Gli editti di Diocleziano contro i cristiani (297 / 304)

1. I provvedimenti del 297

Fino al 297, Diocleziano non si era mai occupato, almeno direttamente, di cose religiose; il suo tradizionalismo in tal materia era conclamato, ma non aveva mai prodotto intraprese legali o giuridiche. Ora accadde qualcosa, che funzionò quasi come preambolo storico ai futuri provvedimenti contro i cristiani e introdusse il ritorno, dopo circa cinquanta anni, a una logica apertamente persecutoria verso l'ecclesia catholica.

1.1. L'editto contro i Manichei

Il 31 marzo Diocleziano, da Antiochia dove si apprestava ad affrontare la campagna persiana, emanò un provvedimento persecutorio ai danni dei Manichei. Sarà utile descrivere brevemente i connotati generali di questa ideologia religiosa, perché ebbe una buona diffusione e notevole importanza nel dibattito culturale del IV secolo.

1.1.1. Manicheismo e Zoroastrismo

La confessione manichea sorse in Persia a metà del III secolo, proponendosi come una versione radicale dello zoroastrismo; da lì si diffuse all'interno dell'impero e, segnatamente, in Egitto, Africa e anche in Italia meridionale.
I manichei avevano radicalizzato l'antinomia che nel monoteismo zoroastriano esiste tra Luce e Tenebre, Male e Bene e che in quello si sostanzia in due divinità distinte e in semi eterna contrapposizione, semi eterna giacché Ariman, il dio del male, alla fine verrà battuto dal Dio del bene Orzmad attraverso l'intervento nella storia e nella vita dell'umanità di un sosian, un salvatore. Quel giorno, il giorno dell'avvento del sosian, sarà il giorno del giudizio universale e della resurrezione dei morti. Secondo lo zoroastrismo ortodosso, che era la religione di stato in Persia, questa lotta tra male e bene è riassumibile innanzitutto attraverso un piano di azione sociale; la materia si oppone all'anima, esattamente come le tenebre lottano contro la luce, ma quando la materia, la natura selvaggia e piena di insidie, viene governata dal lavoro dell'uomo, dal lavoro contadino, che disciplina la natura, la materia si rende benigna e si prepara, quantomeno, al dominio finale della luce e, parimenti, lo prepara. Infine, questa lotta conosce uno sviluppo storico nel sosian, il salvatore, che alla fine dei tempi giungerà a liberare completamente l'umanità dal male e che era identificato, miticamente, con il tredicesimo monarca della dinastia sassanide. Insomma lo zoroastrismo istituzionalizzava una soteriologia di stato.
Al contrario, per i manichei, la materia era maligna in assoluto e solo un radicale distacco da essa poteva garantire la salvezza agli uomini.
I portati del manicheismo furono notevoli: disprezzo per le cose terrene che si tramutava, spesso, in indifferenza per quelle, con tutte le conseguenze morali e anche economiche del caso. In certi casi il manicheismo giungerà a teorizzare e a propugnare la pratica di una sorta di agnosticismo etico e morale, giacché, a ben vedere, tutto il male ci è indifferente e non c'è maggior o minor colpa.
Ai sovrani sassanidi non mancarono di balzare agli occhi le conseguenze politiche di questo modo di ragionare.
In più la predicazione manichea comprendeva in sé elementi cristiani, Mani stesso si riteneva un profeta di Cristo, e cioè usciva dal solco dello zoroastrismo e proponeva una sorta di unità, di sincretismo religioso, tra tutti i monoteismi (Buddha, Zoroastro, Javhè e Cristo), lasciando a quello cristiano una posizione di preminenza. Cosicché, in qualche caso, i cristiani si associarono, magari nelle loro correnti gnostiche ed eretiche, o furono associati ai manichei.

