L'editto perpetuo di Adriano del 130 / 133


1. La tradizione: l'editto del pretore

Nella tradizione repubblicana quando veniva eletto un nuovo pretore, questi emanava un proprio editto  in cui elencava quali azioni  erano lecite all'attore di un giudizio e quali  tutele erano espresse a favore dei chiamanti in causa e degli attori del procedimento; l'editto era emanato pubblicamente.
Ciascun pretore riproduceva  parte dell'editto del suo predecessore; così in ogni nuovo editto del pretore c'era sempre qualcosa dei precedenti.
Il pretore non era un giurista ma era un uomo politico, e quindi poco interessato ad affrontare le sottigliezze giuridiche; divenne perciò pratica consueta che il nuovo pretore non redigesse un nuovo editto e si limitasse a conservare l'editto del pretore appena decaduto. Questa consuetudine contribuì a costituire una sedimentazione giuridica  che formò il cosiddetto editto tralatizio (letteralmente: che viene consegnato).

2. La natura

L'editto del pretore era l'editto più importante, sotto il profilo dell'evoluzione e sviluppo del diritto privato romano. che aveva la funzione di ius dicere cioè di porre i principî giuridici secondo i quali andavano risolte le controversie private. Il pretore, in forza della sua iurisdictio, non era vincolato  dalle norme del ius civile: poteva mutare  la posizione delle parti secondo il ius civile e accordare tutela a rapporti non riconosciuti da questo. Tutti questi provvedimenti trovavano la loro espressione esteriore e la loro indicazione programmatica nell'editto, cioè nella comunicazione ufficiale nella quale i pretori indicavano i criterî cui si sarebbero attenuti nell'esercizio della loro giurisdizione rispetto alle singole ipotesi concrete.
Si distingueva, a proposito dell'editto del pretore, in un edictum perpetuum e in una serie di editti specifici. L'editto generale emesso al principio dell'anno di carica, che era designato con l'espressione edictum perpetuum, stabiliva ed enunciava le norme alle quali si sarebbe tenuto il pretore nell'esercizio della sua magistratura e si affiancava a quegli editti che il pretore poteva emanare per il singolo caso, prout res incidit.

3. La riforma adrianea

Sempre più spesso, però, l'emissione dell'editto generale o perpetuo non vincolava i pretori al suo rispetto, tanto chè la lex  cornelia, nel 63 a.C., aveva ricordato il carattere vincolante dell'editto tralaticio e che l'intervento dei pretori nel diritto di famiglia non poteva prescindere dai loro intenti iniziali e da norme pubblicamente presentate.
Adriano decise di fissare definitivamente l'operato dei pretori e determinare una oggettività del diritto privato. L'imperatore, intorno al 130, incaricò della materia un ministro del suo governo,
Salvio Giuliano, membro del consilium principis. Salvio, che era un giurista, raccolse norme di ogni tipo, riguardanti tutti gli aspetti della vita pubblica, e usò il nuovo nome di edictum perpetuum, cioè "editto immutabile" ed "editto eterno", a sottolinearne il carattere di definitività sia nella struttura formale che nel tempo. Facendo così Adriano stabilì un radicale mutamento della natura dell'editto della pretura, che cessò di essere emesso dai pretori, ma divenne una legge dello stato che i pretori erano obbligati a rispettare e applicare; d'ora innanzi, inoltre, i pretori non potevano più emanare editti programmatici e generali perchè l'unico editto in materia era quello approvato dall'imperatore.
Infine il nuovo editto perpetuo non perdeva valore a ogni pretura ma rimaneva operativo eternamente.


Adriano, inoltre, restrinse la possibilità per i pretori di emettere editti e provvedimenti contingenti, edicta repentina, operando una netta cristallizzazione del diritto romano in materia di diritto privato. L'eternità della legge, la sua promulgazione imperiale e il fatto che non potesse essere riscritta se non dall'imperatore e dal suo consiglio conducono il governo di Adriano non solo verso una visione delle istituzioni e delle magistratura assolutistica, che sarà sposata dal dominato dei secoli successivi, ma anche verso una visione disciplinare della giurisprudenza nella quale il diritto è stabilito e fissato (cristallizzato) e non una materia in continua, intrinseca e naturale evoluzione. Questo modo di concepire la giurisprudenza si compierà organicamnete con le leges generales di epoca costantiniana (prima metà del IV secolo) e soprattutto con il codice teodosiano (prima metà del V secolo) per realizzarsi in forme chimicamente pure con il codice giustinianeo (prima metà del VI secolo).

(Informazioni in gran parte tratte dalla corrispondente voce in Wikipedia)


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