Lezioni di storia bizantina. Appunti in forma strutturata

Degli appunti in forma strutturata non meritano un introduzione e infatti non l'avranno.
Si tratta di un lavoro, che qui brevissimamente presento, non scientifico e sarebbe stato impossibile produrlo poiche' mi avrebbe richiesto una ricerca documentaria immensa, trasferimenti, sopralluoghi e prese dirette in visione insomma un tempo pieno lavorativo e un pieno e completo impegno intellettuale.
Inoltre, questo  lavoro non contiene, nel suo svolgersi, riferimenti bibliografici precisi e quelli documentari sono necessariamente indiretti; questi appunti nascono, esclusivamente, da riferimenti bibliografici generali, dalla maturazione e rilettura di alcune opere di storia bizantina.
Quindi nessuna bibliografia ragionata da porre in calce a queste lezioni e appunti ma solo riferimenti bibliografici generali che si riducono a poche opere che subito elenco:

Bisanzio : la seconda Roma, la storia dell'Impero Romano d'Oriente, dalla sua nascita nel 330 d.C alla sua caduta definitiva nel 1453 / Ralph-Johannes Lilie. - Roma : Newton & Compton, 2005. (I volti della storia), 176). - 543 p.

Bisanzio : splendore e decadenza di un impero, 330-1453 / John Julius Norwich. - Milano : Mondadori, 2001. (Oscar storia). - 476 p.

Bisanzio e la sua civilta' / Alexander P. Kazhdan. - Bari : Laterza, 2004. (Economica Laterza, 54). - XV, 234 p.
I bizantini in Italia / Giorgio Ravegnani. - Bologna : Il Mulino, 2004. (Universale paperbacks, 469). - 240 p.

Bisanzio e Venezia / Giorgio Ravegnani. - Bologna: Il Mulino, 2006. (Universale paperbacks, 495). - 217 p.

I nuovi mondi : 350-950 / [a cura di] Robert Fossier. - Torino : Einaudi, c1982. (Biblioteca di cultura storica, 153). - XLVII, 594 p.

Ortodossia ed eterodossia / Mario Gallina in Storia del Cristianesimo : il medioevo, pp. 118-207. - Bari : Laterza, 2001. (Economica Laterza, 239).

Storia di Bisanzio / William Treadgold. - Bologna : Il Mulino, 2005. - 337 p.

Storia d'Europa dalle invasioni al XVI secolo / Henri Pirenne ; introduzione di Ludovico Gatto. - Torriana : Orsa Maggiore, 1991. - 442 p.

Storia dell'impero bizantino / Georg Ostrogorsky. - Torino : Einaudi, c1968. (Biblioteca di cultura storica, 97). - XXX, 568 p.

La teocrazia bizantina / Steven Runcinam ; con un saggio introduttivo di Silvia Ronchey. - Milano : Sansoni, 2003. - 161 p.

Teodora: ascesa di una imperatrice / Paolo Cesaretti. - Milano : Mondadori, 2003. (Oscar storia). - 339 p.

L'uomo bizantino / a cura di Guglielmo Cavallo. - Roma ; Bari : Laterza, 1992. (Economica Laterza). - XXII, 428 p.

Per la forma e per la struttura narrativa che ho consegnato a questo lavoro, invece, ho avuto in animo un opera a carattere scientifico che ha tra i suoi scopi la riproduzione precisa di una lunghissima epoca, epoca lunga un millennio, che va dall'assunzione all'impero d'oriente di Marciano, nel 450, e finisce nel 1453, anno della caduta di Costantinopoli.
E proprio per ribadire questa scientificita' e raggiungere un certo distacco nella narrazione abbandonero' la prima persona singolare per assumere la prima persona plurale: il protagonista di questo lavoro, insomma, parlera' il noi, parlera' di un team, di una squadra ideale che sono le sue letture e i riferimenti bibliografici appena elencati.
Questa introduzione puo' dirsi finita, ora la parola passa al 'noi'.
Buona lettura.

1.0. L'epoca protobizantina (450-610)


1.0.1. Una datazione (Bisanzio e il tardo antico)

Perche' questa datazione? E' volutamente forzata e, lo ammettiamo, e' di comodo.
Essa fa riferimento a eventi eclatanti per l'immaginario collettivo ma non pregnanti per le vocazioni sociali e politiche. Eventi che semmai registrano un avvenuto distacco tra  due mondi: la parte occidentale e quella orientale dell'impero romano.
Questi episodi formalizzano un divario e indipendenza che gia' da tempo (almeno un secolo) marciava, soprattutto dopo il 378 e il terribile rovescio subito da Valente ad Adrianopoli ad opera dei Goti.
Eppure, a nostro giudizio, questi sono stati accadimenti fondamentali dal punto di vista dell'immagine che il mondo romano orientale offre, ufficialmente, di se', all'interno, ma pure all'esterno.

 Si compie, in verita', in questi anni, un processo che attraverso forme differenti e spesso contrastanti si era avviato sin dal 330 con Costantino e la destinazione di Costantinopoli a capitale della parte orientale dell'impero e a residenza imperiale per eccellenza.
Costantinopoli ebbe da li' in poi un suo senato e un complesso di esenzioni fiscali che ne facevano, autenticamente, una Roma dell'oriente e come si disse allora una Nea Rome.
Quell'espressione 'Nuova Roma' non ebbe particolare fortuna, mentre al contrario i cittadini dell'oriente continuarono a dirsi oi Romaioi  'I Romani', pur parlando il greco, fino al 1453 e cioe' alla caduta della citta' in mano turca.
Si dovrebbe aprire, poi, una trattazione specifica sullo sviluppo culturale e urbanistico di Costantinopoli da Costantino  a Marciano.
Ci sono notizie sufficienti per ipotizzare che l'area urbana della citta' quintuplico' e che la vecchia Bisanzio passo' dai 50.000 abitanti dell'epoca di Costantino   ai 600.000  dell'epoca di Marciano (450/457)

 Lasciamo da parte, per il momento, le divagazioni. I fatti che, pero', ci spingono alla datazione proposta e forzata per nostra stessa ammissione  sono essenzialmente due:
 
1) la fine della dinastia teodosiana, con la morte di Teodosio II in oriente e Valentiniano III in occidente, e dunque la fine dell'unita' dinastica che era stata uno dei momenti decisivi dell'unita' giuridica delle due partes dell'impero romano, almeno dal 337 in poi.
Tutto questo tra 450 e 455.
E' chiaro che stiamo facendo, ora, un discorso sulla contingenza storica. Ma l'impero  fino alla fine del III secolo, aveva avuto bisogno, solo sporadicamente, di collegamenti parentali per sentirsi unito e rendersi unito.
E', al contrario, il tardo impero romano che sente questa esigenza, l'impero di Costantino e dei suoi nobilissimi congiunti.
Dalla morte di Teodosio I (395)  questa necessita' si fa ancora piu' stringente
Ora questo tratto d'unione viene meno  tra il 450 e il 457.

2) poi, sempre nel 457, l'incoronazione e intronizzazione religiosa di Leone I da parte del metropolita di Costantinopoli.
Questo accadimento  rompe, a livello di immaginario, con la tradizione di tutte le intronizzazioni laiche e pubbliche dei principes augusti precedenti, compresi Costantinidi e Teodosiani.
Neanche Costantino, un secolo e mezzo prima, avrebbe pensato di cooptare il Papa alla sua intronizzazione. La cristianita', ora, si realizza in maniera diversa nel pensiero imperiale.

