L'editto di Gallieno sul cristianesimo (260?)
1. La datazione del
provvedimento
Come per il caso di Decio e di Valeriano,
ancora una volta non abbiamo il testo dell'editto, ma ne abbiano notizia
solo attraverso le fonti contemporanee e posteriori, che sono tutte di
parte cristiana. La conoscenza del provvedimento è stata possibile,
infatti, grazie a una serie di rescritti, in parte riportati dai
destinatari, che Gallieno emise a favore delle chiese orientali intorno
al 262, cioé due anni dopo la sua intronizzazione e quando riuscì in
qualche modo ad avere ragione dell'usurpazione dei Macriani, sorta in
Siria. Neppure la data di emissione dell'editto è certa: il
termine post quem è il 260, mentre l'ante quem è da
ubicarsi al 262.
In ogni caso il provvedimento verso i cristiani fu uno dei primi atti
legislativi prodotti da Gallieno dopo la diretta assunzione del potere,
in seguito alla prigionia persiana subita da suo padre. Questa premura
nel nuovo principe testimonia di un problema che si era fatto importante
e anche di un programma politico complessivo, da lungo tempo meditato,
del quale l'editto verso i cristiani è un componente. Gallieno, infatti,
si manifestò in tutti campi come un imperatore profondamente diverso non
solo da suo padre, ma anche da molti suoi precedenti e, per certi versi,
per lui bisogna risalire e ricorrere all'esperienza di governo dei
Severi.
L'opera di Gallieno, che introduce una significativa rottura con il
passato prossimo, richiama l'epoca severiana e soprattutto è organica,
complessiva e, sotto alcuni aspetti, rivoluzionaria; l'esperienza del
suo governo è imprenscindibile per comprendere la seconda fase del III
secolo romano e il superamento dell'instabilità politica e
istituzionale.
2. Dionigi e Gallieno
Uno dei referenti dall'attività divulgativa del nuovo imperatore fu
Dionigi, vescovo di Alessandria, che si era salvato dalla precedente
persecuzione di Valeriano. Come molti altri vescovi, anche Dionigi, fu
raggiunto da una o più lettere dell'imperatore che lo informavano della
restituzione dei beni spossessati alla chiesa durante la persecuzione
organizzata da suo padre e della fine di ogni discriminazione contro i
cristiani: cimiteri, luoghi di culto, beni mobili e immobli,
precedentemente requisiti, erano restituiti alle comunità dei fedeli.
Con linguaggio apocalittico, Dionigi salutò l'intronizzazione di
Gallieno, ovvero la risoluzione del tentativo usurpante dei Macriani,
come un evento sacro scrivendo che l'imperatore 'nuovo e vecchio' aveva
sconfitto chi mai, in verità, era esistito e cioè i due usurpatori eredi
di Macriano, ritenuto, a torto o a ragione, uno degli ispiratori
dell'editto persecutorio contro i cristiani emesso da Valeriano.
Gallieno, in questo panegirico, viene paragonato al sole che scioglie le
nubi, al monarca santo e giunto, quasi un nuovo Salomone. Sono
espressioni fortissime e inusuali verso l'imperatore da parte di un
vescovo cristiano e appartenente, per di più, a una comunità turbolenta
come quella di Alessandria. Eppure avvenne e avvenne perché l'editto di
Gallieno cambiava radicalmente lo stato delle cose giuridiche per i
cristiani e la loro organizzazione.
3. L'antieditto
Dell'editto di Gallieno, se ci fosse giunto, si potrebbe dire che fu un
'antieditto': fu, infatti, l'opposto del provvedimento di suo padre,
mirando ad annullarne gli effetti. Le leggi di Valeriano avevano
riconosciuto la presenza dell'organizzazione ecclesiastica 'in
negativo', proibendone l'esistenza e requisendo tutti i beni a quella
legati. L'azione di Gallieno stabilì la restituzione dei beni alla
chiese e riconobbe, esplicitamente, la loro esistenza giuridica e la
loro perfetta legalità: la chiesa esisteva per lo stato.
La novità è davvero rivoluzionaria: la illicita et prava
superstitio di tutta la tradizione giuridica romana, da Nerone in
poi, diviene licita e la sua organizzazione entra fare parte
delle heterie, delle associazioni legalmente riconosciute
dall'impero, sotto tutti gli aspetti.
