L'editto di Milano (313)


1. Il testo

Cum feliciter tam ego [quam] Constantinus Augustus quam etiam ego Licinius Augustus apud Mediolanum convenissemus atque universa quae ad commoda et securitatem publicam pertinerent, in tractatu haberemus, haec inter cetera quae videbamus pluribus hominibus profutura, vel in primis ordinanda esse credidimus, quibus divinitatis reverentia continebatur, ut daremus et Christianis et omnibus liberam potestatem sequendi religionem quam quisque voluisset, quod quicquid est divinitatis in sede caelesti. Nobis atque omnibus qui sub potestate nostra sunt constituti, placatum ac propitium possit existere.

Nella felice occasione in cui io, Costantino Augusto, e io, Licinio Augusto, ci incontrammo a Milano, affrontammo insieme tutte le questioni relative al benessere e alla sicurezza pubblica. Tra i provvedimenti che ci sembrava avrebbero giovato a più persone e che fossero da disporre per primi, ci parve esservi questo, che stabilisce a quali divinità dovesse essere tributato onore di culto, al fine di dare, tanto ai cristiani quanto a tutti, libera facoltà di seguire la religione che ciascuno voglia, sicché qualsiasi divinità risieda in cielo, essa possa essere benevola e propizia a noi e a tutti coloro che sono posti sotto la nostra autorità.

3. Itaque hoc consilium salubri ac reticissima ratione ineundum esse credidimus, ut nulli omnino facultatem abnegendam putaremus, qui vel observationi Christianorum vel ei religioni mentem suam dederet quam ipse sibi aptissimam esse sentiret, ut possit nobis summa divinitas, cuius religioni liberis mentibus obsequimur, in omnibus solitum favorem suum benivolentiamque praestare.

Perciò ci è sembrato con sana e retta riflessione di dover stabilire che non si debba assolutamente negare il permesso ad alcuno che si voglia dedicare alle pratiche dei cristiani o alla religione che senta a sé più congeniale, cosicché la somma divinità, alla cui venerazione ci dedichiamo con libertà di coscienza, possa manifestare in tutto il suo consueto favore e la sua benevolenza.

4. Quare scire dicationem tuam convenit placuisse nobis, ut amotis omnibus omnino condicionibus quae prius scriptis ad officium tuum datis super Christianorum nomine continebantur, et quae prorsus sinistra et a nostra clementia aliena esse> videbantur, ea removeantur. Et> nunc libere ac simpliciter unusquisque eorum, qui eandem observandae religionis Christianorum gerunt voluntatem. Citra ullam inquietudinem ac molestiam sui id ipsum observare contendant.

Per cui è opportuno che la tua devozione sappia che ci è piaciuto di eliminare del tutto le condizioni contemplate dalle norme scritte che ti erano state fornite per il tuo ufficio riguardo alla categoria dei cristiani, cancellando ciò che in precedenza appariva odioso ed estraneo alla nostra clemenza; e ora ciascuno di coloro che desiderano seguire la religione dei cristiani la possa osservare liberamente e apertamente, senza ricavarne alcuna angoscia od offesa.

5. Quae sollicitudini tuae plenissime significanda esse credidimus, quo scires nos liberam atque absolutam colendae religionis suae facultatem isdem Christianis dedisse.

E noi abbiamo ritenuto di dover comunicare alla tua sollecitudine queste cose nel modo più completo, affinché tu sappia che noi abbiamo concesso ai suddetti cristiani assoluta e completa libertà di professare la loro fede.

6. Quod cum isdem a nobis indultum esse pervideas, intellegit dicatio tua etiam aliis religionis suae vel observantiae potestatem similiter apertam et liberam pro quiete temporis nostri esse concessam, ut in colendo quod quisque delegerit, habeat liberam facultatem. Quod a nobis factum est. Ut neque cuiquam> honori neque cuiquam religioni detrac tum aliquid a nobis videatur.

E sulla base del fatto che noi abbiamo concesso questo a loro, la tua devozione comprenderà che anche ai seguaci delle altre religioni e al rispettivo culto è stata accordata la piena e libera facoltà a vantaggio della pace nel nostro tempo, cosicché ciascuno abbia il diritto di praticare liberamente la religione che ha scelto. Noi abbiamo stabilito ciò perché appaia chiaro che non viene da noi sminuito alcun atto di culto e alcuna religione.