Queste tre date (450, morte di Teodosio II, 455, morte di Valentiniano III e 457, intronizzazione di Leone I a Costantinopoli) rappresentano il segno tangibile della fine di un' epoca, per come nella storia sia legittimo parlare di epoche ed evi storici.

1.0.2. Una periodizzazione

 Perche' proto bizantina?

Perche' fino a Giustiniano sicuramente e cioe' almeno fino alla prima meta' del suo regno (540 circa), l'impero d'oriente non perde di vista l'occidente.
Va riconosciuto un primo periodo di sbandamento, tra i principati di Marciano, Leone e Zenone (450-491), in cui la fine dell'unita' dinastica e le imprese vandaliche in occidente determinano un interessamento essenzialmente strumentale alle questioni italiciane e ispaniche.
Ma presto si riafferma  l'idea imperiale nella quale le restituite insegne di Augusto assumono di nuovo valore storico e politico, come si rafforza l'idea di una unita' politica e religiosa con il papato che l'henotikon, emesso da Zenone nel 482, aveva decisamente minato.
L'asse strategico dell'impero rimane sbilanciato a occidente, insomma, e la tematica della riconquista giustinianea ci appare come una tematica  legittima e non il frutto di un colpo di testa personale e personalistico.

 Persino nell'ultima parte di questo periodo cioe' quella che va dal 575 al 610, in cui la riconquista dell'occidente si riduce ad un riflusso dei bizantini sulle citta' costiere della Spagna e dell'Italia e in cui la pressione persiana, slava e avara minaccia Siria e Balcani, si paga il pegno della precedente politica senza sapersene provvidamente sbarazzare.
A questo proposito, se pensiamo che citta' marittime dell'Italia settentrionale come Genova, Ravenna e Venezia, pur essendo lontanissime da qualsiasi possibilita' di continuita' territoriale, rimarranno in mano bizantina ben oltre l'epoca individuata e denominata (Genova fino al 645, le altre fino all' VIII secolo), possiamo ben percepire come dietro lo spirito giustinianeo stessero istinti e interessi profondamente radicati nella storia 'proto bizantina' e capaci di riprodursi nell'epoca successiva ancora con un certo successo.


1.0.3. Il persistere del tardo antico: Bisanzio poi Roma e Costantino il Grande

1.0.3.1. Costantino Magno

 La terza cosa che ci preme ribadire e che stupisce gli occhi degli storici e' il fatto che non esiste un 'fondatore' dell'impero bizantino.
Lo stupore e' stato risolto con qualche designazione estemporanea.
Si indica in questo Costantino, ma paiono posizioni di comodo, queste sul serio. Autentiche pigrizie storiografiche. Non a caso, infatti, l'impero bizantino viene descritto, per chi ha abbracciato queste posizioni, come qualcosa che, inoppugnabilmente, fu, ma che, forse, sarebbe meglio stato non ci fosse.
Certo, Costantino, esattamente come Augusto Ottaviano, 350 anni prima, si sente investito da una missione e ispirato da un lieto annuncio, eu angelos, e il suo dominato sara' assolutamente nuovo e, per certi versi, rivoluzionario.
E in effetti l'imperatore non mentiva, ne' alla gente ne' a se stesso. L'impero di Costantino, per politica religiosa, economica, tributaria e militare fu, sul serio, una nuova parola, un modo nuovo di parlare al mondo, non un modo bizantino, ma semplicemente tardo romano.
Costantino aveva troppo chiaramente in mente i problemi di Gallia e Britannia per essere considerato il primo imperatore bizantino.

 A onor del vero bisogna riconoscere che la sua riforma economica e monetaria ando' assolutamente a favore e incontro all'esigenze dell'oriente; l'occidente, infatti, non supero' quella terribile prova e da li', da quella riforma del 320, nasce la profonda separazione tra le due  partes.
Ma non crediamo che sia qui il punto.
Costantino pensava all'unita' dell'impero, anche se all'oriente, grazie al proselitismo cristiano li' radicalmente stabilizzato, affidava un compito fondamentale: la costituzione dell'ideologia per il nuovo impero romano. Un impero 'romano cristiano', questo era il suo obiettivo, e chiaramente Siria ed Egitto, profondamente evangelizzate, non potevano che rappresentare  l'area dura, lo zoccolo socialmente impermeabile, sul quale basare l'intera operazione.

1.0.3.2. Al di la' di Siria ed Egitto: il tardo antico che non vuole morire

1.0.3.2.1. Pagani e cristiani sotto Costantino

 Ma ci sono altri elementi che ci inducono a allungare il periodo di incubazione della civilta' bizantina, oltre che a posticiparlo: Costantino, il riformatore e rivoluzionario, si era comunque detto 'vescovo di quelli di fuori'.
Come interpretare questa definizione che l'imperatore da di se' fin dal 313 e cioe' subito dopo l'editto di Milano, il cosiddetto editto di tolleranza verso i cristiani e l'intervento contro l'eresia donatista africana?
Significa che l'imperatore, seppur simpatizzante e adottante il cristianesimo, (ma ricordiamoci che Costantino si battezzo' solo in punto di morte e cioe' nel 337) si faceva carico di governare e amministrare anche quelli che non stavano dentro la chiesa ufficiale. Egli era anche l'imperatore di eretici e pagani che avevano facolta' di appellarsi, per numerose questioni, direttamente a lui.
Ora ci occuperemo soprattutto dei pagani.
Al momento dell'editto del 313 i pagani erano la stragrande maggioranza dei soggetti religiosamente attivi nell'impero. Si stima che i cristiani rappresentassero appena il  25% dei cittadini e non del mondo romano.
Con, come veduto, delle significative concentrazioni: in Egitto erano sicuramente maggioranza assoluta, forse gli otto decimi, in Siria circa la meta' della popolazione religiosa.
Qui emergono differenze, davvero proto bizantine, nella composizione religiosa dell'impero.
Un occidente di fatto pagano e un oriente sensibilmente cristianizzato secondo diverse forme e credenze teologiche. Ma anche all'interno dell'oriente romano emergono importanti diversita'.
Se in Siria, Palestina ed Egitto la presenza cristiana e' notevole, nella stessa Siria la meta' della popolazione e' ancora pagana, nel piano anatolico e in Grecia i pagani sono discreta maggioranza, mentre nei Balcani costituiscono, oseremmo dire, una maggioranza assolutamente egemone.
Dunque anche l'oriente tardo romano e' diviso religiosamente ed e' difficile definirlo proto bizantino, come sarebbe difficile applicare all'imperatore tardo romano dell'oriente la formula di 'vescovo di quelli di fuori' nell'accezione che avra' in Marciano a Calcedonia, accezione molto diversa da quella Costaniniana o Teodosiana.

1.0.3.2.2  Tra 337 e 380: l'epoca della disconferma pagana

 Insomma il paganesimo persiste e persiste al punto che un editto contro i pagani di Costanzo II, emesso alla meta' del IV secolo, di fatto abortisce e non viene applicato in nessuna delle due partes dell'impero.
Anzi quello stesso cristianissimo figlio di Costantino  onora, in una sua visita a Roma, i templi pagani.
Non e' neanche vero che, in base alle possibilita' loro offerte dall'editto del 313, i Vescovi si mettono ad amministrate esclusivamente la giustizia; infatti proprio in ragione dello stesso editto, ci voleva il consenso di entrambe le parti in causa nella designazione del giudice. Di conseguenza i vescovi si limitarono ad amministrare la giustizia civile  tra i cristiani.
E, insomma, non si ha realmente un provvedimento persecutorio vero e proprio, ne' in occidente, ne' in oriente e sicuramente neppure una serie di processi persecutori palesi e ufficiali.
Accadde qualche cosa di diverso e soprattutto, meno eclatante.