Non si trattò, inoltre, di un provvedimento isolato a favore della nuova
religione, come nel caso di Alessandro Severo nel contenzioso tra
popinari e Cristiani di Roma, ma si verificava un riconoscimento
generalizzato. D'altro canto l'editto di Valeriano, per sua stessa
natura, non poteva che risolversi in due estremi: o l'effettivo
annientamento e approfondita clandestinità delle comunità cristiane o il
loro necessario e definitivo riconoscimento.
Si affermò, quindi, la seconda opzione, sicuramente favorita dalla
drammaticità degli eventi che avevano toccato la sorte del vecchio
imperatore, ma anche dalla oggettiva impercorribilità della prima
opzione che avrebbe richiesto la messa in atto di una guerra di
religione di lungo periodo.
4. Le lettere ai vescovi
dell'imperatore
Non conosciamo il testo del provvedimento, ovverosia lo conosciamo solo
attraverso tutta una serie di indirizzi, rescritti imperiali, ai vescovi
delle comunità cristiane dell'oriente.
Anche questo è dato di non poco conto. Gallieno, appena emesso il
decreto, si preoccupò di informarne direttamente le comunità cristiane
facendo riferimento alla loro organizzazione gerarchica; i vescovi
diventarono i referenti istituzionali dell'imperatore per ciò che era
relativo alle comunità cristiane. Ancora una volta Gallieno si dimostra
come doppio rovesciato di Valeriano che, invece, era stato il
persecutore della chiesa soprattutto a partire dalle sue gerarchie
interne.
La natura stessa di queste comunicazioni imperiali ai vescovi è molto
eloquente.
Gallieno, infatti, scrisse di suo pugno agli episcopi, comunicando loro
la fine del fenomeno persecutorio, che i beni da loro persi sarebbero
stati recuperati, e dichiarando che tali suoi rescritti avevano valore
di copia della legge presso di loro. Il principe, quindi, inviò copie ed
estratti del suo editto tanto ai magistrati locali, quanto ai dirigenti
delle singole comunità cristiane e consigliava questi ultimi di usare la
documentazione così ottenuta contro eventuali inadempienze o, peggio,
maltrattamenti da parte delle autorità pubbliche.
Si capisce ancora meglio quanto Gallieno possa essere immaginato da
Dionigi come il sole che scioglie le nubi.
5. La novità dell'editto
Questo riconoscimento pubblico della chiesa cristiana come
organizzazione perfettamente legale si portò dietro un tratto ancora più
importante: se la prava et illicita superstitio diviene licita
e la sua organizzazione entra fare parte delle heterie, delle
associazioni legalmente riconosciute dall'impero, allora verrà
sottoposta, d'ora innanzi, all'arbitrato giuridico dello stato e del
principe. Quindi, tutte le controversie interne all'organizzazione
ecclesiastica, che abbiano un portato giuridico interessante e
interessino il diritto privato (proprietà, beni, regolamenti interni e
via discorrendo), potranno essere sottoposte dai vescovi e dalla
gerarchia ecclesiastica al giudizio arbitrale dell'imperatore.
Non è questa una novità del diritto, anzi è la normalità del diritto
pubblico romano, ma riveste carattere di eccezionalità a fronte del
pieno riconoscimento dell'organizzazione, articolata e ramificata, di
questa istituzione religiosa. Lo stato, in buona sostanza, vigilava
affinché nulla di illegale, sotto il profilo del diritto romano,
accadesse in quelle comunità.
La novità è determinata, inoltre, dalla struttura ecclesiastica stessa
che non aveva paragoni in altre organizzazioni religiose dell'impero e
che quindi aveva comportato problemi nuovi, tanto per coloro che
apprezzavano il nuovo messaggio, quanto per quelli che intendevano
perseguitarlo.
6. Licita religio
Avendo presente questa considerazione, l'editto di Gallieno non va
sopravvalutato, quasi fosse un anticipazione chiara e lineare
dell'editto di Milano emesso da Costantino mezzo secolo dopo, ed è
necessario tenere presenti immancabili valutazioni di opportunità
politica, di contingenza.