7. Atque hoc insuper in persona Christianorum statuendum esse censuimus, quod, si eadem loca, ad quae antea convenire consuerant, de quibus etiam datis ad officium tuum litteris certa antehac forma fuerat comprehensa. Priore tempore aliqui vel a fisco nostro vel ab alio quocumque videntur esse mercati, eadem Christianis sine pecunia et sine ulla pretii petitione, postposita omni frustratione atque ambiguitate restituant;

E, oltre a ciò, riguardo ai cristiani abbiamo ritenuto di dover stabilire che siano loro restituiti, gratuitamente e senza richiesta di indennizzo, senza alcun inganno né sotterfugio, quei medesimi luoghi nei quali in precedenza erano soliti radunarsi, sui quali mediante lettere al tuo ufficio erano state anche date prima d'ora determinate disposizioni, qualora tali luoghi risultino essere stati acquistati dal nostro fisco o da chiunque altro;

8. qui etiam dono fuerunt consecuti, eadem similiter isdem Christianis quantocius reddant, etiam vel hi qui emerunt vel qui dono fuerunt consecuti, si petiverint de nostra benivolentia aliquid, vicarium postulent, quo et ipsis per nostram clementiam consulatur. Quae omnia corpori Christianorum protinus per intercessionem tuam ac sine mora tradi oportebit.

e anche coloro che li hanno ottenuti in dono li restituiscano quanto prima ai medesimi cristiani, sia quelli che li hanno comprati, sia quelli che li hanno ricevuti in dono. E se vorranno chiedere un qualche risarcimento alla nostra benevolenza, si rivolgano al nostro vicario, perché si provveda anche nei loro confronti grazie alla nostra generosità. Insomma bisognerà che tutti questi edifici per tua mediazione siano restituiti al più presto, senza indugio, alla comunità dei cristiani.

9. Et quoniam idem Christiani non [in] ea loca tantum ad quae convenire consuerunt, sed alia etiam habuisse noscuntur ad ius corporis eorum id est ecclesiarum, non hominum singulorum, pertinentia, ea omnia lege quam superius comprehendimus, citra ullam prorsus ambiguitatem vel controversiam isdem Christianis id est corpori et conventiculis eorum reddi iubebis, supra dicta scilicet ratione servata, ut ii qui eadem sine pretio sicut diximus restituant, indemnitatem de nostra benivolentia sperent.

E poiché è noto che i medesimi cristiani non possedevano solo i luoghi in cui erano soliti radunarsi, ma anche altri di proprietà non di singoli, ma della loro comunità e cioè delle loro chiese, ordinerai che tutti questi luoghi, secondo la legge sopra esposta, vengano restituiti, senza alcun sotterfugio né opposizione ai medesimi cristiani, cioè alla loro comunità e ai loro gruppi locali, seguendo ovviamente il medesimo criterio sopra menzionato, e cioè che quelli che restituiscono gratuitamente tali luoghi possano sperare in un indennizzo dalla nostra benevolenza.

10. In quibus omni bus supra dicto corpori Christianorum intercessionem tuam efficacissimam exhibere debebis, ut praeceptum nostrum quantocius compleatur, quo etiam in hoc per clementiam nostram quieti publicae consulatur.

In tutte queste faccende dovrai esercitare a favore di detta comunità dei cristiani la mediazione più efficace possibile, affinché il nostro comando trovi il più rapido compimento, in modo tale che anche in questo si provveda alla quiete pubblica per mezzo della nostra clemenza.

11. Hactenus fiet, ut, sicut superius comprehensum est, divinus iuxta nos favor, quem in tantis sumus rebus experti, per omne tempus prospere successibus nostris cum beatitudine publica perseveret.

In tal modo, come si diceva in precedenza, accadrà che il favore divino nei nostri confronti, di cui abbiamo fatto esperienza in circostanze così importanti, si manterrà per sempre propizio in ogni nostra prossima impresa, con felicità della popolazione.

12. Ut autem huius sanctionis et benivolentiae nostrae forma ad omnium possit pervenire notitiam, prolata programmate tuo haec scripta et ubique proponere et ad omnium scientiam te perferre conveniet, ut huius nostrae benivolentiae [nostrae] sanctio latere non possit.

Affinché possa giunger notizia a tutti delle prescrizioni di tale nostra benevola disposizione, sarà opportuno che tu diffonda ovunque queste norme, accompagnate da un tuo ordine, e le renda note a tutti, così che questa nostra benevola disposizione non possa restare sconosciuta.