1.1.2. L'editto di Diocleziano contro i manichei (31 marzo 297)
 
I sovrani sassanidi, dopo un'iniziale attenzione e tolleranza, perseguitarono il pensiero manicheo e questo, in parte, spiega la sua migrazione in occidente, oltre l'Eufrate; insomma il manicheismo diventò un'eresia interna al mondo persiano ma una nova religio non apertamente illegale in quello romano, trasformandosi quasi nel doppio rovesciato, sotto il profilo storico, del cristianesimo, che, invece, era una nova religio non perfettamente legale.
Ebbene l'editto di Diocleziano contro i manichei fu estremamente esplicito: non si può essere manichei, esattamente come sotto Valeriano non si poteva essere cristiani, per dirla alla latina, tantum nomen odiosum est ('la sola parola è fonte di ribrezzo').
Nelle argomentazioni dell'editto il manicheismo fu condannato, innanzitutto, perché era una religione che proveniva dalla Persia e dunque da una nazione nemica e ostile, e in secondo luogo perché era una religione recente, una nova religio. Nella prima motivazione troviamo elementi contingenti e politici, nel senso che all'atto di inaugurare una campagna militare anti - iranica l'imperatore si sentì in dovere di compiere un po' di 'pulizia religiosa' in casa propria; inoltre pare assodato che il pensiero manicheo abbia giocato un ruolo non secondario nella coeva insurrezione indipendentista dell'Egitto, che Diocleziano stava reprimendo con eccezionale vigore militare e con la mobilitazione di quasi cinquantamila soldati contro la provincia ribelle. Nella seconda motivazione si faceva apertamente riferimento alla tradizione religiosa, alla vetustà della confessione religiosa, come elemento probante della sua bontà e affidabilità: una sorta di ciò che è antico è vero.
Questo creò un pericoloso precedente per il regno di Diocleziano, anche se ci pare perfettamente in coerenza con l'ideologia del suo principato, ma, soprattutto, vale la pena di associare questa ideologia a quello che si sviluppa, quasi contemporaneamente, nei riguardi dei cristiani.

1.1.3. Primi timidi momenti anti - cristiani

E infatti avvenne dell'altro.
Durante la campagna persiana, i romani subirono un terribile rovescio militare a Carre. Immediatamente dopo la sconfitta, nell'aprile del 297, presero piede timori panici nel campo pagano. Ma non ne furono protagonisti gli adepti di qualche divinità orientale e periferica o i 'madonnari pagani' spaventati per il danno procurato ai loro commerci di statuette votive dal progredire del cristianesimo, si trattava, invece, degli aruspici alla corte dell'imperatore, cioè dei massimi interpreti del tradizionale politeismo etrusco – italico. Costoro, dopo la sconfitta, denunciarono il fatto che gli auspici pur favorevoli non erano stati rispettati perché, a loro dire, molti nel sacro comitato non sacrificavano agli Dei. Gli dei, insomma, prima favorevoli e benigni verso l'impresa militare dell'imperatore, sdegnati per il disinteresse e l'indifferenza, l'avevano abbandonata.
Fu una presa di posizione di grandissimo peso che Diocleziano non poteva ignorare e non ignorò. Aureliano, Probo e gli imperatori consacrati a Sol, pur avendo sempre manifestato sommo rispetto per l'aruspicina tradizionale, avrebbero certamente lasciato correre, anzi, probabilmente, alla loro corte, gli aruspici della tradizione etrusco - italica non si sarebbero mai sentiti in dovere di assumere un atteggiamento di così risoluto rispetto del loro sacerdozio. Diocleziano, però, non aveva una formazione simile a quella di quei precedenti all'impero ma altri riferimenti: era, in quegli auspici mancati, in gioco, per lui, la salvezza dell'impero. C'è davvero un ritorno a Decio, in Diocleziano.
Si diffuse, così, un movimento per il quale tutti i 'palatini', cioè le guardie imperiali e, poi, tutto l'esercito dovevano recarsi a sacrificare agli dei. Il provvedimento, esattamente come quello di Decio, non nominava i cristiani e si limitava a prescrivere l'obbligo del sacrificio per tutti i soldati; l'obbligo del sacrificio, però, per logica di cose coinvolgeva i cristiani: i cristiani si contraddistinguevano da quasi tutte le novae religiones per il loro rifiuto del sacrificio e ancora di più perchè la legge di Gallieno, scritta intorno al 260, stabiliva un'eccezione al riguardo per gli appartenenti alla ecclesia catholica. Eppure Diocle, esattamente come Decio, non chiamava al sacrificio, in questo crudele anno, i cristiani, si limitava a ribadire l'universale validità degli istituti religiosi tradizionali;  il cristianesimo rimase religio licita, soltanto che l'esonero dal sacrificio introdotto a loro favore da Gallieno era revocato.
Il movimento persecutorio fu incruento e limitato nel tempo, durerà pochi mesi e non comporterà altro che l'allontanamento dall'esercito di chi non compiva il sacrificio, ma fu significativo per le dinamiche nuove che rilevava all'interno del mondo pagano. Confrontata con la capillarità dell'applicazione dell'editto contro i manichei, inoltre, l'azione di Diocleziano rivela molta indecisione: è assodato che anche dopo l'editto dell'aprile 297 tra i palatini continuarono a militare molti cristiani e neppure apostati. Diocle, insomma, aborrisce una persecuzione generalizzata, conoscendone il prezzo; ma, lo ribadiamo, qualcosa di nuovo si stava muovendo dentro il fronte pagano, qualcosa che potrebbe fare perdere la moderazione in questa ventata tradizionalista, anche al, tutto sommato, tradizionalista ma contemporaneamente moderato imperatore.

