Filippo l'arabo: un nuovo modo di governare (244 - 249)

1. Un arabo all'impero

Purtroppo le fonti sono avarissime intorno alla biografia di questo imperatore, che nacque nell'Arabia romana, nel 204, e morì a Verona nel 249. Le origini di Filippo, Marco Giulio Filippo il suo nome gentilizio, non erano nobili e probabilmente apparteneva all'ordine equestre. Era nativo di Shahba, suo padre, Giulio Marino, era dotato di cittadinanza romana, e suo fratello, Giulio Prisco, era stato prefetto del pretorio del suo precedente all'impero, Gordiano III. Le origini di Filippo ci rivelano quanto la romanizzazione dell'oriente fosse avanzata, come la classe dirigente locale, latinizzata o ellenizzata, venisse cooptata all'impero e quanto, in genere, già nel III secolo, non fosse più esclusivo dell'aristocrazia senatoria italiciana o galliciana l'assunzione della suprema carica istituzionale. Le  riforme sociali, politiche e militari dei Severi avevano dato frutti evidenti. Quella che, fino al II secolo, era la periferia dell'impero, intesa come luogo lontano dal centro o dai centri decisionali, acquisiva, ora, potere e influenza ed esprimeva e costituiva i suoi nodi per realizzarli. Nella fattispecie, l'area di Bosra, Petra e Palmira, città carovaniere intorno all'Eufrate, oltre che essere strategicamente importante, era anche interessante sotto il profilo commerciale ed economico. La biografia di Filippo, come quella di personaggi molto simili, per inclinazione politica, a lui (Opelio Macrino, imperatore tra 217 e 218, Aureliano, imperatore tra 271 e 275)) o diversissimi (Massimino, principe dal 235 - 238), rinforza l'idea di un impero che, nel III secolo, prende atto della sua natura di istituzione ecumenica, decentrata, per certi versi confederale, un impero come una confederazioni di realtà locali, municipali e 'nazionali' o tribali e delle loro energie economiche, produttive, religiose e culturali.
A collegarlo anche biograficamente alle dinamiche e innovazioni di quell'epoca, viene notizia del suo matrimonio con Otacilia Severa, quasi certamente appartenente al lignaggio imperiale spodestato nove anni prima da Massimino il Trace. La biografia di Filippo, inoltre, propone altre illuminanti curiosità: la figlia di Filippo e Otacilia, Ulpia Severina, andrà in sposa all'imperatore Aureliano (271 - 275), acquisendo durante il suo governo un ruolo importante, ben più notevole di quello tradizionalmente riservato all'Augusta, fino al punto di assumere, alla morte del marito e imperatore, una sorta di breve reggenza sull'impero. Nonostante la povertà delle notizie, quindi, la biografia di Filippo è eloquente per tutto un secolo, il controverso e movimentato III secolo romano.

2. L'impero 'cristiano'

L'area di Bosra, Petra e Palmira non era solo una notevole ed omogenea regione economica e commerciale ma possedeva uno specimen religioso e culturale. In Bosra, era la sede, all'inizio del III secolo, di una scuola teologica cristiana e Bosra era rappresentativa di buona parte delle città orientali dell'impero. Mani, il filosofo persiano coevo a Filippo,  identificò nel cristianesimo la religione tipica e propria dei Romani, come lo zoroastrismo era quella precipua dei Persiani e il Buddhismo degli Indiani. Quell'apostolo del sincretismo religioso fece riferimento, però, a una realtà ufficiosa e di fatto, non a uno stato di cose ufficializzato, tanto è vero che denunciò, in proposito, una situazione oggettivamente paradossale: l'impero romano era la nazione dove i cristiani erano maggioranza e ciononostante venivano perseguitati.  Il predicatore, in verità, faceva riferimento, nella sua analisi, non al mondo romano nel suo complesso, ma a quello che meglio conosceva, vale a dire alle province orientali.
La stessa cristianità di Filippo non determinò una cristianizzazzione ufficiale dell'impero e, anzi, endemici e continui fenomeni persecutori su base locale continuerano a verificarsi anche sotto il suo principato, al punto che  molti autori hanno reputato prive di fondamento le notizie intorno alla confessione religiosa dell'imperatore. Insomma l'impero rimaneva un organismo solo ufficiosamente cristiano.
Dunque l'impero di Filippo fu, al contrario di quello teodosiano, un impero cristiano in quanto, soprattutto in oriente, la nuova confessione religiosa era maggioritaria, ma non perché fosse né tanto meno tendesse a divenire cristiano 'organicamente'. Sotto questo profilo la professione di fede di Filippo e di sua moglie Otacilia, il loro carteggio con Origene (che riprende quello tenuto dall'ultimo dei Severi, Alessandro, con lo gnostico egiziano) registrano privatamente una situazione di fatto di alcune aree significative dell'impero. Ancora una volta, inoltre, tocca riferirsi alla nuova sensibilità sociale ed etica che, preannuciata durante la fase degli Antonini, si era allargata in epoca severiana; questa nuova sensibilità, della quale, a posteriori, i cristiani furono i migliori interpreti coinvolgeva e pervadeva anche il mondo pagano e lo spingeva al rinnovamento.