(Testo latino reperito in http://it.cathopedia.org/wiki/Editto_di_Milano.
Traduzione a cura di Paolo A. Tuci, Istituto Gonzaga di Milano, reperita in http://www2.treviso.chiesacattolica.it/treviso/allegati/3650/4%20Editto%20di%20Milano%20313.pdf)


2. L'editto

2.1. Motivazioni e scopi carismatici della legge

Il testo dell'editto è conosciuto attraverso  Lattanzio nel suo De mortibus persecutorum, letteralmente 'Delle morti dei persecutori'. Si tratta di una versione priva dell'autentico preambolo della legge, essendo, in verità, la lettera che l'imperatore inviò al governatore, praesidem in latino, dell'Africa romana, Anulino.
Scrive Costantino al suo ministro: "Cum feliciter tam Ego Costantinus Augustus quam etiam Ego Licinius Augustus apud Mediolanum convenissemus atque universa. Quae ad commoda et securitatem publicam pertinerent, in tractatu haberemus ... ". Dunque, “... essendo convenuti felicemente in Milano ...”, i due Augusti (Costantino per l'occidente e Licinio per l'oriente) “... hanno avviato una trattativa ...” sul modo di affrontare le cose che riguardano la securitatem publicam, cioè la sicurezza dello Stato e dei cittadini.
Questa sicurezza pubblica è principalmente il risultato di azioni intorno: "… quibus divinitatis reverentia continebatur, ut daremus et Christianis et omnibus liberam potestatem sequendi religionem quam quisque voluisset …". La trattativa si articola intorno, cioè, agli affari relativi alla religione e queste azioni consistono “... nella concessione ai cristiani e a tutti di seguire la religione che preferiscono ...”.
Poi, segue un passo di grande importanza per comprendere la mentalità che riposa dietro il decreto che sta per essere emesso: " ... quo quicquid divinitatis in sede caelesti nobis atque omnibus qui sub potestate nostra sunt constituti placatum ac propitium possit existere ... " e cioè, “... affinché tutto quello che è divino sotto la sede del cielo possa essere placato e propiziato a noi e a tutti quelli che si trovano sotto di noi ...”.
In buona sostanza la fine dei provvedimenti anticristiani dovrebbe stabilire una
allargata e universale concordia divina  intorno alle sorti dello stato e, infatti, l'editto insiste ancora: " ... ut possit summa divinitas, cuius religioni liberis mentibus obsequimur, in omnibus solitum favorem suum benevolentiamque praestare .." e cioè, “... affinché la somma divinità, alla quale rendiamo l'ossequio del nostro culto in piena libertà, possa concedere noi il suo favore e la sua benevolenza ...”.
L'intento carismatico della legge è, quindi, in perfetta linea con la tradizione romana: congiungere il divino all'impero, alla res publica, in modo da preservarne la vita e la conservazione.
Necessariamente e in conseguenza di questa motivazione carismatica, l'editto si presenta, e in parte è, come un editto di tolleranza generale e va nuovamente sottolineato in tal senso l'importantissimo passo
" ... omnibus liberam potestatem sequendi religionem quam quisque voluisset  ...",  e cioè "...[di dare] libera facoltà di seguire la religione che ciascuno voglia ...", confortato, più avanti, da quest'altro, ancora più esplicito " ... Ut neque cuiquam honori neque cuiquam religioni detractum aliquid a nobis videatur ...", " ... appaia chiaro che non viene da noi sminuito alcun atto di culto e alcuna religione ...".
Ancora di più questo intento carismatico è confermato dall'occasione specifica che ne provoca l'emissione in quella particolare data, il febbraio 313: la celebrazione del matrimonio tra Costanza, sorella di Costantino, e Licinio, suo collega per la prefettura illiriciana e augusto per l'oriente. L'editto pare essere anche una specie di antidote politica che Licinio offrì alla sorella di Costantino, disposta a donare ulteriore carisma a un compromesso squisitamente politico.
È fondamentale, inoltre, mettere in relazione la redazione della legge del febbraio con l'editto emesso da Galerio due anni prima per l'oriente: le motivazioni carismatiche non sono le medesime. Galerio aveva giustificato con una valutazione essenzialmente politica, di opportunità politica, la riabilitazione dei cristiani, mentre veniva taciuto
nella legge quasi completamente l'aspetto carismatico. Per l'ideologia che ispira Licinio e Costantino, invece, il cristianesimo poteva per sè medesimo, in quanto tale, senza altro calcolo, rientrare nei piani universalistici ed ecumenici dell'istituzione imperiale.