Negli anni che vanno dal 337, anno della morte di Costantino, al 380, anno dell'editto di Tessalonica, non puo' essere descritta un epoca di messa al bando del paganesimo ma si assiste, semmai, ad un processo disconfermante, processo giocato su molteplici piani.

Innanzitutto un livello giuridico: uno stillicidio di risoluzioni giuridiche rendono sperequato il valore della parola di un pagano contro quella di un cristiano.
In molte azioni giudiziarie si mette in dubbio la legittimita' dei diritti civili fondamentali dei pagani (fare testamento, ereditare e via discorrendo).
Si tratta di una miriade di precedenti giuridici che, poi, ma solo poi, sotto Teodosio II, e cioe' nel V secolo, verranno codificati e formalizzati in un codice che, per per forza di cose, e' un codice legislativo anti pagano.

Poi la disconferma culturale anche questa realizzata attraverso strategie diverse e intersecate.
Innanzitutto il venire fuori di un' immagine del pagano come elemento moralmente instabile e depotenziato, quando non rozzo eticamente; i provvedimenti contro alcune forme dell'aruspicina e soprattutto dell'aruspicina domestica testimoniano di questo atteggiamento e al contempo lo rafforzano.
Si lanciava il sospetto morale sulle pratiche religiose familiari dei pagani, e questo, a dire  il vero fin dal 320, cioe' da Costantino.
Poi si verificano campagne culturali che potremmo dire 'indirette'.
Esempio tipico di queste e' la campagna di opinione, lanciata e sponsorizzata dagli imperatori Valente e Valentiniano, intorno al 370, contro la magia e l'astrologia.
Gran parte della letteratura pagana viene, grazie a questa accusa, esclusa dalle biblioteche e dalle scuole e, addirittura, solo in oriente pero', si verificarono torbidi e sommosse con l'assalto di biblioteche private, case di intellettuali pagani e relativo rogo dei libri.

Poi una disconferma che potremmo dire 'politica'.
L'emergere cioe' di movimenti cristiani estremistici, soprattutto in Egitto e Siria, per i quali l'azione diretta e l'uso della forza contro i rivali religiosi (fossero quelli eretici o scismatici o pagani poco loro importava) e' legittima.
Avremmo anche qui uno stillicidio di eventi e ci limiteremo a citarne alcuni.
Le teorizzazioni di Atanasio, pluridecennale metropolita di Alessandria, 'patriarca e papa' d'Egitto, che fu in grado di provocare per lo meno due gravissime insurrezioni anti pagane e anti ariane in Egitto.
I tumulti di Antiochia, nel 375, contro la leva generale promossa da Valente che di fatto ottennero l'esenzione dalla tassa di leva dei cristiani e la conseguenza che solo i pagani si trovarono esposti a quella.
Oppure il saccheggio dei templi pagani a Roma, subito dopo un editto apertamente contrario al culto pubblico pagano emesso da Teodosio I intorno al 382/383.
Sono solo pochi episodi che ci rendono l'idea della temperie politica dell'epoca.
I pagani si trovano spesso del tutto indifesi rispetto a questi attacchi e solitamente i poteri dello stato rimasero inerti e semmai pronti a sedarne la eventuale contro risposta di piazza.
Insomma, non ci fu una persecuzione ma uno stillicidio di episodi persecutori contro i pagani, episodi, si badi bene, non istituzionali.
Era come se il tardo antico avesse rivoltato il suo calzino religioso: ora la parte che i cristiani avevano avuto in lui la recitavano i pagani. Loro malgrado, ovviamente.

Infine una disconferma economica: i templi pagani non godettero piu' delle esenzioni fiscali tradizionalmente loro accordate e, soprattutto, persero gran parte del finanziamento pubblico loro concesso, che ando', invece, alle istituzioni cristiane.
Di qui il decadimento delle gerarchie religiose pagane e la difficolta' a riprodurle; di qui anche il decadimento edilizio del mondo pagano e il conseguente scadimento dell'immagine generale del paganesimo.

Ci e' abbastanza chiaro uno dei motivi per il quale, se nel 313 i pagani rappresentavano l'75% della popolazione attiva religiosamente, nel 380, probabilmente, ne rappresentavano solo la meta', concentrata ancora fortemente in occidente.
Ma in ogni caso il paganesimo non muore e lo vedremo e si rimane, dal punto di vista religioso, nel tardo antico.

1.0.3.2.3. L'epoca teodoside e i pagani: la persecuzione ufficiale (380-450)

 L'editto, emesso a Tessalonica da Teodosio I, rende il cristianesimo 'religione di stato'.
Negli anni seguenti una serie di provvedimenti proibiscono il culto pubblico pagano e si dispone la requisizione degli istituti religiosi pagani: il paganesimo non deve sopravvivere.
L'imperatore d'occidente, Graziano e quello d'oriente, Teodosio rifiutarono di assumere il tradizionale titolo di pontifex maximus. Il pontificato, somma carica pagana, rimase vacante.
In conseguenza dell'editto vennero ritirate tutte le sinecure e i privilegi fiscali ai templi pagani e venne abrogata ogni forma di finanziamento verso quelli. Era come dire: chiudete.
E infatti i templi chiusero, soprattutto i luoghi di culto piu' grandi in oriente quanto in occidente e a Roma stessa e soprattutto quelli piu' 'visibili', dunque quelli urbani, mentre culti piu' defilati sopravvivevano nelle campagne.
Qui le due parti dell'impero si differenziano notevolmente: in occidente, ma soprattutto in Italia e a Roma, la resistenza della maggioranza pagana si fa sentire e, malgrado la proibizione del culto pubblico, sopravvive diffusissimo un culto privato, radicatissimo nelle campagne.
Teodosio stesso sara' costretto, verso la fine del suo regno, a ribadire ai romani la proibizione del culto funerario pagano, la libatio, una sorta di banchetto mistico a favore del defunto.
Ma la libatio sopravvive e, infatti, in pieno quinto secolo un papa e' costretto a stigmatizzarne l'uso diffuso.
Insomma l'editto emanato a Tessalonica nel 380, sottoscritto da entrambi i colleghi all'impero, che descrive il cristianesimo come religione ufficiale dell'impero e religione di stato, proibisce il culto pagano, ma non riesce a sradicarlo. Questa tensione religiosa, in occidente produrra' pericolosi contro effetti politici.
Ma, soprattutto, un grande contro effetto religioso: dopo il 380, sempre piu', i pagani costretti a disertare i loro templi si accostano alla nuova religione degli imperatori, ma si portano dietro tutto il patrimonio religioso del vecchio paganesimo.
Le gerarchie ecclesiastiche se ne avvedono e pretendono, in qualche maniera, di venire incontro al fenomeno.
Quelli che praticavano la libatio sulle tombe degli antenati, nel V secolo, non erano affatto pagani, ma cattolici.
Di fatto, dopo Tessalonica, i pagani vengono equiparati agli eretici (segnatamente gli Ariani) e secondo la logica del 'vescovo di quelli di fuori', pur essendo cittadini in errore, conservano i loro diritti civili e vengono tutelati dalla legge nei loro interessi privati.
Qualche anno dopo, nel 390, vengono anche proibiti i giochi di Olimpia, cioe' quell'incredibile e annuale fenomeno ludico pagano, storico nel mondo ellenico.

