L'editto di Milano (313)
1. Il testo
Cum feliciter tam ego [quam] Constantinus Augustus quam
etiam ego Licinius Augustus apud Mediolanum convenissemus atque
universa quae ad commoda et securitatem publicam pertinerent, in
tractatu haberemus, haec inter cetera quae videbamus pluribus
hominibus profutura, vel in primis ordinanda esse credidimus,
quibus divinitatis reverentia continebatur, ut daremus et
Christianis et omnibus liberam potestatem sequendi religionem quam
quisque voluisset, quod quicquid est divinitatis in sede caelesti.
Nobis atque omnibus qui sub potestate nostra sunt constituti,
placatum ac propitium possit existere.
Nella felice occasione in cui io, Costantino
Augusto, e io, Licinio Augusto, ci incontrammo a Milano,
affrontammo insieme tutte le questioni relative al
benessere e alla sicurezza pubblica. Tra i provvedimenti
che ci sembrava avrebbero giovato a più persone e che
fossero da disporre per primi, ci parve esservi questo,
che stabilisce a quali divinità dovesse essere tributato
onore di culto, al fine di dare, tanto ai cristiani
quanto a tutti, libera facoltà di seguire la religione
che ciascuno voglia, sicché qualsiasi divinità risieda
in cielo, essa possa essere benevola e propizia a noi e
a tutti coloro che sono posti sotto la nostra autorità.
3. Itaque
hoc consilium salubri ac reticissima ratione ineundum esse
credidimus, ut nulli omnino facultatem abnegendam putaremus, qui
vel observationi Christianorum vel ei religioni mentem suam
dederet quam ipse sibi aptissimam esse sentiret, ut possit nobis
summa divinitas, cuius religioni liberis mentibus obsequimur, in
omnibus solitum favorem suum benivolentiamque praestare.
Perciò ci è sembrato con sana e retta
riflessione di dover stabilire che non si debba
assolutamente negare il permesso ad alcuno che si voglia
dedicare alle pratiche dei cristiani o alla religione
che senta a sé più congeniale, cosicché la somma
divinità, alla cui venerazione ci dedichiamo con libertà
di coscienza, possa manifestare in tutto il suo consueto
favore e la sua benevolenza.
4. Quare
scire dicationem tuam convenit placuisse nobis, ut amotis omnibus
omnino condicionibus quae prius scriptis ad officium tuum datis
super Christianorum nomine continebantur, et quae prorsus sinistra
et a nostra clementia aliena esse> videbantur, ea removeantur.
Et> nunc libere ac simpliciter unusquisque eorum, qui eandem
observandae religionis Christianorum gerunt voluntatem. Citra
ullam inquietudinem ac molestiam sui id ipsum observare
contendant.
Per
cui è opportuno che la tua devozione sappia che ci è
piaciuto di eliminare del tutto le condizioni
contemplate dalle norme scritte che ti erano state
fornite per il tuo ufficio riguardo alla categoria dei
cristiani, cancellando ciò che in precedenza appariva
odioso ed estraneo alla nostra clemenza; e ora ciascuno
di coloro che desiderano seguire la religione dei
cristiani la possa osservare liberamente e apertamente,
senza ricavarne alcuna angoscia od offesa.
5. Quae
sollicitudini tuae plenissime significanda esse credidimus, quo
scires nos liberam atque absolutam colendae religionis suae
facultatem isdem Christianis dedisse.
E noi
abbiamo ritenuto di dover comunicare alla tua
sollecitudine queste cose nel modo più completo,
affinché tu sappia che noi abbiamo concesso ai suddetti
cristiani assoluta e completa libertà di professare la
loro fede.
6. Quod cum isdem a nobis indultum esse pervideas, intellegit
dicatio tua etiam aliis religionis suae vel observantiae
potestatem similiter apertam et liberam pro quiete temporis nostri
esse concessam, ut in colendo quod quisque delegerit, habeat
liberam facultatem. Quod a nobis factum est. Ut neque cuiquam>
honori neque cuiquam religioni detrac tum aliquid a nobis
videatur.
E
sulla base del fatto che noi abbiamo concesso questo a
loro, la tua devozione comprenderà che anche ai seguaci
delle altre religioni e al rispettivo culto è stata
accordata la piena e libera facoltà a vantaggio della
pace nel nostro tempo, cosicché ciascuno abbia il
diritto di praticare liberamente la religione che ha
scelto. Noi abbiamo stabilito ciò perché appaia chiaro
che non viene da noi sminuito alcun atto di culto e
alcuna religione.