2.2. La contingenza dell'editto

Il decreto, però, oltre che possedere contenuti carismatici, ha decisamente un aspetto politico, stringente e contingente. In relazione ai cristiani, più che di congiunzione del piano divino con quello imperiale, infatti, bisogna scrivere di ricongiungimento.
L'editto accenna chiaramente a una completa legalizzazione delle diverse confessioni religiose all'interno dei confini romani, ma i riferimenti alla comunità cristiana sono chiari, espliciti e reiterati.
Fin dall'introduzione della lettera, in quella sorta di preambolo della legge scritto per Anulino, si legge " ... ut daremus et Christianis et omnibus ...", " ... concederemo ai cristiani e anche a tutti gli altri ...". Preme agli augusti indicare subito che nella legge sono considerati i cristiani e poi tutte le altre confessioni religiose e che si intende dare priorità alla questione delle comunità ecclesiastiche.
In uno dei punti successivi del decreto esposto per Anulino, si stabilisce la completa abrogazione della legislazione precedente riguardante i cristiani, cioé gli editti del 303 e 304 emanati dalla prima tetrarchia e da Diocleziano, precisamente come nell'editto di Galerio, emesso in Serdica nel 311. Sotto questo punto di vista va ammesso che Serdica e Milano si assomigliano e in entrambi si fa riferimento alla clemenza imperiale, secondo un clichè sperimentato; a Serdica si era scritto mitissimae nostrae clementiae intuentes
  e qui si scrive quae prorsus sinistra et a nostra clementia aliena esse videbantur, ea removeantur.
La clemenza di Milano, però, è ben più ampia e soprattutto concretamente generosa che non quella eseguita in Serdica. Galerio, nel 311, permetteva ai cristiani e alla loro associazione di riunirsi nuovamente e di ricostruire i luoghi di culto che erano stati distrutti a causa della persecuzione, ma non fa menzione di restituzioni e di indennizzi. Al contrario Costantino e Licinio manifestano una estrema precisione in merito.
L'editto del 313 stabilisce infatti che vengano restituiti tutti i luoghi di culto ai cristiani, precedentemente requisiti dal fisco imperiale, e che se alcuni tra quelli erano poi stati alienati dal fisco a favore di privati, sia sotto forma di vendita sia di donazione, vanno recuperati e ricondotti al proprietario originario, la chiesa cattolica. Il vecchio proprietario sarà risarcito e indennizzato dallo Stato. L'editto di Milano, inoltre, si interessa di sostanze che, invece, erano state ignorate in quello di Galerio: i beni generici della chiesa, le proprietà immobiliari non direttamente legate al culto e allo svolgimento delle cerimonie. Anche per questi Licinio e Costantino stabiliscono la restituzione secondo le modalità fissate per i luoghi di culto, ripetendole con estrema precisione nel
relativo capitolo della legge.
Un'altra caratteristica del provvedimento di Milano è la tempestività che viene richiesta per l'applicazione del decreto e il fatto che i vicari delle diocesi imperiali siano investiti dell'esecuzione della legge. Si ripete più volte nel dispositivo che le deliberazioni vanno applicate senza ambiguità e opposizione  (c
itra ullam prorsus ambiguitatem vel controversiam oppure postposita omni frustratione atque ambiguitate) e senza sotterfugi.
Nella lettera al praesidem d'Africa, inoltre, è descritto anche il metodo articolato e scrupoloso con il quale i governatori locali dovranno eseguire il decreto. "
... sarà opportuno che tu diffonda ovunque queste norme, accompagnate da un tuo ordine, e le renda note a tutti, così che questa nostra benevola disposizione non possa restare sconosciuta ...".

3. I prolegomeni dell'editto di Milano

3.1. Da Costanzo Cloro a Ponte Milvio

Già nel 306, il figlio di Costanzo Cloro aveva rinunciato ad assumere e ad adornarsi del titolo di 'erculeo' che gli proveniva da Massimiano. Con ciò, Costantino legò direttamente il suo carisma all'esercito che lo aveva proclamato Augusto e soprattutto alla presunta e immaginata consanguineità con Claudio Gotico, imperatore di circa quarantacinque anni prima. Alla base di questa scelta era, inoltre, una conclamata convinzione solariana tipica e naturale per un illirico figlio di illirici, che era venuto fuori da una genia che a Sol invictus aveva dedicato il suo maggior impegno in campo religioso e le più importanti attenzioni.
Una secca rottura, dunque, con la tradizione di Massimiano e Diocleziano che, invece, avevano fatto della restitutio sacrorum il  cavallo della
loro battaglia politica e istituzionale, oltre che propagandistica e ideologica.
Costantino, sei anni dopo, usciva vincitore a Ponte Milvio contro un altro e analogo adoratore di Sol, Massenzio, tollerante, come lui, verso il cristianesimo e che aveva adottato i medesimi provvedimenti di Costantino, che, sostanzialmente, abrogavano la legislazione persecutoria della tetrarchia nella prefettura italica e africana e, uniti con quelli dell'augusto per le Gallie, in tutta la parte occidentale dell'impero.
A Ponte Milvio si era risolta una contrapposizione personale e politica inestinguibile ma  questa soluzione si era accompagnata con una forte rivelazione carismatica: le anomalie nella luce solare durante la marcia dell'esercito costantiniano, il sogno raccontato a Eusebio e l'universalmente famoso 'in hoc signo vinces'. Sotto questo segno, dunque, il nuovo principe e augusto diverrà davvero principe e augusto.
È innegabile che il nuovo augusto per l'occidente, pur non rinnegando il paganesimo rinnovato della sua tradizione familiare, si avvicinava alla croce e al monogramma di Cristo. Suo padre non aveva amato la persecuzione anticristiana e sappiamo anche che il figlio si affrettò a revocarla per la parte dell'impero che era sotto il suo diretto controllo. E' una simpatia, diciamo pure, che congiunge questi solariani a quel nuovo, e in parte percepito come bizzarro, monoteismo di origine orientale; non è inoltre un fatto recente, un'assoluta novità, comparsa con la famiglia di Costanzo Cloro:  già Aureliano (271 - 275) e ancora prima di quello Gallieno (260 - 268) avevano condiviso questo atteggiamento di moderata e attenta propensione verso la nova religio. Le manifestazioni solari e oniriche che stupiscono Costantino rappresentano, inequivocabilmente, un nuovo evento anche se cammina su piedi sperimentati.

