetarie costantiniane.
Il problema e' tanto grave che uno dei
figli di Costantino e Augusto per l'occidente, Costante, decide di emettere un
denario meno pesante di quello paterno e dunque di avvicinarsi, in modo
moderato, alla politica deflazionistica di Diocleziano, e al contempo ordina la
requisizione di tutta la vecchia moneta di rame imbiancato, il nummus vetus, che
evidentemente continuava a circolare in maniera semi clandestina.
Ne viene
fuori un'insurrezione militare e politica in Gallia che gli costera' il trono e
la vita nel 351.
Tale doveva essere il malessere che intorno al 370,
Valentiniano, reggitore dell'occidente preme il piede sull'acceleratore del
processo deflazionistico, tornando al rapporto di cambio tra oro e argento
che era stato quello dei tempi di Diocleziano.
Il
collega dell'oriente, Valente, non lo segue e pur operando alcuni aggiustamenti
deflazionistici continua a tenere in riferimento i dettati di
Costantino.
Scopriamo, invece, che, nella parte orientale
dell'impero, la terribile cura di Costantino, aveva li' per li' prodotto gli
stessi fenomeni sociali registrati nell'altra, ma poi, gradualmente, la
circolazione monetaria si era rimessa in moto e abbiamo notizie delle prime
tasse dell'annona pagate in moneta sin dal 390; traguardo, questo,
irraggiungibile per la parte latina dell'impero per la quale l'annona rimarra'
una tassa in natura.
Lo scarso successo ottenuto in oriente dall'emissione
del tremisses dell'imperatore Teodosio I, il tremisses era una sorta di divisa
aurea piu' leggera, la dice lunga sulle differenze tra le due partes, perche',
invece, quella divisa ebbe notevole successo in occidente.
Insomma alla fine
del IV secolo, i due imperi si presentano irrimediabilmente divisi
economicamente.
Ma anche aggiungiamo sotto il profilo delle relazioni
commerciali con l'estero.
La moneta di corso forzoso occidentale e',
ovviamente, in quelli deprezzata, barbari e slavi non si sognano neanche per un
breve istante di accettarne il valore nominale; l'occidente si indebita con i
Germani e si indebita anche con Costantinopoli.
I residui capitalisti, appaltatori e argentieri di Italia e
Gallia preferiscono investire i loro profitti nella parte orientale dello stato.
Si verifica, cosi', una vera e propria fuga di capitali.
Qui si puo' dare ragione a chi individua in Costantino il fondatore dell'impero bizantino: in effetti dopo di lui, in ragione della sua politica monetaria, oriente e occidente non solo non coincidono ma non si assomigliano piu'.
L'impero romano era stato il garante dell'unita' e
della sicurezza del mediterraneo e in generale della sicurezza delle vie del
commercio e della mobilita' geografica degli individui.
Gia' alla fine del
III secolo gravi scricchiolii in questo settore si erano registrati: i Goti
prima e i Franchi poi, partendo da alcune basi nel Mar Nero, avevano messo in
piedi annuali imprese di pirateria, che colpirono, in quell'epoca, soprattutto
la porzione orientale del Mediterraneo e sporadicamente si affacciarono fino al
suo cuore, segnatamente in Sicilia.
Dopo Diocleziano, per circa 120 anni, la
sicurezza della navigazione fu ristabilita.
L'irruzione dei Visigoti in
Spagna e Francia meridionale (415/425) e, soprattutto, la conquista dell'Africa
romana ad opera dei Vandali (429) cambia radicalmente il quadro della
situazione.
L'unica area del mediterraneo che rimane
sicura e' quella che si estende dall'Egeo all'Egitto, e' quella cioe' che viene
controllata dalla flotta di Costantinopoli. Altrove il diritto marittimo romano
non si applica e i noli divengono estremamente rischiosi.
A peggiorare la situazione fu il concomitante degrado
delle vie di terra.