7. Atque hoc insuper in persona Christianorum statuendum esse
censuimus, quod, si eadem loca, ad quae antea convenire
consuerant, de quibus etiam datis ad officium tuum litteris certa
antehac forma fuerat comprehensa. Priore tempore aliqui vel a
fisco nostro vel ab alio quocumque videntur esse mercati, eadem
Christianis sine pecunia et sine ulla pretii petitione, postposita
omni frustratione atque ambiguitate restituant;
E,
oltre a ciò, riguardo ai cristiani abbiamo ritenuto di
dover stabilire che siano loro restituiti, gratuitamente
e senza richiesta di indennizzo, senza alcun inganno né
sotterfugio, quei medesimi luoghi nei quali in
precedenza erano soliti radunarsi, sui quali mediante
lettere al tuo ufficio erano state anche date prima
d'ora determinate disposizioni, qualora tali luoghi
risultino essere stati acquistati dal nostro fisco o da
chiunque altro;
8. qui etiam dono fuerunt consecuti, eadem similiter isdem
Christianis quantocius reddant, etiam vel hi qui emerunt vel qui
dono fuerunt consecuti, si petiverint de nostra benivolentia
aliquid, vicarium postulent, quo et ipsis per nostram clementiam
consulatur. Quae omnia corpori Christianorum protinus per
intercessionem tuam ac sine mora tradi oportebit.
e
anche coloro che li hanno ottenuti in dono li
restituiscano quanto prima ai medesimi cristiani, sia
quelli che li hanno comprati, sia quelli che li hanno
ricevuti in dono. E se vorranno chiedere un qualche
risarcimento alla nostra benevolenza, si rivolgano al
nostro vicario, perché si provveda anche nei loro
confronti grazie alla nostra generosità. Insomma
bisognerà che tutti questi edifici per tua mediazione
siano restituiti al più presto, senza indugio, alla
comunità dei cristiani.
9. Et quoniam idem Christiani non [in] ea loca tantum ad quae
convenire consuerunt, sed alia etiam habuisse noscuntur ad ius
corporis eorum id est ecclesiarum, non hominum singulorum,
pertinentia, ea omnia lege quam superius comprehendimus, citra
ullam prorsus ambiguitatem vel controversiam isdem Christianis id
est corpori et conventiculis eorum reddi iubebis, supra dicta
scilicet ratione servata, ut ii qui eadem sine pretio sicut
diximus restituant, indemnitatem de nostra benivolentia sperent.
E
poiché è noto che i medesimi cristiani non possedevano
solo i luoghi in cui erano soliti radunarsi, ma anche
altri di proprietà non di singoli, ma della loro
comunità e cioè delle loro chiese, ordinerai che tutti
questi luoghi, secondo la legge sopra esposta, vengano
restituiti, senza alcun sotterfugio né opposizione ai
medesimi cristiani, cioè alla loro comunità e ai loro
gruppi locali, seguendo ovviamente il medesimo criterio
sopra menzionato, e cioè che quelli che restituiscono
gratuitamente tali luoghi possano sperare in un
indennizzo dalla nostra benevolenza.
10. In quibus omni bus supra dicto corpori Christianorum
intercessionem tuam efficacissimam exhibere debebis, ut praeceptum
nostrum quantocius compleatur, quo etiam in hoc per clementiam
nostram quieti publicae consulatur.
In
tutte queste faccende dovrai esercitare a favore di
detta comunità dei cristiani la mediazione più efficace
possibile, affinché il nostro comando trovi il più
rapido compimento, in modo tale che anche in questo si
provveda alla quiete pubblica per mezzo della nostra
clemenza.
11. Hactenus fiet, ut, sicut superius comprehensum est, divinus
iuxta nos favor, quem in tantis sumus rebus experti, per omne
tempus prospere successibus nostris cum beatitudine publica
perseveret.
In
tal modo, come si diceva in precedenza, accadrà che il
favore divino nei nostri confronti, di cui abbiamo fatto
esperienza in circostanze così importanti, si manterrà
per sempre propizio in ogni nostra prossima impresa, con
felicità della popolazione.
12. Ut autem huius sanctionis et benivolentiae nostrae forma ad
omnium possit pervenire notitiam, prolata programmate tuo haec
scripta et ubique proponere et ad omnium scientiam te perferre
conveniet, ut huius nostrae benivolentiae [nostrae] sanctio latere
non possit.
Affinché
possa giunger notizia a tutti delle prescrizioni di tale
nostra benevola disposizione, sarà opportuno che tu
diffonda ovunque queste norme, accompagnate da un tuo
ordine, e le renda note a tutti, così che questa nostra
benevola disposizione non possa restare sconosciuta.
(Testo latino reperito in
http://it.cathopedia.org/wiki/Editto_di_Milano. Traduzione a
cura di Paolo A. Tuci, Istituto Gonzaga di Milano, reperita in
http://www2.treviso.chiesacattolica.it/treviso/allegati/3650/4%20Editto%20di%20Milano%20313.pdf)
2.
L'editto
2.1.
Motivazioni e scopi carismatici della legge
Il testo dell'editto è conosciuto attraverso Lattanzio
nel suo De mortibus persecutorum, letteralmente
'Delle morti dei persecutori'. Si tratta di una versione
priva dell'autentico preambolo della legge, essendo, in
verità, la lettera che l'imperatore inviò al governatore, praesidem
in latino, dell'Africa romana, Anulino.