3.2. I precedenti nel dominato illiriciano e solariano

A maggior ragione dobbiamo ricordarci nuovamente di Aureliano, un altro principe solariano. Aureliano sicuramente non nutriva grandi simpatie per il cristianesimo, e anzi, per certi versi, in controtendenza con il suo secolo, recuperò pubblicamente  alcuni elementi del paganesimo tradizionale, segnatamente l'aruspicina, che erano caduti in disuso. Ciò nonostante, l'attività in materia religiosa di questo imperatore, anch'egli illiriciano, forse davvero non casualmente, produsse alcuni interessantissimi precedenti storici ai quali sarebbe stato difficile non fare riferimento e ignorare.
In primo luogo Aureliano favorì l'accostamento di alcune festività ed elementi liturgici tipici della religiosità solare al cristianesimo, avvicinamento forse inconsapevole, ma pregno di evoluzioni future.
Pensiamo soprattutto alla festività 'coincidente' per cristiani e solariani della domenica e, secondo dinamiche un po' più complesse, del dies natalis solis che si celebrava il 25 dicembre in Roma. La prima di queste due tangenze era sicuramente involontaria, riposava nella liturgia di entrambe le confessioni; la seconda, al contrario, fu probabilmente affrettata da parte cristiana.
In secondo luogo abbiamo il caso dell'arbitrato di Aureliano in ordine al conflitto tra Pauliciani e 'ortodossi' in oriente. Ebbene quell'imperatore rimandò la decisione all'episcopio di Roma e di Alessandria e, cioè, disinteressandosi della cosa religiosa che stava alla base della vertenza civile, individuava, dunque, una principalis potestas in alcuni nodi e segmenti organizzativi della nuova religione. Insomma, Aureliano contribuì a costruire, lui solariano convinto, in nome di opportunità squisitamente politiche e di coincidenze liturgiche che le rinforzarono e favorirono, una ortodossia religiosa nel mondo cristiano, ortodossia espressa e stabilita dai pronunciamenti di alcune sedi episcopali. Fu un passo notevole.
Costantino, dunque, aveva dietro di sé questi tre esempi 'solariani' (suo padre Costanzo e i suoi non immediati precedenti all'impero, Gallieno e Aureliano) in base ai quali poteva, con tranquillità, ritenere la presenza cristiana come perfettamente compatibile con l'impero, proprio perché strutturata in modo gerarchico e sufficientemente ordinata fino al punto di potere offrire una sana sponda e dei sicuri referenti nelle relazioni con quella religione.
Il cristianesimo, che aveva goduto una piena e pubblica legalità insieme con un riconoscimento ufficiale dal 268 al 303, non poteva essere più considerato come una illicita religio, e offriva, al contempo, una struttura organizzata e ordinata con la quale relazionarsi, un aspetto tranquilizzante. Certamente, però, la forma organizzativa gerarchica ed ecumenica delle comunità cattoliche era una novità che inquietava e preoccupava e che proponeva a parte del mondo politico romano diffidenza e intenti persecutori; Costantino sarà, al contrario, l'uomo politico che individuò proprio nella struttura organizzata delle comunità cristiane un elemento di stabilità, una possibilità di controllo del movimento confessionale e un'incredibile arma istituzionale.

