In verità il rescritto di Adriano, seconda importantissima
presa di posizione intorno al problema della diffusione del
cristianesimo in oriente, non era indirizzato, originariamente, a
Minucio, ma al suo precedessore, Serenio Graniano, proconsole, prima di
lui, per la provincia romana d'Asia.
Purtroppo non abbiamo la lettera del proconsole all'imperatore, neppure
in forma mediata e tradotta ma solo la risposta dell'imperatore e per di
piu' nella traduzione e interpolazione fornitaci da Eusebio vescovo di
Cesarea, che scrive due secoli dopo.
Sul fatto che la risposta dell'imperatore contenga importanti novità sia
rispetto all'impianto traianeo e soprattutto rispetto a quello che era
emerso in epoca neroniana e domizianea non ci sono dubbi, almeno secondo
il testo fornitoci da Eusebio.
Adriano, pur non riconoscendo validità ufficiale all'associazione dei
Cristiani e alla loro società confessionali, dispone ancora con più
forza che nel rescritto di Traiano la non perseguibilità di ufficio
contro di loro e soprattutto stabilisce il principio che i Cristiani non
vadano perseguiti in quanto tali ma solo dietro comprovata pratica di
altri reati.
Inoltre l'imperatore si lascia andare a una eloquente interiezione, "per
Ercole", (almeno secondo la trascrizione e lezione di Eusebio) quando
ritiene che vadano perseguiti coloro che in maniera assolutamente
illegale insolentiscono i Cristiani e sporgono denunce non
suffragate da prove contro gli aderenti alla nuova religione,
facendo chiaramente riferimento al comportamento delle plebi pagane ma
anche a quello dei fondaci ebraici dell'oriente.
Il testo trattato da Eusebio per trascrizione da Melitone e Giustino è
in greco.
Qui Adriano secondo Eusebio di Cesarea:
"Ho ricevuto una lettera scrittami dal vir clarissimus Serenio Graniano, al quale tu sei succeduto. E non mi sembra opportuno lasciare il caso senza esame, perchè gli uomini non siano turbati e ai delatori non sia dato agio di agire malvagiamente. Se dunque i provinciali sono in grado di sostenere apertamente questa richiesta contro i Cristiani, in modo che possano anche replicare in tribunale, ricorrano solo a questa procedura, e non ad opinioni o clamori. È infatti assai più opportuno che tu istituisca un processo, se qualcuno vuole formalizzare un’accusa. Allora, se qualcuno li accusa e dimostra che essi stanno agendo contro le leggi, decidi secondo la gravità del reato; ma, per Ercole, se qualcuno sporge denuncia per calunnia, stabiliscine la gravità e abbi cura di punirlo."
Certamente Eusebio, collaboratore di Costantino I, é una
fonte sospetta ma il fatto che Eusebio metta in bocca a Melitone nella
sua storia ecclesiastica, apologeta cristiano dell'epoca di Marco
Aurelio, questa frase, se non fuga i dubbi su una certa falsificazione
e mistificazione del rescritto di Adriano certamente rinforza
l'ipotesi che la facies dell'editto fosse quella di un
forte garantismo verso la nova religio e soprattutto di una
grande indifferenza, indifferenza illuminista, verso i timori panici
pagani dell'oriente.
Inoltre Melitone coinvolge in questo atteggiamento anche il successore
di Adriano, Antonino Pio, e censura, come non tradizionale, una certa
insofferenza che, invece, Marco Aurelio iniziò a manifestare verso la
nova religio.
Qui Melitone (170 ca.) in Eusebio di Cesarea:
"Ma i tuoi pii antenati hanno corretto la loro ignoranza, rimproverando spesso per iscritto quanti avevano osato introdurre novità a proposito dei cristiani. Tra loro tuo nonno Adriano ha scritto, com'è noto, tra molti altri, al proconsole Fundano governatore dell'Asia, e tuo padre, quando anche tu seguivi tutti gli affari con lui, ha scritto alle città di non introdurre alcuna novità a nostro riguardo, tra gli altri agli abitanti di Larissa, di Tessalonica, di Atene e a tutti i Greci."
Testo e traduzione tratti da: http://digilander.libero.it/Hard_Rain/storia/Adriano.htm