Scrive Costantino al suo ministro: "Cum feliciter tam
Ego Costantinus Augustus quam etiam Ego Licinius Augustus
apud Mediolanum convenissemus atque universa. Quae ad
commoda et securitatem publicam pertinerent, in tractatu
haberemus ... ". Dunque, “... essendo convenuti
felicemente in Milano ...”, i due Augusti (Costantino per
l'occidente e Licinio per l'oriente) “... hanno avviato una
trattativa ...” sul modo di affrontare le cose che
riguardano la securitatem publicam, cioè la
sicurezza dello Stato e dei cittadini.
Questa sicurezza pubblica è principalmente il risultato di
azioni intorno: "… quibus divinitatis reverentia
continebatur, ut daremus et Christianis et omnibus liberam
potestatem sequendi religionem quam quisque voluisset
…". La trattativa si articola intorno, cioè, agli affari
relativi alla religione e queste azioni consistono “...
nella concessione ai cristiani e a tutti di seguire la
religione che preferiscono ...”.
Poi, segue un passo di grande importanza per comprendere la
mentalità che riposa dietro il decreto che sta per essere
emesso: " ... quo quicquid divinitatis in sede caelesti
nobis atque omnibus qui sub potestate nostra sunt
constituti placatum ac propitium possit existere ...
" e cioè, “... affinché tutto quello che è divino sotto la
sede del cielo possa essere placato e propiziato a noi e a
tutti quelli che si trovano sotto di noi ...”.
In buona sostanza la fine dei provvedimenti anticristiani
dovrebbe stabilire una allargata
e universale concordia divina intorno alle sorti dello
stato e, infatti, l'editto insiste ancora: " ... ut
possit summa divinitas, cuius religioni liberis mentibus
obsequimur, in omnibus solitum favorem suum
benevolentiamque praestare .." e cioè, “... affinché
la somma divinità, alla quale rendiamo l'ossequio del nostro
culto in piena libertà, possa concedere noi il suo favore e
la sua benevolenza ...”.
L'intento carismatico della legge è, quindi, in perfetta
linea con la tradizione romana: congiungere il divino
all'impero, alla res publica, in modo da
preservarne la vita e la conservazione.
Necessariamente e in conseguenza di questa motivazione
carismatica, l'editto si presenta, e in parte è, come un
editto di tolleranza generale e va nuovamente sottolineato
in tal senso l'importantissimo passo "
... omnibus
liberam potestatem sequendi religionem
quam quisque voluisset
...", e cioè "...[di dare] libera
facoltà di seguire la religione che
ciascuno voglia ...", confortato, più
avanti, da quest'altro, ancora più
esplicito " ...
Ut neque cuiquam honori neque
cuiquam religioni detractum
aliquid a nobis videatur ...",
"
... appaia
chiaro che non viene da noi sminuito
alcun atto di culto e alcuna religione
...".
Ancora di più questo intento carismatico è confermato
dall'occasione specifica che ne provoca l'emissione in
quella particolare data, il febbraio 313: la celebrazione
del matrimonio tra Costanza, sorella di Costantino, e
Licinio, suo collega per la prefettura illiriciana e augusto
per l'oriente. L'editto pare essere anche una specie di
antidote politica che Licinio offrì alla sorella di
Costantino, disposta a donare ulteriore carisma a un
compromesso squisitamente politico.
È fondamentale, inoltre, mettere in relazione la redazione
della legge del febbraio con l'editto emesso da Galerio due
anni prima per l'oriente: le motivazioni carismatiche non
sono le medesime. Galerio aveva giustificato con una
valutazione essenzialmente politica, di opportunità
politica, la riabilitazione dei cristiani, mentre veniva
taciuto nella
legge
quasi completamente l'aspetto carismatico. Per l'ideologia
che ispira Licinio e Costantino, invece, il cristianesimo
poteva per sè medesimo, in quanto tale, senza altro calcolo,
rientrare nei piani universalistici ed ecumenici
dell'istituzione imperiale.
2.2.
La contingenza dell'editto
Il decreto, però, oltre che possedere contenuti carismatici,
ha decisamente un aspetto politico, stringente e
contingente. In relazione ai cristiani, più che di
congiunzione del piano divino con quello imperiale, infatti,
bisogna scrivere di ricongiungimento.
L'editto accenna chiaramente a una completa legalizzazione
delle diverse confessioni religiose all'interno dei confini
romani, ma i riferimenti alla comunità cristiana sono
chiari, espliciti e reiterati.
Fin dall'introduzione della lettera, in quella sorta di
preambolo della legge scritto per Anulino, si legge " ... ut daremus et Christianis
et omnibus ...", " ...
concederemo ai cristiani e anche a
tutti gli altri ...". Preme
agli augusti indicare subito che nella
legge sono considerati i cristiani e
poi tutte le altre confessioni
religiose e che si intende dare
priorità alla questione delle comunità
ecclesiastiche.