4. La contemporaneità dell'editto

4.1. In hoc signo

Ci domandiamo con quale mentalità Costantino si stava accostando, in verità con molta cautela politica e numerose intime e personali indecisioni, alla nuova religione.
Qui dobbiamo fare riferimento a un altro principe del secolo precedente: Filippo l'arabo, imperatore dal 244 al 249.
Anche se è un fatto poco noto, anzi quasi sconosciuto, Filippo è stato il primo cristiano a reggere lo Stato imperiale, un cristiano che, però, governò l'impero in nome del carisma tradizionale, di Roma Aeterna, di Roma tradizionalista e pagana. La sua professione di fede rimase rigorosamente confinata all'ambito del privato e quando si trattava della solennità o della salvezza dello Stato, in una parola dell'amministrazione e delle istituzioni, il cristiano Filippo faceva riferimento agli dei e ai valori tradizionali.
Costantino, invece, non era cristiano, come Filippo, né prima di divenire imperatore né quando prese la porpora e neppure quando la mantenne: Costantino era un convinto adoratore di Sol invictus e divenne imperatore salvando, dal suo punto di vista, l'impero perché, lungi dal convertirsi, aveva, però, strumentalmente accettato e adottato il segno apotropaico cristiano, il famoso monogramma di Cristo. Quindi, dobbiamo ritornare allo storico in hoc signo vinces, al suo 'uso' in Costantino e al suo significato per Costantino.
Il vescovo Eusebio, biografo e confessore dell'imperatore, rivela, forse con una certa esagerazione ma un'indubbia e importantissima sincerità dal punto di vista dell'analisi storica, che Costantino non si rese immediatamente conto della natura religiosa del 'segno' che la visione gli aveva proposto e che dubbi intorno a una sua eventuale origine solare rimasero nel principe per molto tempo.
Al di là della probabile esagerazione di Eusebio, questa indecisione registra una situazione di fatto: Costantino, solariano convinto, di dinastia solariana, forse non faticò molto a riconoscere la natura e il significato del segno che gli veniva proposto, ma non lo ritenne motivo sufficiente per una conversione immediata. Una divinità amica, in qualche modo analoga a quella della sua tradizione familiare e simile nell'impostazione teologica (anche i solariani, infatti, erano monoteisti), lo soccorreva con un'immagine protettrice; egli, allora, adotterà quell'immagine, quell'effige per affrontare la guerra contro Massenzio, poiché, essendo in gioco il bene dello stato, era 'tatticamente' necessario curare questa alleanza divina.

4.2. Costantino il pagano


Il solariano Costantino si avvicina al cristianesimo con la tipica mentalità pagana, per la quale l'alleanza con il divino è indispensabile alla felice direzione della cosa pubblica. Dopo Ponte Milvio, conseguentemente, Costantino onorò questo summus deus che gli aveva consentito di raggiungere la vittoria e, giacché al centro delle sue preoccupazioni era, pure, la salute dell'impero, ritenne fondamentale che da nessuna parte dentro di quello quella suprema e potentissima divinità fosse oltraggiata. Non si trattava, però, del bene del cristianesimo e dei cristiani in quanto tali, ma, secondo l'antichissima mentalità pagana, del bene stesso dello Stato che era stato aiutato da quella particolare entità divina per risolvere la guerra intestina nel migliore dei modi e quindi si trovava in debito verso quella.
Costantino non si convertì mai al cristianesimo o meglio si convertì solo all'estremo limite della sua vita, decidendosi a ricevere il battesimo, e proprio dalle mani del suo biografo Eusebio, in punto di morte e questo è illuminante in relazione a ciò che fino a ora è stato scritto,
A questo proposito conviene ritornare al paragone tra Filippo e Costantino. Filippo era cristiano per intima convinzione giacché era nato in una regione, l'Arabia, ove la nuova religione era diffusissima, ed era uscito dai ranghi di una famiglia che da qualche generazione praticava quella confessione, ma quando assurse all'impero rispettò la religione ufficiale e la ossequiò, non facendo menzione della sua privata professione di fede. È come se, per lui, i piani del divino fossero doppi e paralleli: una religione pubblica e tradizionale, volta a garantire la salvezza dello Stato attraverso liturgie e riti ben radicati e un piano privato, ininfluente rispetto a quello pubblico, un piano 'viscerale' e sciolto da ogni 'strumentalismo' politico.
Al contrario, per Costantino il piano del divino è unico, ed è quello pubblico e dotato di valenze politiche: la rivelazione che egli ha sperimentato possiede, necessariamente, un portato 'strumentale' e porta con sé un'alleanza con il dio. Per meglio chiarire questo concetto, questa idea tutta pagana, del portato politico e pubblico della religione, riportiamo un brano della lettera di Costantino a Anulino, proconsole d'Africa, lettera scritta subito dopo Ponte Milvio e cioè a dire nell'inverno del 312; il nuovo imperatore per l'occidente chiede al suo collaboratore che vengano risarcite le comunità cristiane dei danni subiti durante la persecuzione, ma non solo, chiede che vengano stanziati dei fondi statali al fine di finanziarie le opere di culto dei cristiani e il locale episcopio e aggiunge "... Infatti, se essi venerano sommamente Dio, vantaggi immensi giungeranno pure agli affari pubblici". Tutto ciò ricorda molto da vicino il quaedammodum illic Deus colatur di Alessandro Severo e cioè l'idea non tanto di un impero cristiano, quanto di un impero nel quale il dio dei cristiani collabora alla sua direzione e salvezza.
Questa linea di pensiero, però, porterà gradualmente il nuovo principe a identificare in Cristo la salvezza e salute dell'impero e cioè, con vero paradosso, i presupposti della mentalità pagana, nel principe, si volgeranno verso il risultato di un potenziale integralismo cristiano. Bisognerà, però, attendere i provvedimenti contro l'aruspicina privata del 319 e la scomparsa di ogni riferimento al culto solare dopo il 327, per vedere disegnato l'inizio di questa parabola, che avrà un tracciato lungo e che incontrerà, tra le altre cose, notevoli ostacoli sul suo itinerario.
Uno dei primi di questi sarà Licinio, l'imperatore per l'oriente.