In Gallia e Spagna fin dal III secolo, per via del
brigantaggio endemico, divengono insicure; nel IV secolo, malgrado Diocleziano e
Costantino, la situazione delle comunicazioni via terra, in quelle
importantissime diocesi, non migliora.
Nel V secolo, addirittura, la
situazione precipita, per causa dell'irruzione di Visigoti, Vandali, Alani e
Burgundi in quelle aree.
Cosicche' in occidente, nonostante l'insicurezza dei
mari, il trasporto navale delle merci costava 1/10 di quello terrestre. In buona
sostanza il commercio assumeva dei costi insostenibili.
In oriente tutt'altra
situazione.
Eccezion fatta per alcune porzioni dei Balcani, che tra la fine
del IV secolo e la meta' del V, videro l'inserimento di Goti e Unni, e eccezione
fatta per alcune regioni interne dell'Anatolia che subivano l'azione di un
brigantaggio endemico, le vie di terra erano sostanzialmente sicure.
Molto di
piu' sicure furono quelle di mare, che tolta la parentesi di fine III secolo e
tolta qualche scorreria Vandala nel V secolo, rimasero saldamente sotto il
controllo della marineria di Costantinopoli.
Insomma la parte orientale
dell'impero riusciva a mantenere unito il mediterraneo e funzionante l'apparato
viario, per la parte, ovviamente, di sua competenza.
Insomma il commercio internazionale a
Costantinopoli, Antiochia e Alessandria sopravviveva.
Nota e' la passione del mondo greco-romano per i
giochi dello stadio.
Tra questi un ruolo molto importante avevano i
giochi ippici, cioe' vale a dire le corse dei cavalli.
Solitamente le corse
venivano affrontate da squadre rivali, caratterizzate dall'adozione di un
particolare colore sociale: rosso, piuttosto che verde, piuttosto che
azzurro.
Le compagini ippiche funzionavano da volano per tutte le altre
manifestazioni ludiche e cioe' dietro una squadra di equitatori si
formavano compagini di atleti praticanti altre discipline. Insomma si
formavano vere e proprie associazioni polisportive accomunate dall'adozione
del medesimo colore sportivo.
Cosi' a Roma fin dal I secolo, cosi' in
moltissime citta' dell'oriente e dell'occidente, Costantinopoli
inclusa.
Il finanziamento di tali associazioni era, alle volte,
affidato allo stato, altre volte diveniva onere di qualche patronus di buone
sostanze che cercava di procurare al suo colore sportivo i migliori
elementi.
Era questo un fattore di riconoscimento sociale notevole per lui,
giacche' dietro alle associazioni sportive stava il larghissimo seguito della
tifoseria militante e un privato cittadino poteva garantirsi non indifferenti
possibilita' di presa sull'opinione pubblica.
Solitamente, all'interno di una
stessa citta', le compagini sportive erano due (nel caso di Roma del I secolo,
addirittura quattro) e dal momento che i giochi ippici erano spesso
organizzati sotto forma di battaglie cittadine e raramente intercittadine, i
giochi del circo o ippodromo che dir si voglia assumevano l'aspetto e il
significato di quelli che, oggi, modernamente e con terminologia calcistica
chiameremmo derby.
Le tifoserie si dividevano a seconda del quartiere di
appartenenza (c'erano i quartieri dei rossi e quelli dei verdi, tanto per
intenderci) ma anche a seconda delle preferenze politiche e religiose.
A Costantinopoli, ad esempio, all'inizio del VI secolo gli
azzurri sono in prevalenza ortodossi e filo aristocratici, mentre i verdi
simpatizzano per l'eresia monofisita e per i ceti imprenditoriali e
commerciali.
Nel mondo classico e anche in quello tardo romano le
organizzazione da stadio sono state al centro di gravi tensioni politiche e
religiose.