In uno dei punti successivi del
decreto esposto per Anulino, si
stabilisce la completa abrogazione
della legislazione precedente
riguardante i cristiani, cioé gli
editti del 303 e 304 emanati dalla
prima tetrarchia e da Diocleziano,
precisamente come nell'editto di
Galerio, emesso in Serdica nel 311.
Sotto questo punto di vista va ammesso
che Serdica e Milano si assomigliano e
in entrambi si fa riferimento alla
clemenza imperiale, secondo un clichè
sperimentato; a Serdica si era scritto
mitissimae nostrae
clementiae intuentes
e qui si scrive quae prorsus sinistra
et a nostra clementia aliena esse
videbantur, ea removeantur.
La clemenza di Milano, però, è ben
più ampia e soprattutto
concretamente generosa che non
quella eseguita in Serdica. Galerio,
nel 311, permetteva ai cristiani e
alla loro associazione di riunirsi
nuovamente e di ricostruire i luoghi
di culto che erano stati distrutti a
causa della persecuzione, ma non fa
menzione di restituzioni e di
indennizzi. Al contrario Costantino
e Licinio manifestano una estrema
precisione in merito.
L'editto del 313 stabilisce infatti
che vengano restituiti tutti i
luoghi di culto ai cristiani,
precedentemente requisiti dal fisco
imperiale, e che se alcuni tra
quelli erano poi stati alienati dal
fisco a favore di privati, sia sotto
forma di vendita sia di donazione,
vanno recuperati e ricondotti al
proprietario originario, la chiesa
cattolica. Il vecchio proprietario
sarà risarcito e indennizzato dallo
Stato. L'editto di Milano, inoltre,
si interessa di sostanze che,
invece, erano state ignorate in
quello di Galerio: i beni generici
della chiesa, le proprietà
immobiliari non direttamente legate
al culto e allo svolgimento delle
cerimonie. Anche per questi Licinio
e Costantino stabiliscono la
restituzione secondo le modalità
fissate per i luoghi di culto,
ripetendole con estrema precisione
nel
relativo capitolo
della legge.
Un'altra caratteristica del provvedimento di
Milano è la tempestività che viene richiesta per
l'applicazione del decreto e il fatto che i
vicari delle diocesi imperiali siano investiti
dell'esecuzione della legge.
Si ripete più volte nel dispositivo che
le deliberazioni vanno applicate senza ambiguità
e opposizione
(citra ullam
prorsus ambiguitatem vel
controversiam oppure
postposita omni
frustratione atque
ambiguitate)
e senza sotterfugi.
Nella lettera al praesidem
d'Africa, inoltre, è descritto anche
il metodo articolato e scrupoloso
con il quale i governatori locali
dovranno eseguire il decreto. "
... sarà
opportuno che tu
diffonda ovunque
queste norme,
accompagnate da
un tuo ordine, e
le renda note a
tutti, così che
questa nostra
benevola
disposizione non
possa restare
sconosciuta
...".
3.
I prolegomeni dell'editto di Milano
3.1.
Da Costanzo Cloro a Ponte Milvio
Già nel 306, il figlio di Costanzo Cloro aveva
rinunciato ad assumere e ad adornarsi del titolo di
'erculeo' che gli proveniva da Massimiano. Con ciò,
Costantino legò direttamente il suo carisma
all'esercito che lo aveva proclamato Augusto e
soprattutto alla presunta e immaginata
consanguineità con Claudio Gotico, imperatore di
circa quarantacinque anni prima. Alla base di questa
scelta era, inoltre, una conclamata convinzione
solariana tipica e naturale per un illirico figlio
di illirici, che era venuto fuori da una genia che a
Sol invictus aveva dedicato il suo maggior
impegno in campo religioso e le più importanti
attenzioni.
Una secca rottura, dunque, con la tradizione di
Massimiano e Diocleziano che, invece, avevano fatto
della restitutio sacrorum il cavallo
della loro
battaglia
politica e istituzionale, oltre che propagandistica
e ideologica.
Costantino, sei anni dopo, usciva vincitore a Ponte
Milvio contro un altro e analogo adoratore di Sol,
Massenzio, tollerante, come lui, verso il
cristianesimo e che aveva adottato i medesimi
provvedimenti di Costantino, che, sostanzialmente,
abrogavano la legislazione persecutoria della
tetrarchia nella prefettura italica e africana e,
uniti con quelli dell'augusto per le Gallie, in
tutta la parte occidentale dell'impero.
A Ponte Milvio si era risolta una contrapposizione
personale e politica inestinguibile ma questa
soluzione si era accompagnata con una forte
rivelazione carismatica: le anomalie nella luce
solare durante la marcia dell'esercito
costantiniano, il sogno raccontato a Eusebio e
l'universalmente famoso 'in hoc signo vinces'.
