L'atteggiamento generale di Marco Aurelio verso il cristianesimo  (161 - 177)

1. L'eredità giuridica e culturale

Anche sotto il governo di Marco Aurelio, succeduto ad Antonino e associato a Lucio Vero fino al 169 nel principato, formalmente non cambia nulla nell'atteggiamento ufficiale verso le comunità cristiane. Prosegue quello che potrebbe essere detto un comportamento ondivago e ambiguo: non perseguibilità d'ufficio, rifiuto di delazioni anonime, ma condanna dei cristiani quando sia provata e denunciata pubblicamente la loro professione di fede. Sempre e comunque deve essere un regolare processo a determinare la condanna degli aderenti alla nova et illicita superstitio. Essere cristiani, quindi, significava aderire a una religione che, secondo la mentalità dell'epoca e l'immaginario pagano, non contribuiva alla salute dell'impero, anche se non appariva direttamente disinteressata, al contrario di buona parte del mondo ebraico, alla sua esistenza e conservazione. Quasi sempre, inoltre, i provvedimenti di legge adottati in materia da Marco non si discostano da quelli dei suoi precedenti all'impero: si trattava di editti tesi a difendere la tradizione religiosa pagana, a gratificare il tradizionalismo romano in materia e a proibire, conseguentemente, l'introduzione di nuovi culti. La notizia di un'editto di Marco, datato al 176, contro l'introduzione di nuove confessioni religiose, estranee alla tradizione romana e ellenica, è perfettamente in linea con questa tendenza consolidata. Naturalmente l'editto fu considerato da alcuni contemporanei e dalla apologetica cristiana come un provvedimento anti - cristiano, ma, come in molti altri, il cristianesimo non viene neanche citato e il problema del proselitismo cristiano è inserito in una questione ben più ampia, quella della diffusione di nuovi culti e di una nuova religiosità. Secondo questo nuovo modo di sentire, che avrà grandissimo successo nel III secolo, il problema della salvezza dell'umanità e della sua salute e felicità abbandona il piano politico e pragmatico del paganesimo tradizionale, che le intendeva come salute dei luoghi di vita, delle comunità locali e conseguentemente dell'istituzione imperiale capace di garantire pace, cooperazione tra le diverse etnie e razionalizzazione delle risorse agricole. La salvezza e la salute dell'umanità si spostano su un livello metafisico e sono concepite come  il prodotto di un disegno universale che va oltre la contingenza politica e individua una felicità e un'etica di nuovo tipo: una felicità e un etica assolute, poste al di fuori della storia che diviene, al contrario, terreno di sofferenza, privazione e mancanza.

2. La novità in Marco

Questo nuovo modo di sentire, anche se censurato dalle istituzioni e in parte temuto, non manca di influenzare tutti gli strati sociali e anche la casa dell'imperatore, quasi certamente Marco medesimo. È una nuova sensibilità diffusa trasveralmente nella società alto - imperiale che caratterizzerà, più tardi, la civiltà del basso impero. In più parti dei suoi ricordi, infatti, Marco manifesta un certo disgusto verso gli strumenti della politica ordinaria e soprattutto della guerra e accarezza un'ideale umano che si discosta da quello tradizionale; Marco, però, ritiene che sia proprio l'impero, che sta guidando, a potere dare una risposta storica e concreta a queste nuove aspirazioni etiche e morali e così facendo riesce a recuperare la nuova sensibilità all'immagine del potere imperiale, rimanendo custode della tradizionale ideologia romana. Gran parte degli storici individuano, non casualmente, nell'epoca del principato di Marco un cambiamento di fase, un passaggio, verso un nuovo mondo di concepire l'impero. Al contrario noi, in questi appunti, abbiamo preferito sottolineare gli elementi di continuità con la tradizione ideologica romana in Marco Aurelio, nonostante le innegabili contaminazioni che l'epoca non solo proponeva, ma imponeva. Marco, nei ricordi, ha ben presenti le problematiche antropologiche che si stanno diffondendo soprattutto nella parte orientale dell'impero ed egli stesso è affascinato da questo nuovo modo di concepire il repertorio dell'umano.