2. La grande persecuzione anticristiana

Già nel 297, si erano avviati alcuni
provvedimenti anti - cristiani, sebbene circoscritti all'esercito e in quello soprattutto limitati ai palatini, al corpo di guardia imperiale. Quelle intraprese legislative, pur non provocando una epurazione di massa, rimasero in vigore ed erano, per così dire, legge corrente. Insomma, si affermò l'idea in base alla quale era preferibile che i cristiani non militassero nelle legioni; era un'idea  opposta a quella divenuta ormai corrente e accettata fin dai tempi di Gallieno (260 - 268) e della sua 'depenalizzazione' del cristianesimo. La depenalizzazione è ben testimoniata dalla notizia, relativa a solo due anni prima (295), secondo la quale una recluta (un certo Massimiliano), in Africa, allo scopo di giustificare il rifiuto di essere arruolato, aveva fatto riferimento al suo cristianesimo ed era stato condannato dal governatore della regione per renitenza alla leva e non certo per cristianesimo; anzi il magistrato aveva precisato, nella motivazione della sentenza, che il cristianesimo non giustificava la diserzione, ricordando a Massimiliano che nell'esercito romano erano molti cristiani.
Se Massimiliano rifiutò la leva in nome della sua cristianità, probabilmente, non era un cristiano qualsiasi, cioè un cristiano cattolico e ortodosso, ma un montanista, e il proconsole che lo giudicava ebbe facile gioco nel ribattergli che i cristiani servivano eccellentemente nell'esercito. L'episodio della recluta africana ci rivela un fatto che potrebbe avere una certa tangenza con le origini della persecuzione nell'esercito: esistevano gruppi confessionali, sette cristiane, diffusi in alcune aree dell'impero, soprattutto in Africa, in Egitto, nel sud della Gallia e forse anche in Italia meridionale, che, riferendosi al pensiero cristiano più radicale, risalente al secolo precedente o agli inizi di questo, vale a dire alle teorizzazioni dei montanisti e di Tertulliano, praticavano l'obiezione di coscienza.
Non siamo in grado di valutare quantitativamente il fenomeno dell'obiezione di coscienza provocata dal diffondersi del montanismo in Africa, Egitto, Gallia e Italia meridionale, ma le successive vicende africane, dove di qui a qualche decennio, e in seguito a questa stessa persecuzione, si diffonderà la predicazione della setta intransigente dei 'donatisti', ce ne fanno supporre una certa importanza. Insomma alcuni tra i cristiani si ostinavano a rifiutare programmaticamente la leva militare ed emergeva la divisione tra una comunità ortodossa e maggioritaria che accettava la milizia e alcuni gruppi 'eterodossi' che la censuravano ed evitavano.
Ora, pare più che plausibile che la presenza di tali atteggiamenti abbia gettato un'ombra di discredito sulla milizia dei cristiani: se ne sospettava un segreto pacifismo e una tiepidezza verso gli obbiettivi e le ragioni militari dell'impero. Insomma il rigorismo di questi adepti toccava un nervo particolarmente sensibile nell'impero: si ricordi che, nel 177, l'illuminato Marco Aurelio aveva letteralmente perduto la testa di fronte alla diffusione degli atteggiamenti montanisti tra i cristiani e, senza fare troppe discriminazioni tra ortodossi e non, aveva istituito il celeberrimo processo di Lione che soddisfece l'ansia di martirio dei più radicali ma colpì davvero brutalmente tutta la piccola e debolissima comunità cristiana in Gallia. Così il provvedimento del 297 potrebbe essere spiegato con un rinnovato diffondersi di correnti estremistiche tra i cristiani, in forza anche della cinquantennale 'legalizzazione' del cristianesimo.
In ogni caso Diocleziano desiderava fermarsi qui e va detto che è un luogo molto benigno verso la nuova religione se, tra le prime vittime degli editti successivi, troviamo molti palatini. Questo significa che non solo l'editto del 297 fu circoscritto ma anche blandamente applicato: insomma si bandiscono i cristiani dall'esercito, ma, poi, all'atto di applicare il bando si chiude un occhio o anche tutti e due.