È importantissimo il fatto, certo, che oltre che legalizzare
completamente l'organizzazione ecclesiastica, Gallieno stabilisca
l'esenzione, per coloro che si dichiarano cristiani, dell'obbligo dei
sacrifici agli dei, aprendo, in tal maniera, ai cristiani le possibilità
di entrare nella pubblica amministrazione, nell'esercito e nei
ministeri, senza che sia necessaria alcuna dissimulazione della loro
confessione, cosa che, invece, accadeva regolarmente prima.
Insieme, quindi, alle leggi di Valeriano decadono, grazie a Gallieno,
anche quelle di Decio e decade, in genere, il pregiudizio giuridico
verso i cristiani che risaliva fin dai tempi di Nerone; la completa ed
effettiva equiparazione del cristianesimo alle altre religioni
professate nell'impero e soprattutto alla religione ufficiale e
istituzionalizzata è prefigurata ma non realizzata: il cristianesimo si
trova nello stato di una religione legale che, però, insieme con
l'ebraismo, richiede una particolare dispensa e si presenta con una
particolarità liturgica. Il provvedimento di Costantino del 312,
nonostante per forza di cose si rivolga principalmente ai cristiani, è
un editto di tolleranza generale, che abroga la preminenza del
paganesimo tradizionale nella vita sociale e politica e prescrive una
perfetta uguaglianza, davanti alla legge, delle singole confessioni
religiose e relative associazioni. Gallieno, nel 260 / 262, si limita a
riconoscere alla chiesa cattolica e alla professione di fede cristiana
perfetta legalità, che va ottenuta attraverso un sistema di esenzioni
particolari.
7. La chiesa e lo stato
imperiale
L'organizzazione della chiesa era articolata in sfere gerarchiche,
ramificata in tutte le province e spesso imitava, nelle sue
articolazioni e ramificazioni, l'organizzazione burocratica dello stato
imperiale. Questa caratteristica associativa era peculiare dei cristiani
e nessun'altra credenza aveva una forma di radicamento analoga: questa
era stata una fonte di ammirazione o di preoccupazione da parte del
potere pubblico. I Severi ammirarono l'esempio organizzativo offerto dai
cristiani, fino al punto di riprendere alcune procedure ecclesiastiche
nella selezione del personale amministrativo, come pure, ancora in
Costantino, si manteneva viva la preoccupazione e insofferenza verso la
potenza organizzativa della chiesa, soprattutto quando manifestava
indipendenza e autonomia politiche. Insomma la chiesa poneva problemi
nuovi che furono affrontati ora chiaramente: prima in maniera negativa e
persecutoria, sotto Valeriano, e in modo positivo e legalizzante, sotto
suo figlio.
Il primo aveva immaginato di distruggere una pericolosa organizzazione
intorno alla quale si radunava una minoranza ormai importante della
popolazione attiva religiosamente, il secondo aveva valutato impossibile
compiere quest'opera, tenendo anche presente che i cristiani, almeno
nelle province dell'estremo oriente romano (Siria, Palestina, Egitto) e
in parte dell'Africa (Cartagine), erano ormai maggioranza.
8. Il lodo arbitrale romano
Non va, inoltre, dimenticato che la chiesa, soprattutto quella
orientale, era in quegli anni percorsa da notevoli
contraddizioni dottrinali in ordine alla natura del Cristo e alle
relazioni tra il Padre, lo Spirito e il Figlio. Montanisti, modalisti e
subordazionisti si contendevano, spesso, il controllo di un episcopio e
della relativa comunità.
Dopo la legalizzazione operata da Gallieno dell'organizzazione
ecclesiastica, lo stato aveva il dovere e il diritto di interessarsi
della vita dell'associazione, come di qualsiasi altra heteria
legale. Il repertorio dell'intervento dello stato in queste controversie
rimaneva limitato alle problematiche di diritto privato e pubblico, vale
a dire all'analisi della legittimità delle pretese di alcuni piuttosto
che di altri sui beni delle comunità, solitamente luoghi di culto e
riunione, oppure a giudizi 'di forma', secondo una sorta di probivirato
che l'imperatore esprimeva intorno al corretto funzionamento di sinodi e
assemblee organizzative e dunque alle questioni procedurali e al
rispetto dei regolamenti interni alla chiesa.
