Gli editti di Valeriano contro i cristiani (257 -
258)
1. I due editti
Delle caratteristiche della
persecuzione anticristiana di Valeriano noi siamo informati attraverso
l'opera di due contemporanei, Dionigi, vescovo di Alessandria, e
Commodiano.
L'attività persecutoria fu composita, cioè articolata su due editti.
Il primo editto dichiarava l'istituzione ecclesiastica illegale,
richiedeva la requisizione immediata di tutti i suoi beni, mobili e
immobili, e l'immediato arresto di tutti gli ecclesiastici; veniva,
inoltre, proibita ogni ulteriore riunione di culto, pena la morte per i
partecipanti.
Il secondo, complementare al primo, stabiliva la pena di morte o la
deportazione ai lavori forzati per tutti gli arrestati in precedenza e
si presentò nella forma di un senato consulto, vale a dire di una
deliberazione della Curia.
Si prevedeva, inoltre, tutta una serie di pene di contorno da comminare
a coloro che (anche pagani), in diversa misura, ostacolassero il corso
della giustizia e fiancheggiassero la chiesa cristiana, nascondendo e
occultando gli indagati.
La Chiesa, insomma, veniva isolata, spossessata di ogni suo bene,
privata dei suoi ministri e, attraverso questa manovra articolata e
meticolosa, riconosciuta nell'esistenza seppur in negativo, in ragione,
cioè, della sua negazione.
Il primo editto, emesso nel 257, prevede, dunque, una perfetta
conoscenza delle strutture e gerarchie ecclesiastiche e il conseguente
arresto immediato dei ministri del clero. Determina, poi, un inventario
dei beni della chiesa che vengono subito requisiti a favore dell'erario
pubblico: cimiteri, tituli, vale a dire luoghi di culto, e
istituti associativi vengono requisiti e rivenduti dallo stato.
Il secondo editto, del 258, richiede l'immediata messa a morte degli
accusati in precedenza, l'arresto di senatori e cavalieri che abbiano
abbracciato quella credenza e la subitanea spoliazione dei loro beni;
solo l'apostasia avrebbe salvato loro la vita: una volta pentiti
sarebbero stati risparmiati ma privati, comunque, di tutte le loro
sostanze e del loro rango sociale.
Decio aveva ricercato tutti i cristiani ma per sua logica l'editto di
quell'imperatore riguardava i più insigni tra loro, quelli, cioè, che
militavano nella classe dirigente dell'impero.
Valeriano ricercò, invece, per legge senatori e cavalieri
cristiani, vescovi e chierici: lo spirito della sua azione puntava
a una preventiva pulizia religiosa nelle classi alte dell'impero per poi
giungere in maniera ideologicamente conseguente a quelle basse. Fu
un'azione dalla forma piramidale.
2. Decio e Valeriano
L'obbligo del sacrificio agli dei in Valeriano occupava appena il
preambolo della legge, non ne era il cuore come nel caso di Decio: i
decreti di Valeriano richiedono lo scioglimento dell'associazione
ecclesiastica e non un censimento, per quanto autoritario, delle
inclinazioni in campo religioso della popolazione dell'impero.
C'è la semplice proibizione del culto: la sola pratica del culto è
occasione di spossessamento e privazione di rango e sostanze; se non ci
si pente, poi, è la condanna a morte. Per di più questa possibilità
dell'apostasia vale solo per il culto praticato prima dell'editto,
nell'assenza della legge, ma dopo l'editto la pena capitale diverrà, per
chi pratica ancora il cristianesimo, la pena automatica. Siamo in
tutt'altra logica da quella di Decio: ora non basta il sacrificio, non
basta il pentimento, interessa estirpare il cristianesimo
dall'impero.