3. Il primo editto generale: 23 febbraio 303

3.1. Le pressioni di Galerio

Diocleziano, Iovio, era un sincero pagano tradizionalista, non amava i cristiani, ma, contemporaneamente, non amava le persecuzioni generalizzate. Quando le ordina, come nel caso dei manichei, fa questo in base a una valutazione di opportunità e necessità politica: l'Egitto e il suo autonomismo. Un indirizzo legislativo che tendesse, con moderazione, a escludere i cristiani dall'esercito era per l'Augusto dell'oriente più che sufficiente. Il cristianesimo rimaneva una licita religio, la cui professione, però, emarginava da alcuni settori della vita politica.
Abbiamo, infatti, qualche notizia su veri e propri battibecchi tra Diocleziano e il suo Cesare, Galerio. Quest'ultimo era, al contrario, animato da un fortissimo sentimento religioso, dello stesso segno di quello che animava Diocleziano, ma non era confortato dallo stesso spirito politico e pratico. Anche per Galerio, come per Diocleziano, era in questione la salvezza dell'impero e la religione decideva dell'impero; entrambi, dunque, condividevano il piano ideologico di Decio, un Decio redivivo dalla palude di Abritto. Diocleziano, però, per descriverla con parole povere e domestiche, rispondeva all'irruente collega di lasciare perdere e che la cura, a volte, è peggiore del male.
Le valutazioni del Cesare dell'illirico riteniamo fossero semplici.
Innanzitutto si erano chiusi i conti con la secessione britannica e la bacaudia gallicana, ora l'occidente era stabilmente unito all'oriente, senza alcuna deroga; il Danubio era tornato sicuro e Goti e altre alleanze si tenevano ben lontane dai confini dell'impero; ma, soprattutto, la Mesopotamia era stata riconquistata dopo trent'anni ed erano stati vendicati, in quell'occasione, l'onore e la cattività di Valeriano, quella sconfitta e prigionia per la quale avevano gioito numerosi libellisti cristiani dell'epoca, per di più.
I tempi erano, dunque, maturi per chiudere i conti anche con questi nemici interni; ce n'erano, per così dire, le condizioni politiche. In quest'epoca carismatica e dietro l'ispirazione dell'aruspicina etrusco - romana, Galerio pensava veramente che la salvezza dello stato passasse attraverso un ritorno alla tradizione religiosa. La necessità della persecuzione anti - cristiana non generava e non faceva riferimento a contingenze storiche particolari, come per il caso dei manichei, si giustificava, invece, in una vera e presunta, comunque costitutiva, ostilità dei cristiani all'impero. Rispetto a questa ostilità genetica, l'impero doveva ritrovare la sua fondazione religiosa, tornare alla tradizione romana.
Il preambolo della legge contro i manichei (redatto nel 297), d'altronde, forniva ottimi argomenti in questo senso; si era scritto, infatti, in quello, che una vetus religio non può essere soppiantata, cambiata o criticata da una nova religio e che, dunque, la tradizione è tutto, il fondamento medesimo delle cose sociali e dello stato.
Si coniugarono due elementi nel determinare l'emanazione del primo editto: una diffusione, nel campo cristiano, di tendenze estremistiche che rendevano visibile la 'diversità' della nuova religione e le potenzialità socialmente negative in quella, il farsi strada, in quello pagano, di timori panici, rappresentati e riassunti dal Cesare Galerio.