Siamo, quindi, ben lontani dallo scenario di intervento teologicamente
determinato di Costantino; inoltre per l'epoca di Gallieno non abbiano
neppure notizia diretta intorno all'intervento dell'imperatore in ordine
alle questioni minori, anche se ne possediamo una indiretta e molto
interessante. Circa dieci anni più tardi, l'imperatore Aureliano (270 -
275) si troverà a dover dirimere una controversia intorno al legittimo
controllo della chiesa antiochena.
In quel particolare caso si trattava di una questione politica di non
poco conto: la chiesa antiochiena, infatti, guidata dall'eresia
modalista di Paolo di Samosata, si era schierata insieme con la
secessione 'autonomistica' dei Palmireni. Aureliano, allora, gioco
forza, presterà orecchie e darà credito all'antivescovo subordazionista,
ma nel farlo, per inciso, citerà una precedente risoluzione di Gallieno
che, in una controversia analoga, aveva deciso di rimandare la decisione
al vescovo di Roma.
Dunque già Gallieno, nel riferirsi alla gerarchia cattolica, cercò di
individuare in quella dei referenti, per così dire, primi e principali,
individuando non solo delle gerarchie, ma anche delle principali forze
carismatiche e, perciò, entrando nel merito della dottrina, seppur in
maniera superficiale e limitatamente alle sue attinenze con le questioni
organizzative. L'indizio, però, è oggettivamente troppo vago per essere
sviluppato fino in fondo e condurci a datare all'epoca di Gallieno
l'origine della supremazia ufficiale del vescovo di Roma all'interno del
mondo cristiano.
9. La natura contingente
dell'editto
Da cosa originò l'editto di Gallieno? La domanda è più che legittima,
soprattutto perché la legge era stata preceduta da un lungo periodo, inaugurato nel 235
sotto il principato di Massimino, di non facili e comunque
altalenanti relazioni tra stato romano e chiesa cattolica e
sfociato, con il provvedimento di Decio del 249
reiterato da Valeriano nel 257, in un'aperta persecuzione contro la
comunità cristiana. Non abbiamo certezze in proposito ma è probabile che
l'editto del 249 non fu più abrogato, rimase in vigore sia sotto
Treboniano Gallo ed Emiliano (all'impero tra 251 e 253), nonostante la
'mitezza' nella sua applicazione soprattutto in occidente, già adottata
dal suo autore. Valeriano, nel suo primo periodo di governo sembrò
dimenticare l'editto di Decio per poi, invece, riprenderlo e
perfezionarlo otto anni dopo.
La nuova legge nacque, sicuramente, dalla constatazione della
impraticabilità della persecuzione in un impero frastornato, frazionato
socialmente ed etnicamente e diviso in più parti, quindi da una
valutazione contingente e di opportunità politica immediata: non era
assolutamente possibile, nella situazione politica, culturale ed emotiva
del sesto decennio del III secolo, proseguire la persecuzione, perché
avrebbe determinato una spaccatura nella società capace, davvero, in
quel contesto difficile, di frantumare l'impero.
Fu questa, però, solo una motivazione contingente, e anche lo spessore e
la portata dell'editto, che comportarono l'individuazione di un
referente stabile nella gerarchia ecclesiastica, che pure fanno pensare
a qualche cosa di più vasto e profondo, e quindi a un disegno
strategico, può essere spiegata da una necessità contingente: il
superamento dell'editto di Valeriano che metteva fuori legge il
cristianesimo in ogni sua manifestazione, organizzata e pubblica, come
spontanea e privata, richiedeva un provvedimento altrettanto radicale e
complessivo in senso opposto e questo fu l'editto di Gallieno.
10. La strategia
dell'editto: le novità cristiane
Tra le valutazioni strategiche che hanno condotto Gallieno a scrivere il
suo editto di 'tolleranza' verso i cristiani, innanzitutto va
sottolineata la diffusione del cristianesimo che era ormai religione
maggioritaria nelle province orientali, cosa che aveva fatto scrivere al
mistico persiano Mani dell'impero che era “l'impero dei cristiani là
dove i cristiani venivano perseguitati”. Nell'immaginario
internazionale stesso, quindi, il binomio cristiano - romano era
divenuto inscindibile: una politica persecutoria era sicuramente
un'immensa contraddizione rispetto a questa realtà sociale e culturale
diffusa. Non era, davvero, possibile mantenere uno stato di guerra
giuridica e di repressione poliziesca contro una comunità così diffusa.