In entrambi gli editti di Valeriano la semplice partecipazione alle
liturgie cristiane è fonte della pena capitale, oppure, in 'aderazione'
e dietro apostasia, della deportazione e il solo fatto di essere stato
cristiano produce la perdita di ogni bene e di ogni stato sociale
acquisito ed ereditato. Questo Decio non lo aveva neppure immaginato.
Decio, insomma, era ancora figlio dell'epoca classica, malgrado tutte le
mistificazioni con le quali aveva affrontato la sua tradizione
religiosa, ma, soprattutto, in Decio non c'è il riconoscimento della
Chiesa come istituzione religiosa e c'è il rispetto formale della
legislazione dell'impero intorno alle associazioni che, sotto il profilo
giuridico, hanno una vita e valenza civile.
Valeriano appartiene a un'altra epoca, inequivocabilmente: in Valeriano
la 'civiltà' della chiesa viene messa in discussione.
Certamente, però, anche nell'epoca di Decio, da quella, poi, erano
passati appena sei anni, la chiesa era un'associazione ben conosciuta,
anche se si fingeva di non riconoscerla: in età severiana la struttura
organizzativa della ecclesia catholica aveva referenti precisi
a corte ed era apprezzata per la sua gerarchia e relativa disciplina. La
chiesa organizzata, dunque, non fu una scoperta di Valeriano.
L'invenzione del nuovo imperatore fu che quella struttura andava
perseguitata e repressa seguendo la trama della sua organizzazione e
secondo una procedura che rendeva i cristiani perseguibili d'ufficio.
Decio si era mosso in tutt'altro modo e aveva, pur stravolgendoli,
cercato di rispettare gli assunti traianei secondo i quali i cristiani conquirendi
non sunt.
3.
Subito dopo Decio
Probabilmente confondendo le notizie relative al principato del
figlio di Valeriano, Gallieno, ma nei fatti proponendo una visione dei
fatti verosimile, alcune fonti affermano che gli esordi del suo governo
furono improntati a un'apertura verso la comunità cristiana, riprendendo
la linea tracciata dai Severi e interrotta più volte da Massimino (235 -
238) e poi da Decio (249 - 251). Manca, però, cosa che è invece presente
nella legislazione di Gallieno, un provvedimento che rinneghi il
precedente persecutorio: dalle notizie giunte Valeriano non abrogò il
provvedimento del 250.
Questo non contraddice l'iniziale tolleranza di Valeriano, certa
testimonianza di quella sono le simpatie religiose del figlio, adoratore
di sol, ma ospite di molti pensatori ed esponenti del
cristianesimo, e il cristianesimo di sua nuora, l'augusta
Salonina; questa mancanza registra, con ogni probabilità, un'apertura
misurata, perseguita secondo le linee della moderazione e anche del
rispetto della tradizione, del quale Valeriano si presentò campione
presso il Senato. L'osservanza dell'eredità politica, istituzionale,
morale e anche religiosa dell'impero è una delle note caratteristiche di
questo imperatore.
C'è, inoltre, un elemento tecnico ad aver adombrato la necessità di un
atto abrogativo verso il decreto di Decio: l'editto di Decio richiedeva
semplicemente una prova testimoniale intorno al rispetto della
tradizione religiosa e non determinava, in quanto tale, una persecuzione
contro i cristiani. In secondo luogo il meccanismo stesso del
provvedimento richiedeva una mobilitazione dei pagani, che, se non
sollecitata od ottemperata, rendeva gli effetti della legge
sostanzialmente nulli. Quasi sicuramente Valeriano, nei suoi primi anni,
si appoggiò a questa mitezza e ambiguità di Decio e anche al fatto che
cancellare un editto tradizionalista per antonomasia sarebbe stato in
aperta contraddizione con le note caratteristiche con le quali si era
presentato all'impero.
4. La persecuzione e la
finanza
Non casualmente, molti storici, basandosi su alcune parti delle
testimonianze a noi giunte, ritengono che la persecuzione di Valeriano
abbia cause finanziarie, perché risulta piuttosto difficile,
oggettivamente, giustificare la persecuzione attraverso cause
strettamente religiose e politiche. Si interpretano così alcune
invettive di Commodiano contro l'imperatore come invettive di natura
strettamente fiscale.