3. Un cristiano all'impero

Filippo l'arabo non era solo un borghese di Bosra, era anche un cristiano.
La notizia del suo cristianesimo ci è giunta da troppe fonti perché possa essere messa in dubbio, è confermata da Eusebio (IV secolo) e da Giovanni Crisostomo (V secolo) che seguono due linee storiografiche indipendenti e quindi due notizie parallele;  è, invece, taciuta, e non a caso, dalla Historia Augusta.
Il silenzio della Historia sul cristianesimo di Filippo è spiegabile con le tendenze politiche dei suoi compilatori: tradizionalismo paganeggiante e spirito filo senatorio. Così l'ammissione del cristianesimo per un principe sostanzialmente rispettoso della tradizione politico - sociale dell'impero e, per certi versi, restauratore delle cose antiche, come sarà l'arabo, non solo avrebbe adombrato il suo encomio ma anche reso incomprensibile e mal amministrabile intellettualmente il suo personaggio.
La notizia fondamentale per determinare il cristianesimo di Marco Giulio Filippo non è quella del reiterato carteggio di sua moglie, l'Augusta Otacilia, con Origene, che era divenuto quasi tradizionale dentro la casa dell'imperatore e che non proverebbe nulla in materia, se non una continuità nelle inclinazioni filosofiche e morali tra epoca severiana e epoca della cosiddetta anarchia militare, ma una notizia precisa che se è vera, come sembra alla maggioranza degli autori, rende  indiscutibile la cristianità del principe.
Il nuovo imperatore eliminò Gordiano (che era il suo precedente all'impero), poi, nella primavera di quello stesso anno, il 244, compì penitenza per quel suo delitto in Antiochia, davanti al vescovo della città, Babila; questa è una vera prefigurazione della penitenza operata da Teodosio alla presenza di Ambrogio un secolo e mezzo dopo allo scopo di emendarsi dai massacri di Tessalonica. La penitenza di Filippo rappresenta, certamente, un'anticipazione storica per la quale è, però, necessario sottolineare  le dovute particolarità sia rispetto al caso di Teodosio e soprattutto rispetto alla cristianità  di Costantino di ottanta anni posteriore.

4. Filippo e Teodosio

Le differenze tra la penitenza di Teodosio (380) e quella di Filippo (244) introducono una radicale diversità di contesto e sono facilmente intuibili ed esplicabili.
Innanzitutto il cristianesimo di Filippo, al contrario di quello di Teodosio, non è conclamato e ufficializzato: si trattava, invece, di una professione di fede privata che, certo, poteva determinare e richiedere particolari atti pubblici (come la penitenza davanti a Babila). Filippo rimane, nell'ufficialità, un imperatore pagano e continua ad assumere la carica di pontefice massimo, carica che, invece, Teodosio e gli imperatori dopo Costanzo II (350 - 360) avevano declinato.
In secondo ordine la differenza è introdotta dal luogo della penitenza: Antiochia era una città certo importante nell'oriente romano, ma mai significativa come Milano di centocinquanta anni dopo; dunque la penitenza di Filippo ebbe rilevanza solo locale e limitata all'oriente. Sicuramente fu un evento politico importante ma che limitò la sua risonanza alle province medio orientali e il cui suono non giunse, almeno direttamente, al senato di Roma.

5. Filippo e Costantino

La relazione con la figura di Costantino è più contraddittoria, per il semplice fatto che entrambi gli imperatori sono contradditori in materia.
Filippo era cristiano prima di assumere l'impero, probabilmente era cristiano per nascita e tradizione familiare; Costantino usciva da un lignaggio di adoratori di sol e si battezzò solo in punto di morte. Non si hanno notizie di provvedimenti apertamente favorevoli al cristianesimo per il governo dell'arabo, mentre l'esercizio di Costantino, nel 312, rende perfettamente legale l'organizzazione della chiesa e a partire dal 320 tende a fare del cristianesimo la religione ufficiale (non la confessione di stato, si badi bene) dell'impero. Costantino probabilmente non si fece battezzare, se non in punto di morte, per mantenere la sua autonomia politica rispetto alla chiesa e non subirne eccessivi ricatti e anche, ma è una nostra illazione, per una sorta di ideologia superstiziosa tipicamente pagana, cioé per poter giungere, dopo il battesimo e la confessione, puro davanti al nuovo Dio cui aveva concesso una preferenza tutta politica.
Filippo, invece, non fa nulla di tutto questo: celebra il saeculum miliarum, il millenario di Roma che cadde durante il suo governo, senza il minimo tentativo di obliterare cristianamente la cerimonia e facendo riferimento all'ecumenismo pagano più tradizionale. La Historia Augusta per queste e per altre cose, non a caso, lo definisce come un restitor sacrorum, epiteto che era stato riservato a Traiano e a tutti gli imperatori che si era mossi secondo la migliore tradizione pagana.
Costantino, pur rimanendo pagano, si circondò di intellettuali e consiglieri ecclesiastici, partecipò attivamente alla vita della chiesa, stimolò la convocazione del concilio di Nicea, anzi, nella sostanza, la impose; per Filippo non abbiamo nessuna notizia in merito e molto più numerose sono le informazioni intorno alle frequentazioni filo cristiane dei suoi quasi immediati precedessori (Eliogabalo e Alessandro Severo) che non le sue.
Per Costantino, il pagano, la chiesa e il cristianesimo erano un fatto pubblico da valorizzare, per Filippo, il cristiano, la fede era un atto privato che non aveva rilevanza politica e ufficiale. Filippo rimaneva un uomo del III secolo e con lo sguardo rivolto all'illuminismo antonino e alla sua evoluzione democratizzante severiana, Costantino era un uomo del tardo antico nel pieno senso della parola, dove le ideologie religiose avevano assunto un aspetto e una dimensione omologata, organizzata e massificata, tanto sul fronte pagano quanto su quello cristiano.