I portati del codice di Teodosio II, emesso nel 428, determinano per i pagani, in equiparazione con eretici e scismatici, la impossibilita' di avere legale rappresentanza dei loro beni, di ereditare, di fare testamento e di unirsi in un matrimonio che abbia effetti legali.
Come reagisce il mondo pagano a questa stretta teodoside, che potrebbe davvero essere 'proto bizantina' ed in parte lo e', giacche' il 'vescovo di quelli che sono fuori', l'imperatore, attraverso la sua legge, si rifiuta di tutelarli, trasformando  radicalmente il concetto di ton ekton?
Solitamente, in oriente, con l'apostasia in punto di morte. Astuzia notevole. Il pagano si converte sul letto e puo' fare testamento e disporre dei suoi beni, comunque. Per la vita normale si affida a dei prestanome.
In ogni caso tutti questi provvedimenti contro i ton ekton, allontanano il paganesimo dalle citta' commerciali e lo indirizzano verso le campagne e verso i contadini poveri e privi di qualsiasi sostanza.
Le regioni interne di Anatolia,  Siria e Grecia rimangono con una forte componente pagana, anche in quest'epoca che potremmo dire davvero, dal punto di vista religioso, 'proto bizantina'.
I presupposti per il salto epocale, infatti, ci sono tutti.
In occidente tutt'altro scenario: malgrado Tessalonica, il paganesimo riesce ad avere ancora per tutto il V secolo una facies ufficiale, un partito dentro il senato e una certa presenza nelle citta', mentre nella campagne, soprattutto galliche e italiane, rimane egemone. Qui davvero gli schemi tardo romani nella diversita' tra occidente e oriente iniziano a saltare.


1.0.3.2.4. I pagani in epoca proto bizantina: il persistere di una traccia tardo romana

 Insomma  il paganesimo sopravvive, a livello politico come corrente sotterranea e illegale, a livello culturale come un complesso di credenze teologiche che si accompagnano a pratiche mediche, pratiche ginecologiche  e teorie teosofiche che vengono guardate come 'sottoculturali'.
Il problema e' che il paganesimo continua a rimanere un fenomeno di massa, una testimonianza della vecchia culturalita' dell'impero, testimonianza scomoda che riduce il portato della rottura rivoluzionaria operata da Costantino.
Perche' la rivoluzione sia compiuta, perche' si entri in oriente in un nuovo lessico, un lessico bizantino appunto, e' necessario che il paganesimo cessi del tutto, in ogni suo portato culturale.
Nel 451, cioe' all'inizio dell'epoca che definiamo 'proto bizantina' viene stabilita la pena di morte per i pagani. L'imperatore e' Marciano.
I pagani vengono colpiti nella persona e nell'esistenza: neanche nella campagne piu' povere e desolate si puo' essere pagani.
Non sappiamo nulla dell'applicazione dell'editto; sappiamo solo che non risolse rapidamente il conflitto con i pagani.
In piena epoca giustinianea, forse nel 541, in Siria, la popolazione pagana insorse e ci volle l'intervento dell'esercito per riportare l'ordine cui segui' una repressione spietata.
Qualche anno prima, Giustiniano aveva fatto chiudere la Scuola di Atene, luogo storico dell'intellettualita' ellenistica, non troppo legata alla dogmatica cristiana.

Forse solo con Giustiniano, in pieno VI secolo, sotto il profilo religioso si puo' dire chiusa l'epoca tardo romana e dunque  la sua appendice proto bizantina.

1.0.4 Il persistere del tardo antico: latifundia perdidere Italiam


 Il problema dell'affermarsi del latifondo all'interno dell'impero e' avvertito sin dal I secolo d.c., nella famosa frase di uno storico dell'epoca.
Ma come avverte la medesima frase e' questione che riguarda principalmente l'occidente e segnatamente l'Italia, dove si passa da un economia del mansum ad una forma di organizzazione dell'economia agricola completamente diversa, con una forte concentrazione delle proprieta' agrarie e una loro centralizzazione intorno a nodi e localita' contigue geograficamente.
Al lavoro servile si sostituisce in parte il rapporto di colonato che comporta una netta diminuzione degli agricoltori  piccolo proprietari.
Il fenomeno inizia a manifestarsi in Italia nel I secolo e si diffonde nel resto dell'occidente lungo il II e il III secolo. Riguarda Gallia, Hispania e Africa.
E' un fenomeno grave socialmente che provoca numerosi interventi legislativi da parte del potere imperiale.
Qui non interessa analizzare l'origine del processo, ma semmai sottolineare che, in oriente, nell'altra partes dello stato il latifondo non prende cosi' radicalmente piede.

In oriente la piccola proprieta' contadina resiste, seppur con alcune eccezioni, importanti, ma non decisive.
Dipese da numerosi fattori endogeni ed esogeni.
Tra i fattori endogeni  sicuramente sta il fatto che la civilta' orientale e' una civilta' urbana, strutturalmente urbana. Il possesso della terra non e', come in occidente, un inevitabile segno di stato sociale e di supremazia economica.
La societa ellenistica e' una societa' mercantile e mercantilista: la campagna circostante la citta' offre a quella una serie di servizi primari e fondamentali, sostenta e rende effettive le possibilita' di vita.
Insomma esiste, in oriente, un contesto economico e culturale per il quale l'affermarsi del grande latifondo e' piu' difficile e sicuramente piu' lento.
Anche in Egitto, terra sacra e sottratta alle normali consuetudini romano – ellenistiche, terra dove la proprieta' contadina, la libera proprieta' contadina, e' vincolata a tutta una serie di prestazioni e annualita' a favore del 'sacro e divino' potere pubblico, non si hanno indizi intorno alla formazione di grandi latifondi privati, ma semmai relative al progredire del latifondo imperiale.
Questo fu, fin dal II secolo, uno dei primordiali segni di separazione economica e sociale tra le due partes  della repubblica romana.

E veniamo ai fattori esogeni.
Per primo indicherei la fiscalita' dell'impero o meglio le forme in cui questa fiscalita' si realizza.
Fin dai tempi di Caracalla (212) e con successive accelerazioni sotto Aureliano (270/275) e Diocleziano (285/305). il fisco si concentra sulla proprieta' agricola in maniera stringente.
Il problema non sta tanto nel carico fiscale che viene deciso, ma nelle forme della sua disposizione e cioe' si mettono insieme gli strumenti della capitatio  (tassa sulle persone fisiche, un tempo applicabile solo ai non cives, a coloro, cioe', che non erano dotati della cittadinanza romana) insieme con la iugatio, imposta che gravava sulle proprieta' agricole.
Per i meccanismi previsti da questi reiterati provvedimenti fiscali, si trovarono piu' svantaggiate le regioni a scarsa densita' demografica e cioe' le aree agricole meno popolate finirono per sopportare una pressione fiscale piu' grave.
In occidente la densita' demografica era decisamente piu' bassa che in oriente; si ritiene che il rapporto tra Gallia e Siria fosse di uno contro cinque. Crediamo che questo sia un buon esempio.
Una fiscalita' alta in occidente e bassa in oriente determina il fatto che la parte greca, aramaica ed egiziaca dell'impero non conosce il devastante fenomeno del patronato fiscale, in base al quale i contadini, incapaci di fare fronte alle imposte cedono le loro proprieta' al latifondo, in cambio di protezione fiscale.
I provvedimenti fiscali del III secolo non fanno che accelerare la divaricazione tra le due partes e possono essere considerate la seconda causa, questa esogena giacche' provocata dal potere pubblico, della separazione dei due mondi.
Una separazione, come veduto, tutta tardo antica  cioe' che conferma un processo avviato da tre secoli.