Poi le frasi di Dionigi, vescovo di Alessandria, che accusano il
prefetto del pretorio Macriano di aver consigliato a Valeriano quelle
forme persecutorie giacché avrebbero permesso all'erario di incamerare i
beni della chiesa, in 'aderazione' (ci si permetta l'ironia
terminologica) di quelle dei grandi redditieri agricoli,
rappresenterebbero un'ulteriore prova di questa motivazione.
In seconda battuta e non illegittimamente rispetto a tali presupposti,
c'è chi vede nella lotta anti cristiana dell'imperatore del Senato la
proclamazione della guerra contro gli interessi della borghesia
equestre. Secondo siffatta analisi, la persecuzione, oltre che avere
delle motivazioni 'spicciole e di bottega', avrebbe avuto un respiro
ideologico – finanziario: la messa sotto accusa della nuova economia del
denaro.
Questa analisi rispettabile prevede inevitabilmente che ci sia stata una
profonda identificazione tra chiesa, 'partito cristiano' e borghesia
commerciale. Basterebbe analizzare il percorso esistenziale di papa
Callisto, in epoca severiana, per avvalorare questa tesi: requisire i
beni della chiesa poteva significare, al contempo, appropriarsi delle
notevoli proprietà immobiliari che aveva acquisito, recuperare i beni
mobili di una banca e denunciare l'illiceità dei nuovi istinti
imprenditoriali.
L'idea del klinon, cioè di vivere in un'epoca di crisi e
decadenza dei costumi, della morale e dell'economia, era, ormai, un'idea
diffusa tanto negli ambienti pagani quanto in quelli cristiani e si
correlava perfettamente con lo stupore per l'emergere, in
quell'epoca, di una nuova fonte di prestigio e di potere: l'economia
monetaria.
Non crediamo che questo fosse un timore esclusivamente pagano, si
trattava di una preoccupazione che riguardava tutti gli elementi sociali
e che usava le cifre che quelli erano abituati a usare.
Dunque gli editti hanno avuto sicuramente una causa fiscale, una sorta
di recupero coatto di energie finanziarie che la politica di Valeriano
aveva deciso di perdere, ma non solo.
L'idea secondo la quale dietro la persecuzione riposi una ideologia anti
commerciale generale, un'ideologia aristocratica di nuova data, potrebbe
stare in piedi solo se messa in relazione con le grammatiche ideali
dell'epoca. Che i cristiani potessero apparire come coloro che meglio
avevano saputo interpretare le esigenze di questa nuova epoca non è
un'ipotesi fuori di luogo, ma, contemporaneamente, sembrano più cooptati
a esserne esempio che non autentica realizzazione.
Insomma il cristiano si trova a rappresentare una specie di capro
espiatorio socio – economico per un processo del quale sono solo il
segno più evidente e non i protagonisti e responsabili.
Il disorientamento che provoca l'affermazione dell'economia basata sul
danaro e sullo scambio delle merci è caratteristica del III secolo
romano, fino a trovare la sua esemplificazione all'inizio del secolo
seguente nei provvedimenti di Diocleziano, forse non del tutto a caso un
severo persecutore della chiesa cristiana.
La persecuzione di Valeriano, dopo le scorrerie dei Goti in oriente e
quelle dei Franchi in Gallia e Spagna, dovette apparire come
un'apocalisse che si aggiunge all'apocalisse (Tarragona, ad esempio, era
una fiorente comunità cristiana): dove non giungevano i barbari ad
arrecare danno, arrivavano i funzionari dell'imperatore.