Sotto questo segno, dunque, il nuovo principe e
augusto diverrà davvero principe e augusto.
È innegabile che il nuovo augusto per l'occidente,
pur non rinnegando il paganesimo rinnovato della sua
tradizione familiare, si avvicinava alla croce e al
monogramma di Cristo. Suo padre non aveva amato la
persecuzione anticristiana e sappiamo anche che il
figlio si affrettò a revocarla per la parte
dell'impero che era sotto il suo diretto controllo.
E' una simpatia, diciamo pure, che congiunge questi
solariani a quel nuovo, e in parte percepito come
bizzarro, monoteismo di origine orientale; non è
inoltre un fatto recente, un'assoluta novità,
comparsa con la famiglia di Costanzo Cloro:
già Aureliano (271 - 275) e ancora prima di quello
Gallieno (260 - 268) avevano condiviso questo
atteggiamento di moderata e attenta propensione
verso la nova religio. Le manifestazioni
solari e oniriche che stupiscono Costantino
rappresentano, inequivocabilmente, un nuovo evento
anche se cammina su piedi sperimentati.
3.2.
I precedenti nel dominato illiriciano e solariano
A maggior ragione dobbiamo ricordarci nuovamente di
Aureliano, un altro principe solariano. Aureliano
sicuramente non nutriva grandi simpatie per il
cristianesimo, e anzi, per certi versi, in
controtendenza con il suo secolo, recuperò
pubblicamente alcuni elementi del paganesimo
tradizionale, segnatamente l'aruspicina, che erano
caduti in disuso. Ciò nonostante, l'attività in
materia religiosa di questo imperatore, anch'egli
illiriciano, forse davvero non casualmente, produsse
alcuni interessantissimi precedenti storici ai quali
sarebbe stato difficile non fare riferimento e
ignorare.
In primo luogo Aureliano favorì l'accostamento di
alcune festività ed elementi liturgici tipici della
religiosità solare al cristianesimo, avvicinamento
forse inconsapevole, ma pregno di evoluzioni future.
Pensiamo soprattutto alla festività 'coincidente'
per cristiani e solariani della domenica e, secondo
dinamiche un po' più complesse, del dies
natalis solis che si celebrava il 25 dicembre
in Roma. La prima di queste due tangenze era
sicuramente involontaria, riposava nella liturgia di
entrambe le confessioni; la seconda, al contrario,
fu probabilmente affrettata da parte cristiana.
In secondo luogo abbiamo il caso dell'arbitrato di
Aureliano in ordine al conflitto tra Pauliciani e
'ortodossi' in oriente. Ebbene quell'imperatore
rimandò la decisione all'episcopio di Roma e di
Alessandria e, cioè, disinteressandosi della cosa
religiosa che stava alla base della vertenza civile,
individuava, dunque, una principalis potestas
in alcuni nodi e segmenti organizzativi della nuova
religione. Insomma, Aureliano contribuì a costruire,
lui solariano convinto, in nome di opportunità
squisitamente politiche e di coincidenze liturgiche
che le rinforzarono e favorirono, una ortodossia
religiosa nel mondo cristiano, ortodossia espressa e
stabilita dai pronunciamenti di alcune sedi
episcopali. Fu un passo notevole.
Costantino, dunque, aveva dietro di sé questi tre
esempi 'solariani' (suo padre Costanzo e i suoi non
immediati precedenti all'impero, Gallieno e
Aureliano) in base ai quali poteva, con
tranquillità, ritenere la presenza cristiana come
perfettamente compatibile con l'impero, proprio
perché strutturata in modo gerarchico e
sufficientemente ordinata fino al punto di potere
offrire una sana sponda e dei sicuri referenti nelle
relazioni con quella religione.
Il cristianesimo, che aveva goduto una piena e
pubblica legalità insieme con un riconoscimento
ufficiale dal 268 al 303, non poteva essere più
considerato come una illicita religio, e
offriva, al contempo, una struttura organizzata e
ordinata con la quale relazionarsi, un aspetto
tranquilizzante. Certamente, però, la forma
organizzativa gerarchica ed ecumenica delle comunità
cattoliche era una novità che inquietava e
preoccupava e che proponeva a parte del mondo
politico romano diffidenza e intenti persecutori;
Costantino sarà, al contrario, l'uomo politico che
individuò proprio nella struttura organizzata delle
comunità cristiane un elemento di stabilità, una
possibilità di controllo del movimento confessionale
e un'incredibile arma istituzionale.
4. La contemporaneità dell'editto
4.1.
In hoc signo
Ci domandiamo con quale mentalità Costantino si
stava accostando, in verità con molta cautela
politica e numerose intime e personali indecisioni,
alla nuova religione.
Qui dobbiamo fare riferimento a un altro principe
del secolo precedente: Filippo l'arabo, imperatore
dal 244 al 249.