1.0.5. Un'eredita' distrettuale

 Ma l'impero aveva imparato a riconnettere le due  partes, al di la' delle notevoli diversita' economiche, sociali e religiose che da II al IV secolo emergono.
Innanzitutto in entrambe le due partes si mantiene la distrettazione dioclezianea: le quattro prefetture, le 12 diocesi e le 100 province.
La struttura militare e la disposizione sul territorio dell'esercito non mutano di molto.
Per di piu', da Costantino in poi, la coscienza dell'emergenza di potenti diversita' tra occidente e oriente induce gli imperatori a costruire e consolidare e poi a reiterare un quadro di solidarieta' dinastica tra le due porzioni dello stato romano.
Dentro questo progetto, la realizzazione di un apparato religioso univoco, di una ortodossia, fosse essa cristiana o pagana (il sogno solariano e restauratore dell'apostata Giuliano non sfugge a questa tendenza e infatti cerca di risolverla in un utopistico mondo pagano riunito sotto la unicita' della divinita' di sol) e' fondamentale ed e' altrettanto fondamentale che l'imperatore sia investito, in prima persona, del compito e del diritto di mettere in atto e garantire tale operazione.
Quando l'impero diviene cristiano, l'imperatore si assume il compito della sua cristianita'. Ma rimane fino al V secolo, almeno, garante di quelli che stanno al di fuori sia dalla cristianita' ortodossa sia dalla cristianita' in toto.
Dunque tutti i nomi di quel mondo vengono riassunti sulla sua persona, compresi i nomi geografici, compresa la 'paganissima' distrettuazione dioclezianea, validata da Costantino.
Dunque sotto il profilo dell'organizzazione politico – territoriale cambia ben poco nel mondo romano che va da III a V secolo, soprattutto nella parte dell'impero, e cioe' quella orientale, che ha ancora sufficienti motivi per considerarsi romana, secondo l'accezione dell'epoca.
Nell'occidente si fanno avanti altre forme di distrettuazioni del potere politico che ben poco hanno a che fare con il mondo romano e che infatti mal si dialettizzano con il mondo orientale e di fatto non vengono riconosciute legittime da quello.
La rivoluzione occidentale, cioe' l'inserimento dei regni romano – barbarici all'interno delle terre dell'impero, non viene riconosciuta da Bisanzio, spesso in forma palese, piu' frequentemente in forma occulta.
Qui troviamo una oscillazione che e' completamente, ancora una volta, tardo antica e che non ci descrive una civilta' nuova e un nuovo modo di esprimere potenza internazionale.
Il distretto stabilito da Diocleziano conta ancora per il mondo che definiamo 'proto bizantino'; c'e' ancora l'esigenza di riaffermare quegli antichi valori, di accantonarli, a tratti, per esigenze politiche contingenti, ma poi di fargli rivivere, magari in forme nuove.
C'e' ancora, fino alla fine del VI secolo, l'idea di un impero romano  e del rispetto delle sue strutture amministrative; idea che viene meno durante la rivoluzionaria dinastia Eracliana (VII secolo).
Ma siamo, qui, in piena epoca bizantina.

A livello della distrettuazione militare si mantengono notevoli elementi di continuita' tra epoca proto bizantina e tardo antico.
Si conservano, innanzitutto, le divisioni tra truppe comitatensi e limitanee e se e' possibile si approfondiscono. Differenze stabilite fin dai tempi di Diocleziano (285/305) e ribadite dal governo di Costantino (313/337).
Le truppe comitatensi, dislocate all'interno dell'impero, intorno all'imperatore e a gangli nevralgici sono e rimangono contingenti di pronto intervento, mobili sul territorio e in quelle la cavalleria recita un ruolo preminente.
Per di piu', Costantino e ancora di piu'  i suoi successori, aumentano considerevolmente i loro ranghi.
Le truppe limitanee, dislocate lungo le frontiere a controllare valli e fortini di confine, assumono sempre piu' l'aspetto di guarnigioni di soldati – contadini, che, in cambio della milizia, possono condurre un'attivita' agricola su appezzamenti posti subito fuori la cerchia degli accampamenti. Questo aspetto verra' sottolineato e approfondito in oriente, fino a farne un tratto distintivo della milizia in quella parte dell'impero; la riforma tematica del VII secolo, riforma pienamente 'bizantina', non fara' che prendere in eredita', ipostatizzandola e codificandola, la trisecolare esperienza delle truppe limitanee.

Divergenze tra  oriente e occidente si fanno avanti anche nel campo delle alte gerarchie militari: il dato di partenza fu il doppio comando unificato, uno per l'occidente e l' altro per l'oriente, stabilito da Costantino con i suoi due magistri militum, peditum et equitum praesentialis .
In oriente, pero' le piu' alte cariche militari proliferano, determinando una maggiore divisione dei poteri e una, proporzionalmente, minore concentrazione degli stessi: al magister militum praesentialis, si associano nuove cariche nelle alte gerarchie militari, distribuite secondo le principali aree geografiche della parte orientale dell'impero e avremo cosi', gia' alla fine del IV secolo il magister militum per Illyricum , accompagnato da un magister per Traciam e da un altro per orientem.
Insomma gli imperatori dell'oriente riescono a rimanere, grazie a questa accorta politica amministrativa, arbitri indiscussi della situazione e a non trovarsi ostaggi di qualche concentrazione di potere militare. Anzi, in verita', in oriente il potere dell'imperatore si slega in maniera permanente dall'influenza e l'influsso dei grandi potentati militari.
La linea autocratica inaugurata timidamente da Caracalla all'inizio del III secolo, perfezionata da Diocleziano e Costantino, si afferma radicalmente nell'oriente romano e si realizza nelle forme e nelle strutture politiche di un impero 'cristiano romano d'oriente'.

1.0.6. Un'eredita' monetaria

 La riforma monetaria Costantiniana aveva provocato un autentico terremoto sociale ed economico e cioe' aveva determinato un crollo del valore del danarius di rame imbiancato, che, al contrario, sino a Diocleziano compreso, era stato difeso strenuamente.
I prezzi aumentarono fino al 1000%, i prezzi di qualsiasi materia o servizio, ivi comprese le imposte annonarie.
Per un attimo l'economia monetaria parve venire meno e in quasi ogni parte dell'impero si torno' allo scambio in natura o quanto meno si accelero' il ritmo della sua diffusione (iniziata, in verita', gia' nel mezzo del III secolo).
Per di piu', Costantino accompagno' questa sua riforma monetaria, con una riforma fiscale che colpiva anche i commerci urbani: il famoso auri lustralis collatio.