Per quanto ci è dato sapere l'applicazione dei due decreti fu capillare
e produsse moltissime condanne, anche capitali, e un gran numero di
spoliazioni pubbliche e private. In buona sostanza tutta la gerarchia
del culto finì davanti ai giudici come per i casi di Dionigi, vescovo di
Alessandria, che venne interrogato dal Prefetto d'Egitto in persona,
Mussio Emiliano, e di Cipriano, in Cartagine, che si trovò di fronte il
proconsole d'Africa. Le proprietà della chiesa, cimiteri, edifici e
terre, vennero confiscate come pure le sostanze dei singoli adepti.
5. La schizofrenia imperiale
Tutto, dunque, concorderebbe ad associare il fenomeno persecutorio a una
motivazione eminentemente economica che si sposerebbe con la
sperequazione tributaria messa in opera da Valeriano. L'interpretazione
socio – economica della persecuzione, seppur interessante, non spiega,
però, le date di emissione degli editti e senatoconsulti.
I decreti non furono emessi nel 253 o 254, primi anni del principato di
Valeriano, ma il primo fu emanato nell'estate del 257 e il secondo
nell'autunno dell'anno seguente. Come spiegare questo gap
cronologico? A nostro giudizio questo intervallo può essere spiegato non
tanto escludendo una motivazione economico – finanziaria nella stesura
dell'editto, ma confortandola con un'altra motivazione altrettanto
importante nell'epoca in esame.
In verità siamo propensi a credere che quello economico sia stato un
aspetto, anche rilevante, nella genesi della persecuzione. Lo ribadiamo:
perché l'imperatore attese ben quattro anni per emanare gli editti? La
motivazione economica contraddice questo indugio.
Ve ne sono, in effetti, forse delle altre.
Se da una parte (eliminiamo dal campo analitico la persecuzione per il
momento) Valeriano e il suo praepositus annonae Macriano
paiono fare riferimento alla componente più tradizionalista del Senato
e, certamente, al pensiero pagano, dall'altra parte l'augusto
dell'occidente, Gallieno, figlio dell'imperatore, subiva tutt'altro
genere di fascinazioni.
Il giovane augusto rappresentava un contro altare culturale al padre e
alla sua corte si muovevano con sufficiente disinvoltura un buon numero
di cristiani e, in genere, Gallieno era un amico dei cristiani.
Addirittura Dionigi scrisse, in riferimento all'ambiente che circondava
il giovane erede all'impero, di “ … una chiesa di Dio …”.
Pare abbastanza certo che la moglie di Gallieno, Cornelia Salonina,
fosse cristiana; addirittura il conio di alcune monete con i tipi 'Salonina
Augusta in pace' rafforzerebbe l'ipotesi della cristianità della
principessa.
Insomma la corte di Gallieno era aperta a frequentazioni nuove e
ricordava quella organizzata nel primo quarto del secolo intorno a Iulia
Domna e alla dinastia dei Severi.
Nei primissimi anni del suo governo anche Valeriano, pur riferendosi
programmaticamente alle istituzioni e alle ideologie più vicine al
tradizionalismo senatorio, rimase coinvolto in questa atmosfera che,
probabilmente, era anche la sua atmosfera, il suo ambito culturale e il
suo retroterra. La componente più progressiva della classe dirigente
romana viveva, ormai, dentro questa contaminazione tra culture, ideali e
religiosità di origine quasi sempre orientale (Mitra, Sol
e Cristo) che era entrata a fare parte della sua formazione culturale.
L'assunzione della porpora non poteva cancellare queste radicate
influenze ma obbligava a un ripensamento in chiave politica e di
opportunità di quelle. Necessariamente, quindi, l'azione in materia
doveva essere circospetta e gli atteggiamenti pubblici differenziarsi da
quelli praticati nella vita privata.