Anche se è un fatto poco noto, anzi quasi
sconosciuto, Filippo è stato il primo cristiano a
reggere lo Stato imperiale, un cristiano che, però,
governò l'impero in nome del carisma tradizionale,
di Roma Aeterna, di Roma tradizionalista e
pagana. La sua professione di fede rimase
rigorosamente confinata all'ambito del privato e
quando si trattava della solennità o della salvezza
dello Stato, in una parola dell'amministrazione e
delle istituzioni, il cristiano Filippo faceva
riferimento agli dei e ai valori tradizionali.
Costantino, invece, non era cristiano, come Filippo,
né prima di divenire imperatore né quando prese la
porpora e neppure quando la mantenne: Costantino era
un convinto adoratore di Sol invictus e
divenne imperatore salvando, dal suo punto di vista,
l'impero perché, lungi dal convertirsi, aveva, però,
strumentalmente accettato e adottato il segno
apotropaico cristiano, il famoso monogramma di
Cristo. Quindi, dobbiamo ritornare allo storico in
hoc signo vinces, al suo 'uso' in Costantino
e al suo significato per Costantino.
Il vescovo Eusebio, biografo e confessore
dell'imperatore, rivela, forse con una certa
esagerazione ma un'indubbia e importantissima
sincerità dal punto di vista dell'analisi storica,
che Costantino non si rese immediatamente conto
della natura religiosa del 'segno' che la visione
gli aveva proposto e che dubbi intorno a una sua
eventuale origine solare rimasero nel principe per
molto tempo.
Al di là della probabile esagerazione di Eusebio,
questa indecisione registra una situazione di fatto:
Costantino, solariano convinto, di dinastia
solariana, forse non faticò molto a riconoscere la
natura e il significato del segno che gli veniva
proposto, ma non lo ritenne motivo sufficiente per
una conversione immediata. Una divinità amica, in
qualche modo analoga a quella della sua tradizione
familiare e simile nell'impostazione teologica
(anche i solariani, infatti, erano monoteisti), lo
soccorreva con un'immagine protettrice; egli,
allora, adotterà quell'immagine, quell'effige per
affrontare la guerra contro Massenzio, poiché,
essendo in gioco il bene dello stato, era
'tatticamente' necessario curare questa alleanza
divina.
4.2.
Costantino il pagano
Il solariano Costantino
si avvicina al cristianesimo con la tipica
mentalità pagana, per la quale l'alleanza con il
divino è indispensabile alla felice
direzione
della cosa pubblica. Dopo Ponte Milvio,
conseguentemente, Costantino onorò questo summus
deus che gli aveva consentito di
raggiungere la vittoria e, giacché al centro
delle sue preoccupazioni era, pure, la salute
dell'impero, ritenne fondamentale che da nessuna
parte dentro di quello quella suprema e
potentissima divinità fosse oltraggiata. Non si
trattava, però, del bene del cristianesimo e dei
cristiani in quanto tali, ma, secondo
l'antichissima mentalità pagana, del bene stesso
dello Stato che era stato aiutato da quella
particolare entità divina per risolvere la
guerra intestina nel migliore dei modi e quindi
si trovava in debito verso quella.
Costantino
non si convertì mai
al cristianesimo o
meglio si convertì
solo all'estremo
limite della sua
vita, decidendosi a
ricevere il
battesimo, e proprio
dalle mani del suo
biografo Eusebio, in
punto di morte e
questo è illuminante in relazione a ciò che fino
a ora è stato scritto,
A questo proposito conviene ritornare al
paragone tra Filippo e Costantino. Filippo era
cristiano per intima convinzione giacché era
nato in una regione, l'Arabia, ove la nuova
religione era diffusissima, ed era uscito dai
ranghi di una famiglia che da qualche
generazione praticava quella confessione, ma
quando assurse all'impero rispettò la religione
ufficiale e la ossequiò, non facendo menzione
della sua privata professione di fede. È come
se, per lui, i piani del divino fossero doppi e
paralleli: una religione pubblica e
tradizionale, volta a garantire la salvezza
dello Stato attraverso liturgie e riti ben
radicati e un piano privato, ininfluente
rispetto a quello pubblico, un piano 'viscerale'
e sciolto da ogni 'strumentalismo' politico.
Al contrario, per Costantino il piano del divino
è unico, ed è quello pubblico e dotato di
valenze politiche: la rivelazione che egli ha
sperimentato possiede, necessariamente, un
portato 'strumentale' e porta con sé un'alleanza
con il dio. Per meglio chiarire questo concetto,
questa idea tutta pagana, del portato politico e
pubblico della religione, riportiamo un brano
della lettera di Costantino a Anulino,
proconsole d'Africa, lettera scritta subito dopo
Ponte Milvio e cioè a dire nell'inverno del 312;
il nuovo imperatore per l'occidente chiede al
suo collaboratore che vengano risarcite le
comunità cristiane dei danni subiti durante la
persecuzione, ma non solo, chiede che vengano
stanziati dei fondi statali al fine di
finanziarie le opere di culto dei cristiani e il
locale episcopio e aggiunge "... Infatti, se
essi venerano sommamente Dio, vantaggi immensi
giungeranno pure agli affari pubblici". Tutto
ciò ricorda molto da vicino il quaedammodum
illic Deus colatur di Alessandro Severo e
cioè l'idea non tanto di un impero cristiano,
quanto di un impero nel quale il dio dei
cristiani collabora alla sua direzione e
salvezza.