Caso eclatante quello di Pompei, sotto l'impero di Nerone, quando
in un torneo inter cittadino contro Nocera, si verificarono gravissimi incidenti
sugli spalti, durante i quali molte decine di Nocerani furono uccisi. In
conseguenza di cio' l'imperatore si vide costretto a interdire lo svolgimento
dei giochi a Pompei per ben dieci anni.
Caso ancora piu' eclatante e' quello
della rivolta romana del 189, contro il prefetto del pretorio Cleandro, sotto il
regno di Commodo, nella quale le organizzazioni da stadio e i loro finanziatori
non ebbero un ruolo di secondo piano nell'amministrare, coordinare e guidare il
movimento popolare.
Altro caso quello di Tessalonica, occorso alla fine del
IV secolo, durante il governo di Teodosio I, dove la citta' insorse
violentemente contro l'arresto di un campione sportivo. Nella repressione della
rivolta si contarono settemila morti ma durante la rivolta furono uccisi
centinaia di ausiliari goti e lo stesso amministratore militare della
citta'.
Insomma anche nel tardo antico e in epoca protobizantina, le
organizzazioni da stadio mantennero notevole peso sociale e politico.
Lo
vedremo bene nella rivolta di Nike del 532 a Costantinopoli contro Giustiniano e
Teodora: qui le organizzazioni dei verdi e azzurri, improvvisamente gemellate,
indicheranno addirittura un nuovo imperatore.
Insomma la tradizionale passione per lo
stadio, con tutte le sue implicazioni politiche e sociali, tradizionale nel
mondo romano e tardo romano si riproduce in quello proto bizantino.
Bisanzio non nasce come capitale, Bisanzio nasce
come residenza imperiale del IV secolo e, segnatamente, come residenza stabile
di Costantino; in verita' il concetto di capitale amministrativa era
sostanzialmente estraneo alla cultura politica del mondo romano imperiale e,
semmai, apparteneva a quello repubblicano, ancorato alle prerogative politiche
del senato di Roma e alle magistrature da quello espresse.
Ma fin dagli inizi
del principato, e cioe' da Augusto (31 a.c. / 17 d.c.), la nuova nomenclatura
dello stato non vincola l'esercizio del suo potere a una particolare e definita
'capitale'.
Per rispetto delle magistrature repubblicane, rispetto formale,
ovviamente, del quale il medesimo Augusto fece strumento di azione culturale e
tesoro politico, Roma rimaneva capitale amministrativa dell'impero, ma, mano a
mano che le istituzioni repubblicane dell'impero declinavano, il concetto di
'capitale', caput, si trasformava sempre piu' in un riferimento
esclusivamente culturale, interessante magari ma inattuale sul
terreno politico.
Sotto il profilo del principe non c'era una capitale, ma un
centro amministrativo che si spostava, seguendo i suoi stessi spostamenti e
quelli della sua corte e dei suoi ministri.
Cosi' nel 180, la vera capitale dell'impero era in
Pannonia, sotto una tenda militare da dove Marco Aurelio organizzava la campagna
contro Quadi e Marcomanni e governava lo stato.
Se Roma era caput dipendeva, sempre piu',
dalle presenze costanti dell'imperatore in lei, dal fatto di essere residenza
stabile degli imperatori; ma questo derivava dalle preferenze personali degli
imperatori e dalle opportunita' politiche e non piu' dal ruolo istituzionale
della citta'.
Gia' sotto Traiano (98/117), la vera capitale dell'impero
migro' in diverse citta' orientali, da Nicea a Nicomedia per insediarsi
stabilmente in Antiochia.
Una capitale che migra non puo' essere una capitale
e, paradossalmente, a nostro giudizio, l'impero romano, dal II secolo in poi,
non ebbe una capitale definita, se non in ossequio alla tradizione repubblicana
e al tradizionalismo senatorio che quella poneva in Roma.
Ma si trattava di
una finzione politica.
Ancora di piu', il successore di Traiano, Adriano
(117-138), si fermo' raramente nell'urbe e la sua corte fu protagonista di un
nomadismo incredibile.