La monetazione Costantiniana prevedette l'emissione di un soldo d'oro di 4,4 grammi di conio (il famoso grammata) cui si legava l'emissione di una seconda divisa pesante di argento, la siliqua, che pesava 2.24 grammi e valeva 1/24 del grammata  e, infine, di una terza divisa argentea (il nomisma, nella parte greca, nummus in occidente) che corrispondeva a 1/72 del  valore della lira d'oro.
Insomma Costantino, abolendo il corso forzoso del vecchio danarius di rame imbiancato dall'argento, aveva legato gli equilibri della sua nuova moneta al reale valore di mercato dell'oro rispetto all'argento. Si trattava, insomma, di monete estremamente pesanti rispetto a quelle del secolo precedente.
Piccoli proprietari agricoli, piccoli imprenditori e artigiani risentirono enormemente di questa febbre da cavallo dell'economia: i loro vecchi depositi e risparmi, in rame imbiancato, non valevano piu' nulla o quasi.

I contro effetti economici furono notevoli: ovunque, come scritto, si torno' allo scambio in natura e la fiscalita' divenne essenzialmente naturale ma commisurata al valore monetario delle merci e dunque si appesanti' notevolmente.
Ancora piu' eclatanti i contro effetti sociali: fuga dei contadini poveri sotto il patronato del grande latifondo, fuga dalle citta' verso le campagne e un incredibile crisi delle nascite.
Citta' come Mutina, l'odierna Modena, solo per fare un esempio vicino geograficamente  a noi, persero nel giro di qualche decennio la meta' della popolazione e due terzi delle forze produttive.
La rovina di Modena e' paradigmatica per la rovina delle civilta' urbane dell'occidente, anche se, va precisato, la cura di Costantino non fu capace di cancellare la convivialita' urbana in alcune aree (come in Italia e Gallia meridionale) ma di ridurla fortemente o, per meglio dire, di ridistribuirla su una urbanita' rurale diffusa, ma sarebbe una parentesi lunga e estranea agli scopi di questa trattazione.
In ogni caso Gallia settentrionale, Spagna e Africa risentono fortissimamente del peso di questi provvedimenti fiscali e monetari.

Nondimeno l'oriente, comunque.
In citta' come Antiochia e Alessandria si verificarono gravissimi torbidi e tumulti della fame e della penuria, reiteratamente, nei quali motivazioni religiose si confondevano con aspirazioni sociali.
Il IV secolo romano fu, sia in occidente che in oriente, un secolo di tumulti urbani, brigantaggio e banditismo diffusi. L'istituzione delle truppe comitatensi risponde anche a questo grave problema di ordine pubblico.
I due poli estremi dell'impero, Gallia ed Egitto, si assomigliano, sotto questo profilo, enormemente. In Egitto abbiamo un dissenso nazionalista che si tinge dei colori dell' antiarianesimo piu' radicale e delle prime teorizzazioni monofisite e che si nasconde in un reticolo monastico cristiano disposto nel cuore del deserto a Sud di Alessandria; in Gallia descriviamo una chiara volonta' autonomista, uno sciopero fiscale che fomenta gruppi armati e il riferimento alla vecchia e morta 'cultura celtica' della regione e, in fatto religioso, al paganesimo.
I due poli dello stesso problema.

Ma tra i due poli c'e' una profonda diversita'.
Innanzitutto abbiamo indizi che alla morte di Costantino non tutta la vecchia moneta di rame imbiancato avesse cessato di circolare, soprattutto in occidente; bisogna ipotizzare una resistenza diffusa di patronati ma soprattutto autorita' municipali al completo adeguamento dell'economia alle divise monetarie costantiniane.
Il problema e' tanto grave che  uno dei figli di Costantino e Augusto per l'occidente, Costante, decide di emettere un denario meno pesante di quello paterno e dunque di avvicinarsi, in modo moderato, alla politica deflazionistica di Diocleziano, e al contempo ordina la requisizione di tutta la vecchia moneta di rame imbiancato, il nummus vetus, che evidentemente continuava a circolare in maniera semi clandestina.
Ne viene fuori un'insurrezione militare e politica in Gallia che gli costera' il trono e la vita nel 351.
Tale doveva essere il malessere che intorno al 370, Valentiniano, reggitore dell'occidente preme il piede sull'acceleratore del processo deflazionistico, tornando  al rapporto di cambio tra oro e argento che era stato quello dei tempi di Diocleziano.
Il collega dell'oriente, Valente, non lo segue e pur operando alcuni aggiustamenti deflazionistici continua a tenere in riferimento i dettati di Costantino.

Scopriamo, invece, che, nella parte orientale dell'impero, la terribile cura di Costantino, aveva li' per li' prodotto gli stessi fenomeni sociali registrati nell'altra, ma poi, gradualmente, la circolazione monetaria si era rimessa in moto e abbiamo notizie delle prime tasse dell'annona pagate in moneta sin dal 390; traguardo, questo, irraggiungibile per la parte latina dell'impero per la quale l'annona rimarra' una tassa in natura.
Lo scarso successo ottenuto in oriente dall'emissione del tremisses dell'imperatore Teodosio I, il tremisses era una sorta di divisa aurea piu' leggera, la dice lunga sulle differenze tra le due partes, perche', invece, quella divisa ebbe notevole successo in occidente.
Insomma alla fine del IV secolo, i due imperi si presentano irrimediabilmente divisi economicamente.
Ma anche aggiungiamo sotto il profilo delle relazioni commerciali con l'estero.
La moneta di corso forzoso occidentale e', ovviamente, in quelli deprezzata, barbari e slavi non si sognano neanche per un breve istante di accettarne il valore nominale; l'occidente si indebita con i Germani e si indebita anche con Costantinopoli.
I residui capitalisti, appaltatori e argentieri di Italia e Gallia preferiscono investire i loro profitti nella parte orientale dello stato. Si verifica, cosi', una vera e propria fuga di capitali.

Qui si puo' dare ragione a chi individua in Costantino il fondatore dell'impero bizantino: in effetti dopo di lui, in ragione della sua politica monetaria, oriente e occidente non solo non coincidono ma non si assomigliano piu'.

1.0.7. Un'eredita' sociale: le vie dell'insicurezza

 L'impero romano era stato il garante dell'unita' e della sicurezza del mediterraneo e in generale della sicurezza delle vie del commercio e della mobilita' geografica degli individui.
Gia' alla fine del III secolo gravi scricchiolii in questo settore si erano registrati: i Goti prima e i Franchi poi, partendo da alcune basi nel Mar Nero, avevano messo in piedi annuali imprese di pirateria, che colpirono, in quell'epoca, soprattutto la porzione orientale del Mediterraneo e sporadicamente si affacciarono fino al suo cuore, segnatamente in Sicilia.
Dopo Diocleziano, per circa 120 anni, la sicurezza della navigazione fu ristabilita.
L'irruzione dei Visigoti in Spagna e Francia meridionale (415/425) e, soprattutto, la conquista dell'Africa romana ad opera dei Vandali (429) cambia radicalmente il quadro della situazione.
L'unica area del mediterraneo che rimane sicura e' quella che si estende dall'Egeo all'Egitto, e' quella cioe' che viene controllata dalla flotta di Costantinopoli. Altrove il diritto marittimo romano non si applica e i noli divengono estremamente rischiosi.