3. Nuovo e suo contrario

Il pregiudizio pagano verso i cristiani era forte: spesso erano accusati di praticare il cannibalismo e l'incesto e in generale di complottare contro la salute pubblica. In alcuni casi, niente affatto infrequenti, al proselitismo cristiano e all'indifferenza delle comunità cristiane verso i culti locali e le relative divinità veniva addebitata la responsabilità di carestie, siccità, alluvioni e terremoti. Marco Cornelio Frontone (100 - 166), collaboratore e uno degli educatori intellettuali dell'imperatore, scrisse un'invettiva animata da queste superstizioni, nella quale si accusavano i cristiani di praticare l'infanticidio.
Questo castello accusatorio e superstizioso si coniugava in maniera naturale con l'ideologia della salute dell'impero della tradizione pagana romana e istituzionale e determinò spesso, e frequentissimamente in oriente, vere e proprie sollevazioni della folla pagana contro le comunità cristiane, troppo spesso scambiate con persecuzioni ufficiali e suggellate da fantomatici editti imperiali, che mai, in verità, ci furono lungo tutto il I e II secolo. Dell'atteggiamento personale di Marco Aurelio sappiamo ben poco, in generale si può scrivere che non nutriva un'antipatia pregiudiziale verso gli aderenti alla setta, anche se ne temeva le caratteristiche di novità, indifferenza verso la salute dell'impero e clandestinità. Il fatto che i cristiani si adeguassero a professare la loro fede in clandestinità, pur di non essere costretti a rinnegarla, era fatto lontanissimo dal pragmatismo e utilitarismo pagano: era davvero un nuovo modo di sentire Dio e il cosmo, condiviso da molte nuove religione esoteriche e mistiche che provenivano anch'esse dall'oriente. La clandestinità e il rifiuto dell'apostasia provavano, secondo questa mentalità, non la stupidità delle leggi repressive, ma la lontananza dei cristiani dalla comunità civile e dal genus humanum di cui si sentiva garante l'istituzione imperiale e lo stato romano in ogni sua articolazione decentrata.
Contemporaneamente, va ribadito, questo nuovo modo di sentire influenzava anche la classe dirigente romana e contaminava, in maniera quasi del tutto sotterranea e sotterraneamente percepita, l'idea stessa dell'impero e del suo ruolo storico e politico.

4. La novità cristiana

Il cristianesimo si avviava, nella seconda metà del II secolo, ad essere un fenomeno di massa, soprattutto in oriente. La vivacità dell'apologetica e l'interesse che suscita testimonia di questo incipiente successo propagandistico. A differenza del movimento ebraico, che rimane confinato nella tradizione tribale del popolo di Mosè, e di molti culti esoterici, che si diffondono in particolari settori della vita sociale e pubblica (alcuni nell'esercito, altri principalmente tra la popolazione servile di una particolare regione, altri esclusivamente nelle classi colte ed agiate) il proselitismo cristiano, nonostante alcuni innegabili preferenze, si diffonde in maniera uniforme. Certo le prime comunità cristiane nel mondo romano sono, soprattutto, comunità urbane, una sorta di comunità ebraica che, abbandonato il suo settarismo tribale e nazionalista, si allarga, ma già alla fine del I secolo l'impatto del movimento interessa anche le classi agiate dell'occidente e addirittura la famiglia imperiale dei Flavi. In Africa è innegabile il proselitismo tra i contadini - pastori della Numidia già nel II secolo o la presenza di una forte comunità a Cartagine.
Il fatto che i veicoli della contaminazione religiosa siano probabilmente stati mercanti di lingua greca o aramaica provenienti dall'oriente (soprattutto Siria e Asia minore) non ci deve indurre a considerare il movimento cristiano come il prodotto di una società mercantile, come la meccanica trasposizione in ideologia religiosa degli interessi dei mercanti orientali dell'impero. Il processo è estremamente più complesso: contingenze storiche ed economiche (il travalicamento dell'ambito e delle comunità ebraiche, la mobilità del mercante sul territorio, il rifiuto del fiscalismo romano) si unirono a elementi strutturali (una nuova sensibilità culturale, nuove inquietudini di carattere esistenziale e ansie e angoscie sociali diffuse). Il cristianesimo seppe, con maggior coerenza e chiarezza di altre sette coeve e sostanzialmente affini, individuare una nuova idea di trascendente che non entrava in aperta contrapposizione con l'immanenza, con lo stato di cose presenti, ma immaginava un nuovo piano nell'immaginazione religiosa, nella realizzazione del sè e della felicità. La sintesi che proponeva il cristianesimo non era una sintesi storica o un'uscita conclamata e critica dalla storia (come facevano Manichei,  altre sette orientali e anche alcuni gruppi gnostici ed eretici cristiani) ma la costituzione di un nuovo piano sintetico e provvidenziale nel quale la storia era solo un'occasione, un accidente e quindi non poteva essere oggetto di critica e di vera azione critica.