3.2. I Terminalia

La data di emanazione dell'editto non fu scelta a caso; il 23 febbraio, infatti, ricorrevano i Terminalia, cioè la festa dedicata a Terminus, tradizionale divinità italica consacratrice dei confini delle proprietà. La si potrebbe considerare una apoteosi del tradizionalismo pagano, in contraddizione, anche, con lo spirito del paganesimo rinnovato e solariano, una vera operazione di archeologia culturale e religiosa. E, infatti, la cosa non piacque troppo a Costanzo, uno dei tetrarchi e Cesare delle Gallie che era un solariano convinto; Costanzo solo per spirito di collaborazione applicò il primo editto e con una certa moderazione e circospezione.
La legge era la fotocopia di quella redatta da Valeriano quarantacinque anni prima: requisizione delle proprietà ecclesiastiche, abrogazione della figura giuridica della Chiesa, distruzione delle sue proprietà immobiliari, consegna allo Stato dei libri contabili e dei libri sacri e, infine, bollatura di infamia contro tutti gli honestiores, le persone in vista e con responsabilità di governo, che professassero quella fede.
Dunque l'editto del 303, come il primo di Valeriano, si rivolse contro chiesa come istituzione, decretandone lo scioglimento e l'illegalità, e alle professioni di fede nell'amministrazione dello Stato, proibendole e sanzionandole. Al di fuori di questi due ambiti, nei quali va incluso l'esercito, era ancora possibile essere cristiani: bastava accontentarsi di professare quella fede privatamente e in maniera disorganizzata e infatti non ci furono misure neppure contro chierici e vescovi, in quanto persone fisiche.
L'esecuzione dell'Editto fu abbastanza uniforme, una volta nuovamente sottolineato il distacco di Costanzo Cloro. Nei Balcani Galerio lo applicò inflessibilmente, così pure l'Augusto dell'occidente e pagano convinto, Massimiano Erculeo, che mise a ferro e fuoco le diocesi italiane e africane. Diocleziano, al contrario, all'inizio manifestò notevole moderazione.
Subito dopo l'emanazione dell'editto, però, due incendi devastarono il palazzo dell'Augusto a Nicomedia, dei quali furono da alcune parti accusati i cristiani, e la persecuzione controllata da Diocleziano divenne allora radicale, anzi oltrepassò lo spirito stesso del decreto: si misero a morte vescovi e diaconi senza l'ombra di un processo e tutti a Nicomedia furono obbligati al sacrificio, cosa che l'editto del febbraio non prevedeva. Insomma e non certo allegoricamente le chiese bruciavano materialmente, di fuoco vero e non figurato.
Si era innescato un processo, modernamente e con parola inglese lo chiameremmo run away, incontrollabile. Proprio ciò che Diocleziano temeva, lo vide ora protagonista e maturarono i presupposti per i decreti successivi. Potremmo definire l'imperatore prigioniero e, contemporaneamente, causa sui captivitatis.