6. I 'tre imperi': Filippo e Marco Aurelio

In politica, Filippo l'arabo individuò con maggiore chiarezza che in precedenza la necessità di dividere l'impero per grandi aree amministrative e militari.
Non si trattava di una nuova tendenza e non era un assoluta novità
. Nel 212, la breve diarchia introdotta dal governo contemporaneo di Geta e Caracalla aveva anticipato questa necessità; ancora prima e con maggiore precisione amministrativa, che quasi rappresenta un vero precedente storico per l'esperienza di Filippo, c'era stata la spartizione delle competenze di governo tra Marco Aurelio e Avidio Cassio (nel 165 / 175) e in verità si potrebbe anche risalire al dualismo tra Antonio e Ottaviano agli albori del principato. Ora, però, la questione si fece programmatica e venne formalizzata, seguendo più da vicino il governo di Marco Aurelio, dalla creazione di una vera e propria 'carica amministrativa'.
Il principe affidò, infatti, tenendosi nel solco di una ideologia dinastica e 'familiare' notevolissima secondo la quale Filippo aveva associato a sè nel principato il figlio (247), a suo fratello Giulio Prisco il governo dell'intero oriente. Si tratta del titolo di rector totius orientis, che, qualche anno dopo, con la variante in corrector, si affermerà come manifestazione normale del 'decentramento amministrativo' dell'impero. Filippo, quindi, evidenziò nuovamente un'esigenza di decentramento ormai assodata e segnatamente individuò un preciso quadro nella divisione amministrativa tra l'oriente e l'occidente. Questa idea, lo ribadiamo non nuova in assoluto, avrà notevole fortuna: dopo di lui, Gallieno e Valeriano si divisero l'impero in questo senso (253 - 260), negli anni sessanta il mondo romano si trovò diviso addirittura in tre monconi (Gallie sottoposte all'usurpante imperium galliarum di Postumo e successori, la sedes  romana dell'imperatore legittimo, che governava Italia, Africa e Illirico e il correctoratus totius orientis dei Palmireni), poi questo processo si interruppe bruscamente con l'avvento di Aureliano e il periodo detto del dominato solariano (271 - 285).

7. I 'tre imperi': Filippo e Diocleziano

Infine Filippo aveva una nuova consapevolezza: dopo il problema orientale, rappresentato dalla specificità religiosa e culturale dell'Asia romana e dalla vicinanza dei Sassanidi, si individuava un'altra area di crisi: quella Danubiana.
Per questa parte dell'impero, addossata al Danubio e sempre più nella sua porzione meridionale, segnatamente Mesia e Tracia, interessata dall'insofferenza e dagli sconfinamenti dei Goti, Filippo studiò la formazione di un comando militare unificato. Tale unificazione era capace di produrre un coordinamento bellico notevole contro le popolazioni germaniche e slave che si affacciavano lungo il Danubio.
Il suo provvedimento lo espose a un rischio politico e militare notevole, poiché rinforzare i comandi militari nei Balcani significava esporsi maggiormente ad ammutinamenti e colpi di mano dei generali e Filippo pagò con la vita e con la porpora questo rischio. Tolta la questione dell'estremo occidente, la questione gallicana, che durante il suo governo non si manifesta e non richiede provvedimenti specifici, e che probabilmente non era ancora percepita come problema da affrontare con un intervento speciale, la divisione amministrativa studiata dall'arabo, un oriente, un occidente e un'area balcanica, prefigura la distrettazione dioclezianea della fine di questo secolo.

(Ancora una volta fondamentali i riferimenti all'opera di Marta Sordi, alle pagine  113 - 118, per la stesura di queste righe. Rimandiamo alla bibliografia generale di questi appunti per l'opera della studiosa).

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