Nel conto, a nostro giudizio, è da mettere, anche, il declino
all'interno del movimento cristiano, tra la fine del II e l'inizio del
III secolo, delle eresie montaniste e di analoghe correnti 'radicali'
che, occhieggiando al manicheismo e influenzate dal suo rigido dualismo,
avevano predicato l'abbandono della vita politica, il diniego delle
cariche amministrative e il rifiuto della leva militare da parte dei
cristiani; questi atteggiamenti, nonostante le giustificate dalla
contingenza storica invettive contro l'impero di Dionigi di Alessandria
e di Commodiano e dunque di gran parte della 'chiesa ufficiale',
divennero episodi sempre più rari e isolati e da decenni, anzi, ormai, i
cristiani militavano volentieri nell'esercito e ambivano, spesso
osteggiati, a farvi carriera (molti, come già scritto, i casi in
quest'epoca), oppure partecipavano alla vita politica e ricoprivano
cariche istituzionali (emblematico, in tal senso, il caso di Asturio).
Quando il pensiero apocalittico cristiano si annulla, appiattendosi
sull'impero, e fa scrivere a Dionigi brani che donano a Gallieno il
ruolo dell'antagonista dell'anticristo, allora si può davvero ipotizzare
che una corrente solida, forte e maggioritaria del movimento cristiano
sia ormai recuperata all'ideologia ecumenica imperiale.
11. Un nuovo universalismo
Esiste, poi, un
secondo elemento, direi 'filosofico', che si accompagna all'immagine
dell'impero come di una oikoumene, una comunità
civilizzata, un'immagine originata ai tempi di Augusto Ottaviano e
sviluppata bene dagli Antonini nel II secolo. I cristiani,
nonostante molte diffidenze e discriminazioni, sembravano sempre più
potere entrare a fare parte degli attributi del progetto ecumenico,
del binomio composto tra l'uomo e il romano.
Infine menzioniamo un quarto elemento e cioè il fatto
che, almeno dall'inizio del secolo, le comunità cristiane dell'oriente
erano portate più di altre a un sicuro lealismo verso l'impero, anche
attraverso una netta separazione dalla comunità giudaica e dal suo
nazionalismo e indipendentismo. La comunità ebraica, infatti, nonostante
fosse stata integrata nel mosaico politico - religioso imperiale,
perseverava nel legare la sua identità religiosa con quella nazionale
legame che, sotto il profilo di una visione strettamente
tradizionalista, era ben comprensibile, ma criticava l'ecumenismo
romano.
Quindi, scrivendo in forma estremamente sintetica, Gallieno ebbe la
possibilità storica di vedere rispecchiati nello spirito ecumenico
cristiano l'ecumenismo imperiale e la rinnovata filosofia antonina che,
liberatasi dall'elitarismo della neo – sofistica, si era, nel corso di
questo secolo turbolento, 'democraticizzata', era scesa tra le masse e
cercava di divenire filosofia civile della comunità romana.
Anche in questo caso dobbiamo annotare la fine di ogni mediazione
ideologica con il mondo del senato e l'idea, secondo le grammatiche
dell'epoca, di una cultura e razionalità estesa e ramificata nel corpo
sociale e, quindi, per usare categorie periodizzanti, l'incedere del
basso impero e del tardo antico. Le grandi ideologie religiose e
soprattutto il proselitismo di quella cristiana in oriente avevano
prodotto un diffuso ragionamento sulle cose e sugli uomini in un
processo che ironicamente verrà descritto da uno storico attivo in
Costantinopoli un paio di secoli dopo: "Qui - in buona sostanza scrisse
lo storico - vai dal panettiere e non ti serve nessuno perché il garzone
sta a questionare con il padrone se il Figlio procede dal Padre e se lo
Spirito Santo procede dal Figlio oppure dal Padre medesimo".
(Ancora una volta fondamentali i riferimenti all'opera di Marta Sordi,
alle pagine 138 - 142, per la stesura di queste righe, anche se in
questo caso ci discostiamo leggermente dalle conclusioni della studiosa.
Rimandiamo alla bibliografia generale di questi appunti per l'opera
della studiosa. Voci Wikipedia per Dionigi. Inoltre Mazzarino, citato in
bibliografia).
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