5. Il processo a Giustino

In questo contesto piuttosto complesso, Marco Aurelio seguì le linee programmatiche stabilite da Traiano, Adriano e Antonino Pio in relazione ai cristiani. Un elemento nuovo e contingente, però, contribuì a confondere lo scenario, inserendosi in una situazione giuridicamente non ben definita. L'impero, dopo il 165, fu colpito da una gravissima epidemia pestilenziale che, secondo la mentalità pagana, ufficiale e tradizionale, richiedeva maggiore zelo religioso e rispetto devozionale: una sorta di profilassi liturgica. In questo contesto va collocato il processo e la condanna capitale di Giustino, apologista cristiano di Roma, proveniente dalla Samaria, che sono datati, in base agli estremi della magistratura del suo accusatore, Quinto Giunio Rustico, tra il 162 e il 167, ma che propendiamo a datare, per quanto appena esposto, più probabilmente nel biennio 166 / 167.
A rimarcare la situazione mobile della presenza cristiana e anche delle nuove e vecchie culture che si affrontavano e reciprocamente contaminavano, l'accusatore faceva parte dell'entourage di Marco Aurelio, mentre tra gli accusati erano Giustino e alcuni membri della sua famiglia, famiglia ben conosciuta alle autorità per i frequenti pubblici contraddittori che aveva affrontato in materia religiosa, e anche un servo della famiglia imperiale. Gli schieramenti, quindi, erano movimentati.
Il processo si svolse nel rispetto delle procedure traianee: ci fu una denuncia pubblica, favorita, quasi sicuramente, da alcune prese di posizione altrettanto pubbliche di Giustino in ordine al comportamento di Rustico verso la comunità cristiana. Rustico, che era il prefetto di Roma, stava portando avanti una campagna repressiva contro 'i senza dio' o 'atei' capaci, secondo la ben nota mentalità dell'epoca, di portare sventure alle comunità e di provocare il ritardo nella soluzione della pestilenza. Giustino gli si oppose, fu allora accusato di essere anche lui un 'senza dio' e alla fine si giunse all'accusa di cristianesimo, al rifiuto dell'apostasia da parte di Giustino e alla fine alla condanna capitale di tutti i sei imputati. Fin qui tutto in perfetta linea con il copione scritto da Traiano, Adriano e Antonino Pio, anche se va segnalato il nervosismo di quel particolare momento.
Quello che viene annotato da alcuni studiosi e che appare una novità quantomeno nello svolgimento del procedimento inquisitorio è la particolare attenzione che Rustico manifesta per capire e definire i cristiani come fatto organizzato, curiosità che non era presente nei processi di epoca precedente.
Tra il 166 / 167, anche se in maniera negativa, lo stato romano scopre il movimento cristiano come realtà organizzata. È il segno dell'incipienza di una nuova epoca nelle relazioni, ancora conflittuali, tra cristiani e impero: l'impero scopre l'esistenza di qualcosa che era sconosciuto al mondo pagano tradizionale e anche al paganesimo rinnovato orientale: un movimento religioso strutturato in gerarchie, articolato in comunità e provvisto di una disciplina interna. Scoperta interessante, sia in negativo che in positivo.

(Ancora una volta fondamentali i riferimenti all'opera di Marta Sordi, alle pagine 87 - 90, per la stesura di queste righe. Rimandiamo alla bibliografia generale di questi appunti per l'opera della studiosa; non inutile, inoltre, la lettura dei Ricordi di Marco Aurelio, sempre reperibili in bibliografia generale. Infine le voci wikipedia relative a Giunio Rustico e Giustino)

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