3.3. Gli effetti dell'editto: i traditori

L'editto ebbe effetti notevolissimi sulle comunità cristiane, sulla loro vita e anche sui conseguenti equilibri interni lungo tutto il secolo appena iniziato, e portati linguistici duraturi su un significante della lingua che oggi usiamo. Moltissimi vescovi e chierici, per aver salva la vita e per mantenere in vita l'organizzazione ecclesiastica, ottemperarono alle disposizioni della legge, consegnando libri e beni agli inquisitori, cioè, in latino, traderunt. Per questo fatto furono detti, traditores, cioè coloro che avevano consegnato la comunità, i suoi beni e i suoi documenti ai persecutori. Si badi bene che il termine non ebbe immediatamente una connotazione negativa, neppure all'interno della comunità cristiana, si trattava di una definizione tecnica, si definivano con quella, solo, coloro che, non avendo saputo resistere ai rigori della legge, avevano consegnato beni e i libri contabili della comunità. Per di più, per giustificare questi comportamenti, si utilizzarono argomentazioni di opportunità pratica: la consegna dei libri e dei documenti aveva permesso di proseguire, in qualche modo, l'attività pastorale.
Acquisirà valenza negativa solo nella polemica che si scatenerà durante e, soprattutto, al termine della persecuzione. Molti nella comunità ortodossa  vorrebbero riammettere 'coloro che hanno consegnato i libri' e ridonare loro cariche ecclesiastiche e possibilità di amministrare i sacramenti, mentre gruppi eterodossi  rifiuteranno di ricevere i sacramenti dai traditores. Per questi ultimi la parola acquisisce la valenza negativa che ha ancora oggi nell'italiano: insomma traditor diventerà, in questo ambienti, sinonimo di proditor (che in latino è il vocabolo associato al significato di traditore).
Ai traditores si contrapposero durante la persecuzione, e anche in questo caso, soprattutto in Africa e in Egitto (ma non mancarono esempi in Hispania, Gallia meridionale e Italia meridionale) gli agonistici, cioè letteralmente i 'combattenti', coloro, cioè, che affrontavano il martirio. Il riferimento all'esperienza degli agonistici e al loro esempio sarà costante per tutto il IV secolo nella predicazione religiosa dei gruppi donatisti, eredi del montanismo. Questa predicazione rinnegava la validità della chiesa ufficiale che aveva accettato i traditores e li aveva perdonati, rifiutava insieme con quella la validità oggettiva dei sacramenti e ne teorizzava una validità soggettiva, personale e privata. Si faceva avanti, quindi, una complessità ideologica che pretendeva di rifondare l'organizzazione ecclesiastica in senso orizzontale e 'democratico', ovverosia, la immaginava come espressione delle scelte operate 'dal basso', dall'assemblea dei fedeli, strutturando ipotesi cristologiche che la avvicinerà al monofisismo (Cristo non ha anima umana, ma è logos divino fatto carne) e che rivendicava una relazione personale e non mediata del fedele con Dio.

4. Gli editti successivi

4.1. Il secondo editto

Si instaurò un processo incontrollabile.
La pena comminata fu soprattutto la carcerazione, usata in maniera massiccia, ma numerose furono le condanne capitali, soprattutto in oriente e in particolar modo nella prefettura controllata da Galerio, e probabilmente centinaia di vescovi, diaconi ed ecclesiastici furono arsi vivi. Non tutti i vescovi furono traditores, alcuni resistettero alla legge, subendo il martirio, come non tutti gli honestiores fecero apostasia, affrontando un'analoga pena. Questa resistenza indispettiva e accresceva il sospetto e il timore panico che si nascondeva dietro l'editto, anzi non faceva che confermarli. Così, ancora nel 303, probabilmente nell'estate, fu emanato un secondo editto che, a qualche storico, appare un assurdo e un duplicato del primo e quindi addirittura falso e dubbio. Nel secondo editto i provvedimenti si applicavano direttamente contro le persone fisiche, in quanto tali e non solo in quanto rappresentanti della chiesa e non solo contro i beni della chiesa.  I tetrarchi non si fidarono delle apostasie, non si fidarono dei traditores. Chiesero, dunque, a tutto il clero superstite di sacrificare agli dei: vale a dire tutti gli ecclesiastici (diaconi e presbiteri) furono obbligati al sacrificio, in alternativa era il martirio.
In buona sostanza, dopo avere eliminato la chiesa come figura giuridica e averla dichiarata comunità illegale e criminale, dopo averne annientato la gerarchia superiore, ora si intendeva destrutturare la sua organizzazione orizzontale. Si considerò, evidentemente, che la comunità religiosa, privata di istituti, di luoghi di culto e, ora, di capi, sparirà rapidamente. L'impressione è che si puntò a colpire il carisma dell'organizzazione ecclesiastica.
Così i chierici furono i costretti, pubblicamente e con atto per quelli sacrilego, a fare pubblica apostasia di fronte, eventualmente, allo sguardo dei loro adepti e fedeli. Lo spirito del sacrificio obbligatorio pare questo: ridicolizzare la nuova religione attraverso le debolezze umane già sperimentate in quella.
Sembra davvero che a questo punto Costanzo Cloro si dissociò, rifiutando di applicare l'editto e che anche Massimiano si dimostrò tiepido nel recepirlo.