Antonino Pio,
dopo di lui, tra 138 e 161, per sua propria forma mentale, rimase stabilmente
nella citta' e cosi' Commodo (180/192) dopo la parentesi itinerante di Marco
Aurelio.
Un altro elemento illuminante intorno a questo stato di
cose: a Roma non esisteva e non esistera' mai un palazzo imperiale e cioe' una
residenza Augusta tramandabile da imperatore a imperatore e, per cosi' dire,
legalmente riconosciuta.
Ogni nuovo imperatore se ne costruiva una nuova,
oppure, ristrutturava una situazione architettonica precedente; inoltre, il
palazzo imperiale non apparteneva al demanio pubblico, ma faceva parte delle
sostanze personali dell'imperatore.
L'unico elemento di continuita'
istituzionale stava nel fatto che, solitamente, gli imperatori risiedevano sul
colle palatino, ma sempre in case di volta in volta diverse.
Diciamo che un
intera area di Roma era riservata alle nuove e cangianti residenze
imperiali.
Ci rendiamo conto che e' difficile mettere a fuoco un
processo simile, ma fu un processo reale.
In ogni caso, giacche l'imperatore manifesta il
suo potere in base alla tribunicia potestas e cioe' in base a una antica carica
repubblicana che insiste sulla citta' di Roma, la sede legale del potere,
malgrado le migrazioni di sostanza, rimane in Roma, pur in finzione.
Con
Diocleziano e, soprattutto, con Costantino le cose cambiano radicalmente.
La
tribunicia potestas cessa di essere la fonte legale del potere imperiale e Roma
cessa di essere, anche nella finzione formale, capitale
dell'impero.
Capitali, del tutto anomale rispetto allo spirito repubblicano e
senatorio, iniziano ad essere le residenze stabili degli imperatori: Milano e
Treviri per l'occidente, Nicomedia (poi Costantinopoli) e Antiochia per
l'oriente.
Si badi bene l'unico caput rispetto al tradizionalismo senatorio
che ancora innerva il linguaggio politico romano, rimane Roma, anche se le
residenze imperiali divengono residenze stabili della nuova autocrazia imperiale
in occulta competizione con Roma.
In queste nuove sedi il palazzo imperiale
diviene un istituzione architettonica stabile, che si trasmette da imperatore a
imperatore, che fa parte del demanio pubblico e che e' immagine del potere
politico supremo.
Siamo nel
IV secolo.
Attenzione e si badi bene, l'idea di Roma come capitale
dell'impero non declina, ma si riduce ad essere fonte di identita' politica per
le classi dirigenti dello stato.
Roma capitale muore definitivamente tra i
dominati di Diocleziano e Costantino (285 / 337).
Milano inizia a costruire tutta la sua immagine
urbanistica sul fatto di essere stata destinata a residenza stabile dell'Augusto
dell'occidente, Nicomedia, e dopo di lei Bisanzio, costruiscono in egual misura
la loro immagine sul fatto di essere la residenza stabile, la core zone (per
dirla in termini anglosassoni) dell'impero d'oriente
.
La leggenda vuole che Costantino, nel 324,
decidesse, in seguito a una visione onirica di destinare Bisanzio a nuova
residenza imperiale e a capitale dell'impero per quel concerneva la sua porzione
orientale.
Bisanzio era una colonia, se non ricordiamo male focese, istituita
nel IV secolo a.c.. Era, dunque, una citta' greca, nel pieno senso della
parola.
Dal II secolo a.c. era stata inserita nel tessuto amministrativo
romano ed era, in quell'epoca, un centro di 10 o al massimo 15.000
abitanti.
Ai tempi di Settimio
Severo (imperatore tra il 193 e il 212) aveva parteggiato per la scissione
siriaca promossa da Pescennio Nigro. Una volta sconfitto Pescennio, l'imperatore
l'aveva severamente umiliata, concedendo sinecure e favori commerciali ad altre
citta' dell'oriente.