Questa linea di pensiero, però, porterà
gradualmente il nuovo principe a identificare in
Cristo la salvezza e salute dell'impero e cioè,
con vero paradosso, i presupposti della
mentalità pagana, nel principe, si volgeranno
verso il risultato di un potenziale integralismo
cristiano. Bisognerà, però, attendere i
provvedimenti contro l'aruspicina privata del
319 e la scomparsa di ogni riferimento al culto
solare dopo il 327, per vedere disegnato
l'inizio di questa parabola, che avrà un
tracciato lungo e che incontrerà, tra le altre
cose, notevoli ostacoli sul suo itinerario.
Uno dei primi di questi sarà Licinio,
l'imperatore per l'oriente.
5. La geografia dell'Editto
5.1.
L'oriente
Licinio era un pagano di formazione
tradizionale; ciononostante la persecuzione era
terminata in gran parte del suo oriente,
quantomeno nell'illirico, dove, nel 311 e giunto
quasi in punto di morte, Galerio aveva emesso
l'editto di Serdica con il quale dichiarava
finita quella terrificante stagione politica.
Certamente, però, l'oriente rimaneva più incline
a mantenere vive censure, restrizioni e divieti
contro i Cristiani; ci sono, infatti, buoni
indizi per ritenere che l'altro Augusto
dell'Oriente, Massimino Daia, nella Siria,
Egitto e Anatolia che direttamente governava,
abbia mantenuto in piedi i processi persecutori,
nonostante l'editto di Serdica.
Il fatto è che, in oriente, la presenza
cristiana era vissuta come problema sotto
molteplici aspetti.
In primo luogo per il profilo politico: da una
parte le eresie pauliciane, che si erano diffuse
nel secolo precedente, avevano dato respiro
ideologico a un certo autonomismo siriaco,
dall'altra parte alcune eresie e tendenze
radicali tra i cristiani soffiavano sul fuoco
dell'autonomismo egiziano, esattamente come,
sempre nel secolo precedente, aveva fatto in
quell'area il manicheismo.
Esisteva, però, anche un aspetto quantitativo
che, ulteriormente, spaventava in oriente: la
geografia della diffusione del cristianesimo,
infatti, non disegna un quadro omogeneo.
Nella
prefettura
illiriciana la
Dalmazia è
probabilmente
incontaminata dalla
predicazione dei
cristiani; Mesia,
Pannonia e Macedonia
sono cristiane 'ai
minimi termini' o in
quantità rilevanti
ma sicuramente non
tali da definire una
maggioranza. Già
nell'estremo
meridione della
prefettura la
geografia cambia: la
Tracia meridionale e
la Grecia presentano
una situazione di
forte
cristianizzazione,
forse la metà della
popolazione ha
abbracciato la nuova
fede.
Se, poi,
attraversiamo il
Bosforo la
situazione cambia
ancora più
radicalmente,
giacché entriamo in
una regione a
maggioranza
cristiana. Nella
prefettura
dell'oriente,
infatti, le province
di Bitinia, Ponto,
Cappadocia, Cilicia
e Armenia sono
cristianizzate:
quasi certamente più
della metà della
popolazione attiva
religiosamente
pratica questa
religione; questo è
un processo che
riguarda l'altopiano
anatolico nel suo
complesso fin dai
tempi della lettera
di Plinio il giovane
di duecento anni
prima (contagio
pervagata est,
scriveva il figlio
del geografo).
Se si passa in
Siria, la situazione
per i pagani non
migliora e anche se
la densità religiosa
dei cristiani
diminuisce il loro
proselitismo è
notevole; l'Egitto è
un anomalia dentro
l'anomalia, avendo
costituito una vera
avanguardia storica
nella diffusione del
verbo di Cristo:
pare che già nella
seconda metà del II
secolo quasi la metà
della popolazione si
fosse convertita al
cristianesimo e ora,
nella prima metà del
IV secolo, circa
quattro egiziani su
cinque erano
cristiani.
Ciò che in occidente
è eccezione, in
oriente è
ordinarietà.
5.2.
L'occidente
In occidente la nuova religione è quasi del
tutto ignorata in gran parte delle Gallie,
soprattutto nella Belgica, nella parte
settentrionale della Lugdunense e
nell'Aquitania, sconosciuta in Rezia, nel Norico
e nella parte più occidentale della Spagna.