6. Opportunità politiche e
carismatiche
Ad armare la penna del legislatore, quindi, non fu solo un obiettivo
finanziario, ma si unì a quello una serie di valutazioni opportunistiche
e carismatiche. Molti fattori si combinarono per produrre gli editti. A
determinare uno di questi fu un vero scandalo che si verificò in oriente
e che riguardò la cerchia imperiale, o meglio i circoli frequentati dal
cesare Gallieno.
Il senatore Asturio, governatore dell'Arabia e amico intimo di Gallieno,
era cristiano e il suo legame con il giovane erede doveva essere ben
noto. Costui smascherò un falso prodigio di Pan che periodicamente si
svolgeva in Cesarea di Filippo, città sacra e dedicata a quel dio. Il
popolo della città si scandalizzò e, per dirla tutta, si spaventarono
del possibile danno economico i venditori di statuette votive e di
'sacre icone' del dio; ci furono tumulti e una petizione contro Asturio
e il suo sacrilegio che giunse addirittura al senato di Roma. Il
sacrilegio, dunque, sfiorava la stessa famiglia dell'imperatore e
denunciava in tutta la sua ampiezza la penetrazione del pensiero
cristiano, della illicita superstitio, dentro la classe
dirigente dell'impero.
La fine di Decio, sei anni prima, se da una parte, dai cristiani, era
stata salutata come una liberazione, dall'altra parte, dai pagani, era
stata inquadrata nell'inevitabile ciclo di catastrofi che l'abbandono
delle tradizionali deità avevano gettato sull'impero. Si trattava di due
embrionali 'integralismi' a confronto.
Valeriano ritenne che il procedere sempre più approfondito del
proselitismo cristiano dentro la classe dirigente dell'impero, procedere
ben rappresentato dal caso di Asturio, potesse essere origine di
sciagure anche profonde.
In secondo luogo il senatore arabo e cristiano concentrò, nel suo
episodio, oltre che l'esempio di una propaganda minuziosa, anche quello
di una propaganda attiva, che puntava a smascherare e delegittimare gli
aspetti della religiosità tradizionale. In tal maniera,
involontariamente, Asturio dava ragione alle preoccupazioni che
erano dietro il decreto persecutorio di Decio: l'abbandono e il
dileggio del paganesimo tradizionale, il diffondersi del cosiddetto
ateismo, avrebbero procurato all'impero gravi sciagure.
Insomma è alquanto facile pensare che alla base del doppio decreto del
257 / 258 ci siano tre aspetti coniugati:
Un aspetto economico determinato dalla sperequazione tributaria
introdotta da Valeriano e da Macriano a favore della classe dei grandi
proprietari terrieri; un aspetto famigliare e cioè la necessità di
allontanare il cristianesimo dal palazzo e di recidere il filo di
pericolose frequentazioni di Gallieno e il suo entourage; una
facies carismatica che identificava il prestigio e la salute
dell'impero con il rispetto dei vecchi dei.
Tutte queste tre cose, probabilmente, hanno scatenato la persecuzione.
Il provvedimento fu applicato con intransigenza: i beni della chiesa
furono incamerati e soprattutto la più alta gerarchia ecclesiatica e
molti personaggi delle classi eminenti subirono i processi e furono
condannati. Per citare alcune notizie, papa Sisto II, venne decapitato
nell'agosto del 258, insieme con quattro diaconi romani, nel settembre
venne martirizzato Cipriano, vescovo di Cartagine, mentre il vescovo di
Alessandria, Dionigi, dopo aver affrontato il processo, fu condannato
all'esilio e potè tornare nella metropoli egiziana solo dopo la morte di
Valeriano e grazie al nuovo clima in materia stabilito da suo figlio e
successore, Gallieno.
(Ancora una volta fondamentali i riferimenti all'opera di Marta Sordi,
alle pagine 127 - 138, per la stesura di queste righe. Rimandiamo
alla bibliografia generale di questi appunti per l'opera della studiosa.
Voci Wikipedia per Sisto II, Cipriano e Dionigi. Inoltre Mazzarino,
citato in bibliografia).
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