A peggiorare la situazione fu il concomitante degrado delle vie di terra.
In Gallia e Spagna fin dal III secolo, per via del brigantaggio endemico, divengono insicure; nel IV secolo, malgrado Diocleziano e Costantino, la situazione delle comunicazioni via terra, in quelle importantissime diocesi, non migliora.
Nel V secolo, addirittura, la situazione precipita, per causa dell'irruzione di Visigoti, Vandali, Alani e Burgundi in quelle aree.
Cosicche' in occidente, nonostante l'insicurezza dei mari, il trasporto navale delle merci costava 1/10 di quello terrestre. In buona sostanza il commercio assumeva dei costi insostenibili.
In oriente tutt'altra situazione.
Eccezion fatta per alcune porzioni dei Balcani, che tra la fine del IV secolo e la meta' del V, videro l'inserimento di Goti e Unni, e eccezione fatta per alcune regioni interne dell'Anatolia che subivano l'azione di un brigantaggio endemico, le vie di terra erano sostanzialmente sicure.
Molto di piu' sicure furono quelle di mare, che tolta la parentesi di fine III secolo e tolta qualche scorreria Vandala nel V secolo, rimasero saldamente sotto il controllo della marineria di Costantinopoli.
Insomma la parte orientale dell'impero riusciva a mantenere unito il mediterraneo e funzionante l'apparato viario, per la parte, ovviamente, di sua competenza.
Insomma il commercio internazionale a Costantinopoli, Antiochia e Alessandria sopravviveva.

1.0.8. Un eredita' sportiva: le organizzazioni da stadio

 Nota e' la passione del mondo greco-romano per i giochi dello stadio.
Tra questi un ruolo  molto importante avevano i giochi ippici, cioe' vale a dire le corse dei cavalli.
Solitamente le corse venivano affrontate da squadre rivali, caratterizzate dall'adozione di un particolare colore sociale: rosso, piuttosto che verde, piuttosto che azzurro.
Le compagini ippiche funzionavano da volano per tutte le altre manifestazioni ludiche e cioe' dietro una squadra di equitatori si formavano  compagini di atleti praticanti altre discipline. Insomma si formavano vere e proprie associazioni polisportive accomunate dall'adozione del  medesimo colore sportivo.
Cosi' a Roma fin dal I secolo, cosi' in moltissime citta' dell'oriente e dell'occidente, Costantinopoli inclusa.

Il finanziamento di tali associazioni era, alle volte, affidato allo stato, altre volte diveniva onere di qualche patronus di buone sostanze che cercava di procurare al suo colore sportivo i migliori elementi.
Era questo un fattore di riconoscimento sociale notevole per lui, giacche' dietro alle associazioni sportive stava il larghissimo seguito della tifoseria militante e un privato cittadino poteva garantirsi non indifferenti possibilita' di presa sull'opinione pubblica.
Solitamente, all'interno di una stessa citta', le compagini sportive erano due (nel caso di Roma del I secolo, addirittura quattro)  e dal momento che i giochi ippici erano spesso organizzati sotto forma di battaglie cittadine e raramente intercittadine, i giochi del circo o ippodromo che dir si voglia assumevano l'aspetto e il significato di quelli che, oggi, modernamente e con terminologia calcistica chiameremmo derby.
Le tifoserie si dividevano a seconda del quartiere di appartenenza (c'erano i quartieri dei rossi e quelli dei verdi, tanto per intenderci) ma anche a seconda delle preferenze politiche e religiose.
A Costantinopoli, ad esempio, all'inizio del VI secolo gli azzurri sono in prevalenza ortodossi e filo aristocratici, mentre i verdi simpatizzano per l'eresia monofisita e per i ceti imprenditoriali e commerciali.

Nel mondo classico e anche in quello tardo romano le organizzazione da stadio sono state al centro di gravi tensioni politiche e religiose.
Caso eclatante quello di Pompei, sotto l'impero di Nerone, quando in un torneo inter cittadino contro Nocera, si verificarono gravissimi incidenti sugli spalti, durante i quali  molte decine di Nocerani furono uccisi. In conseguenza di cio' l'imperatore si vide costretto a interdire lo svolgimento dei giochi a Pompei per ben dieci anni.
Caso ancora piu' eclatante e' quello della rivolta romana del 189, contro il prefetto del pretorio Cleandro, sotto il regno di Commodo, nella quale le organizzazioni da stadio e i loro finanziatori non ebbero un ruolo di secondo piano nell'amministrare, coordinare e guidare il movimento popolare.
Altro caso quello di Tessalonica, occorso alla fine del IV secolo, durante il governo di Teodosio I, dove la citta' insorse violentemente contro l'arresto di un campione sportivo. Nella repressione della rivolta si contarono settemila morti ma durante la rivolta furono uccisi centinaia di ausiliari goti e lo stesso amministratore militare della citta'.
Insomma anche nel tardo antico e in epoca protobizantina, le organizzazioni da stadio mantennero notevole peso sociale e politico.
Lo vedremo bene nella rivolta di Nike del 532 a Costantinopoli contro Giustiniano e Teodora: qui le organizzazioni dei verdi e azzurri, improvvisamente gemellate, indicheranno addirittura un nuovo imperatore.
Insomma la tradizionale passione per lo stadio, con tutte le sue implicazioni politiche e sociali, tradizionale nel mondo romano e tardo romano si riproduce in quello proto bizantino.


1.0.9. Una eredita'  iconografica: Bisanzio capitale

1.0.9.1. Caput aut Sedes

 Bisanzio non nasce come capitale, Bisanzio nasce come residenza imperiale del IV secolo e, segnatamente, come residenza stabile di Costantino; in verita' il concetto di capitale amministrativa era sostanzialmente estraneo alla cultura politica del mondo romano imperiale e, semmai, apparteneva a quello repubblicano, ancorato alle prerogative politiche del senato di Roma e alle magistrature da quello espresse.
Ma fin dagli inizi del principato, e cioe' da Augusto (31 a.c. / 17 d.c.), la nuova nomenclatura dello stato non vincola l'esercizio del suo potere a una particolare e definita 'capitale'.
Per rispetto delle magistrature repubblicane, rispetto formale, ovviamente, del quale il medesimo Augusto fece strumento di azione culturale e tesoro politico, Roma rimaneva capitale amministrativa dell'impero, ma, mano a mano che le istituzioni repubblicane dell'impero declinavano, il concetto di 'capitale', caput, si trasformava sempre piu' in un riferimento esclusivamente  culturale, interessante magari  ma inattuale sul terreno politico.
Sotto il profilo del principe non c'era una capitale, ma un centro amministrativo che si spostava, seguendo i suoi stessi spostamenti e quelli della sua corte e dei suoi ministri.
Cosi' nel 180, la vera capitale dell'impero era in Pannonia, sotto una tenda militare da dove Marco Aurelio organizzava la campagna contro Quadi e Marcomanni e governava lo stato.

Se Roma era  caput  dipendeva, sempre piu', dalle presenze costanti dell'imperatore in lei, dal fatto di essere residenza stabile degli imperatori; ma questo derivava dalle preferenze personali degli imperatori e dalle opportunita' politiche e non piu' dal ruolo istituzionale della citta'.
Gia' sotto Traiano (98/117), la vera capitale dell'impero migro' in diverse citta' orientali, da Nicea a Nicomedia per insediarsi stabilmente in Antiochia.
Una capitale che migra non puo' essere una capitale e, paradossalmente, a nostro giudizio, l'impero romano, dal II secolo in poi, non ebbe una capitale definita, se non in ossequio alla tradizione repubblicana e al tradizionalismo senatorio che quella poneva in Roma.
Ma si trattava di una finzione politica.
Ancora di piu', il successore di Traiano, Adriano (117-138), si fermo' raramente nell'urbe e la sua corte fu protagonista di un nomadismo incredibile.
Antonino Pio, dopo di lui, tra 138 e 161, per sua propria forma mentale, rimase stabilmente nella citta' e cosi' Commodo (180/192) dopo la parentesi itinerante di Marco Aurelio.

