1. Un nuovo atteggiamento
Pare indiscutibile che intorno al 177, quindi nel
sedicesimo anno di governo e in prossimità dell'associazione all'impero
del figlio Commodo, Marco Aurelio cambiò politica nei confronti delle
comunità cristiane. Fino ad allora, come già scritto in altre parti di
queste appendici, la pratica giuridica tenuta nei confronti dei
cristiani era quella stabilita da Traiano intorno al 110 nel suo
rescritto a Plinio il giovane: in estrema sintesi l'appartenenza alla
confessione religiosa e all'organizzazione non era reato fino a quando
non veniva scoperto e solo se l'indagine faceva seguito a una denuncia
circostanziata e controfirmata. Inoltre, l'apostasia, quindi la
sconfessione della propria fede e il sacrificio agli dei tradizionali
(quest'ultimo, comunque, non faceva parte della normale prassi e spesso
ci si accontentava di un'abiura formale) era sufficiente a mitigare gli
effetti del giudizio o addirittura a sospendere il processo e a evitare
la pena.
Le origini di questo nuovo e abbastanza repentino mutamento sono, in
gran parte, attribuite al diffondersi tra i cristiani del montanismo,
un'eresia che si sviluppa non tanto sul terreno teologico quanto su
quello delle pratiche e stili di vita. I montanisti, mantendosi fedeli
alla lettura dei vangeli e alla loro interpretazione ortodossa e
rimanendo lontani dalle coeve ed emergenti eresie gnostiche,
sottolineano l'importanza e l'imminenza della seconda parousia,
della seconda venuta del messia. Tutto questa suscita e diffonde fra
costoro moralismo ascetico e un netto distacco dalle cose del mondo che
possiede anche dei portati etici e politici. Solitamente i montanisti
rifiutano di partecipare alla vita politica, di assumere cariche
pubbliche e, spesso, praticano l'obiezione di coscienza in campo
militare, rifiutando di rispondere a eventuali chiamate nell'esercito e,
in genere, tenendosi lontani dalla vita militare. Celso, che secondo
alcuni è molto vicino agli ambienti di governo, confonde l'atteggiamento
particolare della comunità montanista con l'ideologia generale del
movimento cristiano: sottolinea l'insana ansia di martirio, che
contraddistingue la setta, oltre che l'indifferenza verso la cosa
pubblica e il bene dell'impero e le proietta sull'intera comunità. Se
davvero, come sembra, Celso era un buon conoscitore della struttura
ideologica del movimento, la cosa stupisce un po', ma potrebbe essere
questo il segno del venir meno di una volontà di discernere, di
discriminare all'interno della comunità, il segno del destarsi di una
spiccata tendenza repressiva, secondo la quale le distinzioni valevano
poco. Inoltre, è ipotesi, il fatto che i montanisti non si
differenziassero dal resto del movimento cristiano in nessun punto
esegetico, non pretendessero di interpretare la trinità o la natura del
Cristo secondo il platonismo, ma facessero riferimento esclusivo al
testo evangelico e alla sua lettera, palesava un pericolo implicito alla
natura stessa dell'intero movimento: una cultura testuale che richiedeva
l'adesione al testo e a pratiche di vita. L'estremismo esistenziale
montanista, in potenza, era
quello dell'intero movimento.
Si può, forse, introdurre un secondo elemento per la genesi di questo
repentino cambiamento, che si unisce a un dato ben conosciuto: in
oriente ma anche in occidente la crescita di consenso della confessione
di fede è tangibile. L'aumento delle adesioni, unito al fatto che i
cristiani si riunivano secondo un'organizzazione gerarchica e dotata di
istituti precisi, inizia a preoccupare. Se, inizialmente, la loro
capacità organizzativa, la loro disciplina interna, affascinavano (in
epoca adrianea e antonina), ora suscitano timori e paure, gravi tra le
folle pagane soprattutto orientali, meno gravi ma influenti
politicamente tra quelli dell'elite ideologica e culturale. È eloquente
il fatto che sempre Celso giunga a chiedere ai cristiani di partecipare
alla vita politica, alla vita militare e in genere alle imprese
dell'impero, chieda, cioè, di lasciarsi coinvolgere dal disegno
imperiale (Discorso vero); qui l'autore offre una possibilità
di compromesso ma, offrendola, denuncia un difetto, un limite politico
della comunità e un'angoscia diffusa dei pagani verso i cristiani.
2. La 'persecuzione'
Lo abbiamo già scritto, troppo spesso si è scritto di
persecuzione, come di un fenomeno generale giustificato da un editto
altrettanto generale emesso dall'imperatore e applicato su tutto il
territorio dell'impero, quando quasi sempre, almeno fino al 249, si ha
motivo di individuare solo molti episodi e processi persecutori,
circoscritti a determinate realtà geografiche, alcuni appoggiati dal
potere centrale, ma molti altri, ben più numerosi, non avvallati dai
principi e provocati da amministratori locali, il più delle volte
incapaci di controllare tumulti e torbidi delle masse pagane. Quello di
Lione fa parte della prima casistica e al 177, tolta forse la
persecuzione neroniana che, per forza di cose, si limitò alla sola città
di Roma, non si era ancora verificata nessuna persecuzione generalizzata
e neanche questa, che produsse i processi a Lione, lo fu. Le grandi
persecuzioni di Domiziano, Traiano, Adriano e Antonino sono il risultato
di interpretazioni forzate operate sulle fonti da autori cristiani
posteriori.