Diffusione molto meno blanda ma comunque
assolutamente minoritaria, sempre nella parte
occidentale dell'impero, il cristianesimo la
conosce in Italia, soprattutto quella centro -
meridionale e insulare, nella Gallia Narborense,
nella Spagna Tarraconense e
nel meridione della
Gallia Lugdunense
dove a Lione la
presenza di una
radicata comunità
cristiana è
testimoniata fin
dalla seconda metà
del II secolo.
Ci sono, però, alcune aree limitate dove il
pensiero cristiano ha ottenuto, anche
nell'occidente romano, numerosi proseliti e
forse la metà della popolazione attiva
religiosamente ha abbracciato questa
confessione: si tratta dell'area di Cartagine e
dell'Africa proconsolare, della Spagna Betica e
di buona parte della costa sud orientale della
penisola iberica, fino a risalire alle città
commerciali dell'odierna Provenza. Sacche di
simile diffusione sono testimoniate in Puglia e
nella Sicilia settentrionale. Si tratta, però,
di aree anche importanti ma limitate: il mondo
pagano ha in occidente la maggioranza e in forma
schiacciante.
6.
Licinio e Costantino
6.1. Le
doti e la situazione di Costantino
Dal punto di vista del paganesimo tradizionale,
del rispetto al quale veniva ancorata, va
ripetuto fino alla nausea, la salvezza dello
Stato, il fenomeno in oriente aveva assunto una
dimensione preoccupante. I timori panici delle,
oramai, minoranze pagane si riflettevano sulle
classi dirigenti e si mettevano in moto processi
epurativi quantomeno nelle file dell'esercito e
dell'amministrazione, come ben veduto per i
tempi di Valeriano e Diocleziano. A questo si
aggiunse e si unisce il timore di Galerio,
Massimino e Diocleziano, che era un timore di
natura politica e non del tutto infondato;
questo timore si basava sulla preoccupazione di
non riuscire a governare la situazione e sullo
spavento provocato da alcuni atteggiamenti
estremistici di una parte del movimento
cristiano. In generale, preoccupavano le
conseguenze sociali, istituzionali, militari e
anche superstiziose di questa diserzione di
massa dalla tradizione pagana.
Costantino poteva, dall'occidente, osservare la
situazione con occhio più calmo e tale distacco
gli farà immediatamente discernere nella
formazione di una chiesa ortodossa, adversus
scismatici et haereticos (che fosse
schierata, cioè, contro le piccole sette
intransigenti e gnostiche), uno degli strumenti
più sicuri per il controllo e la regolazione di
atteggiamenti radicali che, incarnati da
montanisti e da donatisti, in Africa erano
fortemente diffusi. Costantino ebbe il coraggio
che procura la distanza dal problema e fu
l'unico tra i suoi colleghi all'impero ad avere
la sufficiente abilità e carisma militare e
dinastico per affrontarlo.
6.2.
Primo e ultimo passo
Ed è così che l'augusto dell'occidente chiamò a
sé Licinio, che al momento controllava
l'illirico, e lo invitò a Milano. In verità con
Licinio erano stati abboccamenti precedenti
poiché tutta la campagna contro Massenzio si
realizzò anche grazie alla neutralità del
collega dell'Illirico. In ogni caso, nel
febbraio del 313 avvenne il loro incontro in
Milano e quasi sicuramente Licinio agì contro la
volontà o all'insaputa del collega per
l'oriente, Massimino Daia.
Dal trattato o accordo stabilito nel
febbraio 313 in
Milano
tra l'augusto per l'occidente, Costantino, e
l'augusto per l'oriente, Licinio, si può
scrivere con
facilità
che non ci
troviamo di
fronte a un
editto a
favore dei
cristiani, ma
a un editto di
tolleranza
generale, che
prescrive una
libertà
religiosa
assoluta, al
fine di
garantire la
sicurezza
'teologica' e
'superstiziosa'
dello stato.
In parte è
vero, anche se
i riferimenti
ai cristiani
sono così
stringenti che
è certo che
Costantino
abbia inteso
liberare
l'impero
tutto, e
dunque anche
la parte di
Licinio, da
quell'empietà
verso il suo
dio di
vittoria. E se
Licinio, da
buon pagano,
interpreterà
l'editto e lo
sottoscriverà
come una legge
di chiara e
conclamata
libertà di
professione
religiosa e di
ritorno alla
situazione
precedente la
persecuzione
ordinata da
Diocleziano
nel 303, la
firma di
Costantino possedeva
tutt'altra
grafia: una
scrittura
questa già
anticipata
dalla lettera
al praesidem
d'Africa
Anulino di
qualche mese
prima, secondo
la quale la
chiesa
cristiana
doveva
usufruire del
finanziamento
dello stato e
godere di
immunità
fiscali,
esattamente
come era
avvenuto e
continuava ad
accadere per
le istituzioni
tradizionali
del
paganesimo.
Per Costantino
l'editto fu un
'primo passo',
per Licinio
l'editto era
l'ultimo e
l'estremo.
Pagina precedente