5.  La geografia dell'Editto

5.1. L'oriente

Licinio era un pagano di formazione tradizionale; ciononostante la persecuzione era terminata in gran parte del suo oriente, quantomeno nell'illirico, dove, nel 311 e giunto quasi in punto di morte, Galerio aveva emesso l'editto di Serdica con il quale dichiarava finita quella terrificante stagione politica. Certamente, però, l'oriente rimaneva più incline a mantenere vive censure, restrizioni e divieti contro i Cristiani; ci sono, infatti, buoni indizi per ritenere che l'altro Augusto dell'Oriente, Massimino Daia, nella Siria, Egitto e Anatolia che direttamente governava, abbia mantenuto in piedi i processi persecutori, nonostante l'editto di Serdica.
Il fatto è che, in oriente, la presenza cristiana era vissuta come problema sotto molteplici aspetti.
In primo luogo per il profilo politico: da una parte le eresie pauliciane, che si erano diffuse nel secolo precedente, avevano dato respiro ideologico a un certo autonomismo siriaco, dall'altra parte alcune eresie e tendenze radicali tra i cristiani soffiavano sul fuoco dell'autonomismo egiziano, esattamente come, sempre nel secolo precedente, aveva fatto in quell'area il manicheismo.
Esisteva, però, anche un aspetto quantitativo che, ulteriormente, spaventava in oriente: la geografia della diffusione del cristianesimo, infatti, non disegna un quadro omogeneo.
Nella prefettura illiriciana la Dalmazia è probabilmente incontaminata dalla predicazione dei cristiani; Mesia, Pannonia e Macedonia sono cristiane 'ai minimi termini' o in quantità rilevanti ma sicuramente non tali da definire una maggioranza. Già nell'estremo meridione della prefettura la geografia cambia: la Tracia meridionale e la Grecia presentano una situazione di forte cristianizzazione, forse la metà della popolazione ha abbracciato la nuova fede.
Se, poi, attraversiamo il Bosforo la situazione cambia ancora più radicalmente, giacché entriamo in una regione a maggioranza cristiana. Nella prefettura dell'oriente, infatti, le province di Bitinia, Ponto, Cappadocia, Cilicia e Armenia sono cristianizzate: quasi certamente più della metà della popolazione attiva religiosamente pratica questa religione; questo è un processo che riguarda l'altopiano anatolico nel suo complesso fin dai tempi della lettera di Plinio il giovane di duecento anni prima (contagio pervagata est, scriveva il figlio del geografo).
Se si passa in Siria, la situazione per i pagani non migliora e anche se la densità religiosa dei cristiani diminuisce il loro proselitismo è notevole; l'Egitto è un anomalia dentro l'anomalia, avendo costituito una vera avanguardia storica nella diffusione del verbo di Cristo: pare che già nella seconda metà del II secolo quasi la metà della popolazione si fosse convertita al cristianesimo e ora, nella prima metà del IV secolo, circa quattro egiziani su cinque erano cristiani.
Ciò che in occidente è eccezione, in oriente è ordinarietà.