I fatti anticristiani riguardarono, in quest'anno, non solo Lione, ma
anche la Grecia (secondo la testimonianza dell'apologista Atenagora) e
l'Asia (secondo Melitone), confermando una stretta repressiva
generalizzata e un mutato accento delle politiche in materia, ma nulla
depone a favore di una persecuzione generalizzata in mancanza
soprattutto di ogni notizia relativa all'emissione di un editto. Era,
però, cambiata la temperie politica e, probabilmente, anche il quadro
giuridico.
Marco Aurelio, pur non abrogando la pregiudiziale traianea in base alla
quale i cristiani conquirendi non sunt (non sono ricercabili e
perseguibili d'ufficio),
aveva, infatti, esteso anche ai reati di tipo religioso, i
sacrilegi, la possibilità della ricerca e perseguibilità
d'uffico, che veniva usata solo ed esclusivamente contro gli autori di
reati contro il patrimonio e contro la persona. Questo non coinvolgeva
automaticamente le comunità cristiana ma rendeva possibile agli
amministratori locali interpretare in tal senso la legge.
A Lione, così, come probabilmente in Grecia e in Asia minore, i
montanisti furono ricercati e incarcerati senza nessuna denuncia
circostanziata, ma per iniziativa diretta del legato delle
tres Galliae e con il probabile consenso preventivo
dell'imperatore. Il governatore, per di più, perseguì i cristiani non
solo perché appartenenti a una setta illegale ma anche perché convinto
che fossero responsabili, all'interno delle loro liturgie, di reati
comuni, di flagitia. Gli arresti si tradussero in condanne
capitali e il legato le eseguì anche in presenza di apostasie:
anche i pentiti tra i cristiani subiscono, quindi, il supplizio. Solo
qui intervenne Marco Aurelio che vietò di condannare gli apostati e ne
dispose la scarcerazione, ritornando all'impianto traianeo e rifiutando,
quindi, l'idea che venissero commessi crimini durante le pratiche e le
cerimonie dei cristiani e che in generale gli aderenti a quella comunità
si comportassero ipso facto come degli spergiuri, dei
criminale e dei senza dio: secondo
l'imperatore, il cristianesimo non coincideva con l'abominio e
il rifiuto delle regole della vita civile ma andava perseguito solo
perché era una illicita supestitio.
3. Dopo Lione
Dopo Lione, in verità subito dopo, le relazioni tra stato
e comunità cristiane si normalizzeranno e le stesse proposte politiche
di Celso ai cristiani puntavano a questa normalizzazione. Sotto Commodo
(180 - 192) la comunità cristiana e soprattutto la sua gerarchia, o
meglio la comunità cristiana attraverso
la sua gerarchia, inizierà a influenzare direttamente la corte,
utilizzando la mediazione della correligionaria Marcia, augusta
di fatto. Con il successore di
Marco Aurelio, ma probabilmente già negli ultimissimi anni del suo
governo, si inaugurerà quella tolleranza di fatto che
contraddistinguerà poi tutta la fase dei Severi (193 - 235) e durante
la quale la comunità cristiana di Roma dialogherà direttamente con
l'imperatore e le comunità locali con gli amministratori provinciali.
Un precedente storico illustre per questa relazione tra governo e
cristiani c'era già stato in epoca flavia (69 - 96), quando alcuni
membri, affini e congiunti della famiglia imperiale, simpatizzarono per
il cristianesimo o, addirittura, lo abbracciarono, qui, però, le cifre
sono profondamente diverse: è il cristianesimo come struttura, come
organizzazione, non la confessione cristiana vissuta come inclinazione e
scelta personale, a essere coinvolto nella relazione. Emblematico è il
caso dell'intercessione di Marcia presso Commodo che gli propone una
lista di condannati per cristianesimo e di deportati in Sardegna redatta
dallo stesso papa e vescovo di Roma Vittore e Commodo ne fa eseguire la
scarcerazione.
Il riconoscimento, inoltre, del movimento cristiano in quanto
organizzazione comporta la sua possibilità di avere delle proprietà, dei
luoghi di riunione e di devozione verso i morti, di avere, insomma, una
figura giuridica; è questo un contesto piuttosto contraddittorio: il
cristianesimo come collettività, come figura pubblica è riconosciuto
mentre la singola professione di fede, se denunciata, richiama
l'applicazione dei decreti neroniani contro l'illicita superstitio.
Il processo di Lione, che comunque è solo attestato da una relazione
della comunità di Lione e Vienne alle comunità orientali riportata da
Eusebio più di un secolo dopo, fu il sintomo della possibilità di crisi
di violenza generalizzate e dell'incrudelirsi dei processi giudiziari
verso le comunità cristiane e un segno storico non indifferente, proprio
di fronte alla instabilità e contraddittorietà giuridica or ora
rimarcata.
(Ancora una volta fondamentali i
riferimenti all'opera di Marta Sordi, alle pagine 88 - 93, per la
stesura di queste righe. Rimandiamo alla bibliografia generale di
questi appunti per l'opera della studiosa; non inutile, inoltre, la
lettura dei Ricordi di Marco Aurelio, sempre reperibili in
bibliografia generale. )