Un altro elemento illuminante intorno a questo stato di cose: a Roma non esisteva e non esistera' mai un palazzo imperiale e cioe' una residenza Augusta tramandabile da imperatore a imperatore e, per cosi' dire, legalmente riconosciuta.
Ogni nuovo imperatore se ne costruiva una nuova, oppure, ristrutturava una situazione architettonica precedente; inoltre, il palazzo imperiale non apparteneva al demanio pubblico, ma faceva parte delle sostanze personali dell'imperatore.
L'unico elemento di continuita' istituzionale stava nel fatto che, solitamente, gli imperatori risiedevano sul colle palatino, ma sempre in case di volta in volta diverse.
Diciamo che un intera area di Roma era riservata alle nuove e cangianti residenze imperiali.
Ci rendiamo conto che e' difficile mettere a fuoco un processo simile, ma fu un processo reale.

1.0.9.2. La tribunicia potestas e la formazione di una nuova idea di capitale

 In ogni caso, giacche l'imperatore manifesta il suo potere in base alla tribunicia potestas e cioe' in base a una antica carica repubblicana che insiste sulla citta' di Roma, la sede legale del potere, malgrado le migrazioni di sostanza, rimane in Roma, pur in finzione.
Con Diocleziano e, soprattutto, con Costantino le cose cambiano radicalmente.
La tribunicia potestas cessa di essere la fonte legale del potere imperiale e Roma cessa di essere, anche nella finzione formale, capitale dell'impero.
Capitali, del tutto anomale rispetto allo spirito repubblicano e senatorio, iniziano ad essere le residenze stabili degli imperatori: Milano e Treviri per l'occidente, Nicomedia (poi Costantinopoli) e Antiochia per l'oriente.
Si badi bene l'unico caput rispetto al tradizionalismo senatorio che ancora innerva il linguaggio politico romano, rimane Roma, anche se le residenze imperiali divengono residenze stabili della nuova autocrazia imperiale in occulta competizione con Roma.
In queste nuove sedi il palazzo imperiale diviene un istituzione architettonica stabile, che si trasmette da imperatore a imperatore, che fa parte del demanio pubblico e che e' immagine del potere politico supremo.
Siamo nel IV secolo.

Attenzione e si badi bene, l'idea di Roma come capitale dell'impero non declina, ma si riduce ad essere fonte di identita' politica per le classi dirigenti dello stato.
Roma capitale muore definitivamente tra i dominati di Diocleziano e Costantino (285 / 337).
Milano inizia a costruire tutta la sua immagine urbanistica sul fatto di essere stata destinata a residenza stabile dell'Augusto dell'occidente, Nicomedia, e dopo di lei Bisanzio, costruiscono in egual misura la loro immagine sul fatto di essere la residenza stabile, la core zone (per dirla in termini anglosassoni) dell'impero d'oriente
.

1.0.9.3. Bisanzio e Costantino il Grande

 La leggenda vuole che Costantino, nel 324, decidesse, in seguito a una visione onirica di destinare Bisanzio a nuova residenza imperiale e a capitale dell'impero per quel concerneva la sua porzione orientale.
Bisanzio era una colonia, se non ricordiamo male focese, istituita nel IV secolo a.c.. Era, dunque, una citta' greca, nel pieno senso della parola.
Dal II secolo a.c. era stata inserita nel tessuto amministrativo romano ed era, in quell'epoca, un centro di 10 o al massimo 15.000 abitanti.
Ai tempi di Settimio Severo (imperatore tra il 193 e il 212) aveva parteggiato per la scissione siriaca promossa da Pescennio Nigro. Una volta sconfitto Pescennio, l'imperatore l'aveva severamente umiliata, concedendo sinecure e favori commerciali ad altre citta' dell'oriente.

Nel 324 Costantino decide di ampliare l'area urbana della citta' di cinque volte e di farne la sua residenza stabile. Si dice che traccio' il nuovo perimetro della citta' con la punta di una lancia, sentendosi, dunque, un nuovo Romolo.
L'area della ingrandita citta' abbracciava, in effetti, giusto sette colli e tutta quest'area ruotava intorno al palazzo imperiale,e, come dire, prendeva spunto da quello.
Il palazzo imperiale era disposto sul mar di Marmara, protetto dalle mura litoranee fatte costruire da Settimio Severo, e opportunamente rinforzate.
L'area, complessivamente occupata dal palazzo, il Sacrum Palatium, poteva aggirarsi intorno ai duecentomila metri quadri ed era fornita di edifici dedicati all'amministrazione della giustizia, di edifici di culto e, naturalmente, di fabbriche dedicate alla vita politica e privata dell'imperatore.
Quest'area in epoche successive, cioe' pienamente bizantine (soprattutto nel IX e X secolo) giunse a contare 400.000 metri quadri e ad essere divisa in settori proibiti, settori pubblici e settori semi pubblici, fornendo quasi il modello alla citta' celeste cinese e certamente al Cremlino degli Zar.

Subito accanto al palazzo imperiale e con incredibili affacci da quello era l'ippodromo della citta'.
Le gare dei cavalli avevano, direttamente, una tribuna imperiale.
Di fronte al sacrum palatium si ergeva la struttura in parte lignea della cattedrale di Santa Sofia; cattedrale  a cinque navate e a pianta basilicale, costruita a imitazione di S. Ambrogio di Milano e S. Pietro di Roma.
Dunque il sacro palazzo, lo stadio e la chiesa dedicata alla divina conoscenza.
Accanto alla Chiesa e di fronte all'ippodromo si ergeva il foro dell'imperatore, di li' si diramavano due vie porticate, l'una verso occidente che usciva dalla porta aurea e una settentrionale, che passando per una immensa e lunghissima piazza porticata, la mese', letteralmente 'via di mezzo'' offriva svisate scenografiche, a destra e a sinistra su diverse chiese e centri commerciali per finire alla chiesa dei Santi Apostoli e, infine, attraversare le mura.
Le chiese cristiane in epoca Costantiniana erano gia' una decina, in epoca Teodosiana almeno una quarantina.

Dopo Costantino e soprattutto con Teodosio II, l'area della citta' in buona sostanza raddoppio'.
La mese' divenne un incredibile via – piazza porticata che conteneva eccezionali fughe scenografiche verso la Chiesa del Cristo Pantocratore e un numero talmente elevato di chiese e basiliche, lungo il suo percorso, da rendere la coniugazione, ideata da Costantino, tra potere ecclesiastico e presenza imperiale, rappresentata urbanisticamente.
La  mese' , d'altronde, generava dal palazzo dell'imperatore e dal suo foro.
E poi ricordiamoci della doppia cinta muraria, quella di Costantino non fu abbandonata e se ne costrui una seconda, ancora piu' periferica.
In totale Costantinopoli possedeva, con Teodosio II, dieci porte disposte verso la campagna e ben nove porte disposte verso il porto e una doppia cinta muraria munita, a sua volta, di porte interne.
Questo eccezionale apparato fortificatorio era rinforzato da piu' di ottanta torri, interne ed esterne.
Dunque il sacrum palatium, il foro insieme con il palazzo del Senato, la mese', la basilica di Santa Sofia, e quella dei SS. Apostoli e un insieme di strade larghe e porticate che valicavano per due volte una cinta muraria impressionante.
Infine un porto, dotato, gia' allora di fondaci, banchine e moli ciascuno specializzate allo scarico di particolari merci.

Citta' davvero inimitabile.

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