5.2. L'occidente

In occidente la nuova religione è quasi del tutto ignorata in gran parte delle Gallie, soprattutto nella Belgica, nella parte settentrionale della Lugdunense e nell'Aquitania, sconosciuta in Rezia, nel Norico e nella parte più occidentale della Spagna. Diffusione molto meno blanda ma comunque assolutamente minoritaria, sempre nella parte occidentale dell'impero, il cristianesimo la conosce in Italia, soprattutto quella centro - meridionale e insulare, nella Gallia Narborense, nella Spagna Tarraconense e
nel meridione della Gallia Lugdunense dove a Lione la presenza di una radicata comunità cristiana è testimoniata fin dalla seconda metà del II secolo.
Ci sono, però, alcune aree limitate dove il pensiero cristiano ha ottenuto, anche nell'occidente romano, numerosi proseliti e forse la metà della popolazione attiva religiosamente ha abbracciato questa confessione: si tratta dell'area di Cartagine e dell'Africa proconsolare, della Spagna Betica e di buona parte della costa sud orientale della penisola iberica, fino a risalire alle città commerciali dell'odierna Provenza. Sacche di simile diffusione sono testimoniate in Puglia e nella Sicilia settentrionale. Si tratta, però, di aree anche importanti ma limitate: il mondo pagano ha in occidente la maggioranza e in forma schiacciante.
 
6. Licinio e Costantino

6.1. Le doti e la situazione di Costantino

Dal punto di vista del paganesimo tradizionale, del rispetto al quale veniva ancorata, va ripetuto fino alla nausea, la salvezza dello Stato, il fenomeno in oriente aveva assunto una dimensione preoccupante. I timori panici delle, oramai, minoranze pagane si riflettevano sulle classi dirigenti e si mettevano in moto processi epurativi quantomeno nelle file dell'esercito e dell'amministrazione, come ben veduto per i tempi di Valeriano e Diocleziano. A questo si aggiunse e si unisce il timore di Galerio, Massimino e Diocleziano, che era un timore di natura politica e non del tutto infondato; questo timore si basava sulla preoccupazione di non riuscire a governare la situazione e sullo spavento provocato da alcuni atteggiamenti estremistici di una parte del movimento cristiano. In generale, preoccupavano  le conseguenze sociali, istituzionali, militari e anche superstiziose di questa diserzione di massa dalla tradizione pagana.
Costantino poteva, dall'occidente, osservare la situazione con occhio più calmo e tale distacco gli farà immediatamente discernere nella formazione di una chiesa ortodossa, adversus scismatici et haereticos (che fosse schierata, cioè, contro le piccole sette intransigenti e gnostiche), uno degli strumenti più sicuri per il controllo e la regolazione di atteggiamenti radicali che, incarnati da montanisti e da donatisti, in Africa erano fortemente diffusi. Costantino ebbe il coraggio che procura la distanza dal problema e fu l'unico tra i suoi colleghi all'impero ad avere la sufficiente abilità e carisma militare e dinastico per affrontarlo.

6.2. Primo e ultimo passo

Ed è così che l'augusto dell'occidente chiamò a sé Licinio, che al momento controllava l'illirico, e lo invitò a Milano. In verità con Licinio erano stati abboccamenti precedenti poiché tutta la campagna contro Massenzio si realizzò anche grazie alla neutralità del collega dell'Illirico. In ogni caso, nel febbraio del 313 avvenne il loro incontro in Milano e quasi sicuramente Licinio agì contro la volontà o all'insaputa del collega per l'oriente, Massimino Daia.
Dal trattato o accordo stabilito
nel febbraio 313 in Milano tra l'augusto per l'occidente, Costantino, e l'augusto per l'oriente, Licinio, si può scrivere con facilità  che non ci troviamo di fronte a un editto a favore dei cristiani, ma a un editto di tolleranza generale, che prescrive una libertà religiosa assoluta, al fine di garantire la sicurezza 'teologica' e 'superstiziosa' dello stato. In parte è vero, anche se i riferimenti ai cristiani sono così stringenti che è certo che Costantino abbia inteso liberare l'impero tutto, e dunque anche la parte di Licinio, da quell'empietà verso il suo dio di vittoria. E se Licinio, da buon pagano, interpreterà l'editto e lo sottoscriverà come una legge di chiara e conclamata libertà di professione religiosa e di ritorno alla situazione precedente la persecuzione ordinata da Diocleziano nel 303, la firma di  Costantino possedeva  tutt'altra grafia: una scrittura questa già anticipata dalla lettera al praesidem d'Africa Anulino di qualche mese prima, secondo la quale la chiesa cristiana doveva usufruire del finanziamento dello stato e godere di immunità fiscali, esattamente come era avvenuto e continuava ad accadere per le istituzioni tradizionali del paganesimo.
Per Costantino l'editto fu un 'primo passo', per Licinio l'editto era l'ultimo e l'estremo.

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