Nel 324 Costantino decide di ampliare l'area urbana
della citta' di cinque volte e di farne la sua residenza stabile. Si dice che
traccio' il nuovo perimetro della citta' con la punta di una lancia, sentendosi,
dunque, un nuovo Romolo.
L'area della ingrandita citta' abbracciava, in
effetti, giusto sette colli e tutta quest'area ruotava intorno al palazzo
imperiale,e, come dire, prendeva spunto da quello.
Il palazzo imperiale era
disposto sul mar di Marmara, protetto dalle mura litoranee fatte costruire da
Settimio Severo, e opportunamente rinforzate.
L'area, complessivamente
occupata dal palazzo, il Sacrum Palatium, poteva aggirarsi intorno ai
duecentomila metri quadri ed era fornita di edifici dedicati all'amministrazione
della giustizia, di edifici di culto e, naturalmente, di fabbriche dedicate alla
vita politica e privata dell'imperatore.
Quest'area in
epoche successive, cioe' pienamente bizantine (soprattutto nel IX e X secolo)
giunse a contare 400.000 metri quadri e ad essere divisa in settori proibiti,
settori pubblici e settori semi pubblici, fornendo quasi il modello alla citta'
celeste cinese e certamente al Cremlino degli Zar.
Subito accanto al palazzo imperiale e con incredibili
affacci da quello era l'ippodromo della citta'.
Le gare dei cavalli avevano,
direttamente, una tribuna imperiale.
Di fronte al sacrum palatium si ergeva
la struttura in parte lignea della cattedrale di Santa Sofia; cattedrale a
cinque navate e a pianta basilicale, costruita a imitazione di S. Ambrogio di
Milano e S. Pietro di Roma.
Dunque il sacro palazzo, lo stadio e la chiesa
dedicata alla divina conoscenza.
Accanto alla Chiesa e di fronte
all'ippodromo si ergeva il foro dell'imperatore, di li' si diramavano due vie
porticate, l'una verso occidente che usciva dalla porta aurea e una
settentrionale, che passando per una immensa e lunghissima piazza porticata, la
mese', letteralmente 'via di mezzo'' offriva svisate scenografiche, a destra e a
sinistra su diverse chiese e centri commerciali per finire alla chiesa dei Santi
Apostoli e, infine, attraversare le mura.
Le chiese cristiane in epoca
Costantiniana erano gia' una decina, in epoca Teodosiana almeno una
quarantina.
Dopo Costantino e soprattutto con Teodosio II, l'area
della citta' in buona sostanza raddoppio'.
La mese' divenne un incredibile
via – piazza porticata che conteneva eccezionali fughe scenografiche verso la
Chiesa del Cristo Pantocratore e un numero talmente elevato di chiese e
basiliche, lungo il suo percorso, da rendere la coniugazione, ideata da
Costantino, tra potere ecclesiastico e presenza imperiale, rappresentata
urbanisticamente.
La mese' , d'altronde, generava dal palazzo
dell'imperatore e dal suo foro.
E poi ricordiamoci della doppia cinta
muraria, quella di Costantino non fu abbandonata e se ne costrui una seconda,
ancora piu' periferica.
In totale Costantinopoli possedeva, con Teodosio II,
dieci porte disposte verso la campagna e ben nove porte disposte verso il porto
e una doppia cinta muraria munita, a sua volta, di porte interne.
Questo
eccezionale apparato fortificatorio era rinforzato da piu' di ottanta torri,
interne ed esterne.
Dunque il sacrum palatium, il foro insieme con il palazzo
del Senato, la mese', la basilica di Santa Sofia, e quella dei SS. Apostoli e un
insieme di strade larghe e porticate che valicavano per due volte una cinta
muraria impressionante.
Infine un porto, dotato, gia'
allora di fondaci, banchine e moli ciascuno specializzate allo scarico di
particolari merci.
Citta' davvero inimitabile.
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