4.2. Il terzo editto

Qualche mese dopo, nell'autunno del 303, venne emanato un terzo provvedimento dai caratteri contraddittori e che illumina meglio il contenuto e il risultato ottenuto dai precedenti. L'editto appare come un'anomala, non conclamata, amnistia verso i cristiani. Tutti gli arrestati in precedenza e soggetti a detenzione in ragione della loro irriducibilità furono costretti ad abiurare, con metodi diversi e contrastanti, al cristianesimo, venendo portati a compiere il sacrificio davanti a sacerdoti pagani appositamente investiti del ruolo testimoniale. A volte si usò la tortura, a volte una semplice costrizione e pressione psicologica, altre volte ci si inventò il pentimento o lo si finse e simulò, si dichiarò apostata chi, in verità, non aveva fatto apostasia. In questa maniera si svuotarono le prigioni, piene, come scrive Eusebio, fino al punto da aver costretto le autorità pubbliche a ordinare la scarcerazione d'ufficio di tutti i prigionieri accusati di reati comuni per far posto ai cristiani.
In tal maniera si otteneva la finzione di un pentimento di massa e di una estinzione del cristianesimo. Il terzo editto fu un'operazione ideologica legata a due fatti: il giubileo del governo di Diocleziano, che imponeva di esercitare la clemenza, e la sovrappopolazione carceraria provocata dalla detenzione in massa delle gerarchie e dei ministri del culto cristiano.
Si ottenne, così, il risultato di poter dichiarare sconfitto il cristianesimo ed estirpata la confessione di fede e di avere, al contempo, onorato la generosità e clemenza imperiale.

4.3. Il quarto editto

Malgrado la defezione di Costanzo, il processo persecutorio non si fermò e nel 304, l'anno seguente, fu emanato un quarto e ultimo editto; in quello venne esteso a tutti i cristiani, senza distinzione di censo, di ruolo organizzativo e senza limite geografico, l'obbligo di sacrificio agli Dei. Si trattava di un dovere rivolto ai singoli fedeli, alle singole persone e che convocava agli altari pagani, per nome e cognome, tutti i cristiani, conosciutissimi e molto esposti dopo cinquant'anni di perfetta legalità. Solitamente, però, la comunità dei fedeli veniva riunita in un unico luogo e costretta a fare collettiva abiura attraverso il sacrificio agli altari pagani; spesso, queste assemblee di accusati divenivano il luogo, di fronte al rifiuto  del sacrificio, di esecuzioni di massa.
Si scatenò una terribile strage che fece moltissime vittime soprattutto, ancora una volta, in Africa, in Egitto, in Palestina, in Mauretania e in misura molto minore anche in Italia.
Tutto questo si tradusse, a dar retta a Eusebio che è testimone dei fatti attraverso la sua Historia ecclesiastica, in un vero massacro sulla sponda meridionale e orientale del Mediterraneo proprio là dove i cristiani erano maggioranza. Non conosciamo il numero delle condanne capitali e dei martirii, ma dovette essere notevolissimo, probabilmente la persecuzione provocò più di centomila condanne capitali, anche perché l'editto in oriente rimarrà valido ben oltre l'abdicazione di Diocleziano e, cioè, grosso modo, fino al 311 nei Balcani e al 313 in Asia, mentre, al contrario, già nel 305 Costanzo Cloro ritirerà ogni provvedimento anti – cristiano per la Gallia. Riguardo all'Italia e all'Africa romana farà la medesima cosa il tetrarca usurpatore Massenzio l'anno seguente, dopo l'abdicazione di Massimino. D'altronde, in Massenzio e Costanzo, troviamo due solariani convinti.
L'emissione di questo ultimo e radicale provvedimento del 304 testimonia, senza ombra di dubbio, che i tre precedenti editti non avevano prodotto gli effetti sperati e cioè che la comunità cristiana, pur se decapitata, non si era sciolta né destrutturata.
In ogni caso Diocleziano andò in pensione con le sue leggi anti - cristiane in vigore e nel pieno operare di questo sciocco e inutile delirio, che facciamo fatica a comprendere o che, al contrario, per le trasformazioni culturali intervenute, si comprende molto bene. Fu una pessima uscita di scena per, riteniamo, un ottimo imperatore, soprattutto una dipartita che manifestò notevoli contraddizioni, ma forse solo apparenti, con la linea programmatica, utilitaristica e pragmatica del suo principato; c'è un'idea dello stato che era stata messa all'opera nella politica tributaria, monetaria ed economica, della tetrarchia che in parte testimonia dell'apparenza di questa contraddizione. Si realizzava, infatti, compiutamente l'idea  dell'onnipotenza dello stato che se si lega al problema religioso, se fa di questo uno dei suoi fondamenti, delle unità molari dell'impero e della repubblica, può produrre e ha prodotto, infatti, per questa analisi, gli effetti appena descritti.

5. Oltre gli editti

5.1. Una nuova religiosità

I provvedimenti di Diocleziano, ampiamente condivisi, quando non sollecitati, da alcuni dei suoi colleghi all'impero, Galerio in prima fila, registrano una trasformazione profonda nel mondo romano, trasformazione intervenuta nel secolo precedente e che lo aveva attraversato con forza e in ampiezza e profondità. La questione religiosa era divenuta vitale politicamente, perché aveva assunto caratteri di massa; il linguaggio religioso, la parola divina, erano scesi tra la gente, divenendo una chiave interpretativa della realtà, carattere estraneo al paganesimo tradizionale. Anche il pensiero pagano, nel corso del turbolento e innovativo III secolo, era stato costretto a venire incontro a questa nuova esigenza e a rinnovarsi. Il successo dei culti solariani testimonia questo rinnovamento.
L'organizzazione ecclesiastica strutturata dai cristiani è a un tempo complice e risultato di questa democratizzazione del linguaggio religioso. La parola di dio si diffonde capillarmente e si presta a un'interpretazione allargata che tocca anche i temi della vita quotidiana, dell'attività pubblica, della militanza nell'esercito, del senso della vita e della stessa istituzione imperiale. Altre confessioni religiose seguono la medesima prassi: manichei, gruppi gnostici, ermetici egiziani aprono la predicazione religiosa a soggetti popolari e soprattutto coinvolgono in quella le problematiche del significato del mondo e della storia. Le antiche scuole del pensiero classico, stoicismo ed epicureismo, appaiono del tutto inadeguate a seguire queste nuove aspirazioni e il platonismo stesso, grazie ad Ammonio Sacca e Plotino, va incontro a questa nuova ansia interpretativa, contaminando le nuove escatologie  e contaminandosi allo stesso tempo.

5.2. Gli editti e la tradizione

Per la mentalità pagana e tradizionale l'adesione al sacrificio non era immaginabile e configurabile come un'abiura e apostasia, ma solo come un necessario atto di rispetto civico e amor patrio. La partecipazione alla liturgia non comportava, secondo questa mentalità, l'abbandono del cristianesimo, ma solo un segnale di accettazione del complesso simbolico pagano. Il rifiuto del sacrificio si configurava più come un reato politico che non come una empietas di tipo religioso, anche se l'empietas avrebbe potuto determinare effetti negativi per la vita politica e militare dell'impero.  In epoca antonina (II secolo), comunque, constatata la refrattarietà dei cristiani alle liturgie tradizionali, si preferì evitare, quando possibile, l'obbligo del sacrificio per quelli, con lo scopo di non creare inutili incidenti e tensioni con la comunità organizzata. La mentalità persecutoria di Decio e Valeriano, che Diocleziano ribadisce, affonda le sue radici in questa tradizione, secondo la quale il sacrificio è un atto civico, oltre che religioso, ma, in base alle novità dell'epoca, sottolinea con più forza il legame tra empietas e danno politico. Anche il paganesimo tradizionale, sponsorizzato dagli imperatori, deve darsi un aspetto e una struttura di massa.
Inoltre, lo stato imperiale non poteva rimanere indifferente a questa nuova temperie, anche perché gli stessi supremi attori delle sue istituzioni erano coinvolti in questo nuovo modo di sentire; intervenire su questo nuovo ma radicato sentimento sociale era un dovere inevitabile. Gli editti del 297 - 304  vanno interpretati in tal senso. Si presentano come provvedimenti anticristiani, specifici e mirati e lo sono, innegabilmente, anche se, seguendo la tradizione giuridica romana, lo divengono 'oggettivamente', nel momento in cui, cioè, i cristiani rifiutano il sacrificio, ma sono anche editti che mirano ad estendere l'adesione popolare alla sacralità dell'impero e dell'imperatore e a rinnovare la mistica dell'istituzione statale romana.



(Ancora una volta fondamentali i riferimenti all'opera di Marta Sordi, alle pagine  143 - 155, per la stesura di queste righe. Rimandiamo alla bibliografia generale di questi appunti per l'opera della studiosa).

Pagina precedente