L'editto di Serdica (311)


1. La pubblicazione

L’editto fu redatto a Serdica (presso l'attuale sito di Sofia) e pubblicato il 30 aprile del 311 a Nicomedia; venne molto presto diffuso e distribuito, come stabilito dal suo stesso dispositivo, attraverso lettere ai governatori periferici in tutte le città della parte dell'impero sotto la competenza di Galerio, sostanzialmente i Balcani romani, ovvero la prefettura dell'Illirico.
Una copia dell'editto venne inviata anche al secondo augusto per l'oriente, Massimino Daia, che lo riprese, mutilandone alcuni passi, e lo applicò blandamente, limitandone l'esecuzione solo all'Asia minore e non estendendola a Siria, Palestina ed Egitto che pure facevano parte della prefettura di sua competenza. Massimino, poi, riprese l'azione persecutoria verso i cristiani, già nell'autunno dello stesso anno.
Il testo latino dell’editto ci è stato tramandato da Lattanzio che parte dalla pubblicazione di Nicomedia. Dopo di lui Eusebio tradusse il testo dell'editto in greco. Particolare di non secondaria importanza, le fonti per la conoscenza del provvedimento sono  cristiane, gli autori e storici pagani lo ignorano e non ne fanno menzione. Non è molto facile spiegare questo silenzio, che può essere anche casuale o che potrebbe dipendere dal fatto che un editto emesso dall'imperatore quasi in punto di morte non venne considerato interessante politicamente. Infine non è del tutto fuori di luogo ipotizzare una censura contro questa intrapresa di Galerio che tra i tetrarchi era stato fino ad allora, insieme con Massimino Daia,  zelante persecutore, convinto difensore della tradizione religiosa pagana e capitolina e coerente prosecutore dell'azione in materia principiata da Diocleziano. Il ravvedimento di Galerio comportava l'ammissione di una sconfitta politica e, in effetti, lo era.

2. La redazione

Sulla redazione dell'editto di Galerio e il suo significato non c'è uniformità di vedute.
Secondo alcuni, il redattore del provvedimento fu Galerio, ma sotto diretta ispirazione del suo collega e tetrarca Costantino e dunque fu un'opera a due mani. Costantino, infatti, che governava le Gallie, aveva da molti anni abbandonato la lettera dei decreti anti cristiani emessi dalla tetrarchia nel 303 e aveva rinforzato il suo legame con il paganesimo rinnovato e con la mitologia di Apollo - Sol invictus. Il giovane tetrarca, l'anno precedente l'emissione dell'editto di Serdica, aveva addirittura, secondo la tradizione, subito una manifestazione solare e incontrato Apollo. La politica e l'inclinazione religiosa di Costantino, quindi, si discostava nettamente da quella di Galerio e, probabilmente, era in contrapposizione pubblica con quella.  La potenza di Costantino, però, nel 311 non poteva essere tale da intimidire il collega, che tra le altre cose apparteneva alla tetrarchia storica e originaria. In quel momento, inoltre, l'augusto delle Gallie aveva un chiaro antagonista in occidente, Massenzio, anch'egli tollerante verso il cristianesimo, e Licinio e Massimino Daia, oltre a Galerio medesimo, come ulteriori colleghi e competitori in oriente.
Per quanto riguarda il suo significato c'è chi ritiene che il provvedimento originò dalla volontà di Galerio, tenendo dietro alle superstizioni dell'epoca, di chiamare i cristiani alla cura della sua salute, minacciata da una grave e dolorosa malattia. In questo caso si trattò di un'intrapresa originale ma nel solco della tradizione superstiziosa pagana.
Altri ritengono che alla base dell'editto fu una valutazione carismatica personale di Galerio: il desiderio di rinforzare la sua immagine e di includere il dio dei cristiani nel corteo di forze divine a suo sostegno, dopo quasi un decennio di persecuzioni. Questo desiderio si configurò anche attraverso valutazioni di opportunità politica, in base alle quali il cristianesimo diveniva un sostegno di natura nuova, particolare ed eccezionale al carisma tradizionale dell'impero.

3. La lettura fatta in Serdica degli editti precedenti

Il preambolo dell'editto testimonia, inequivocabilmente, due cose: l'inutilità dei precedenti persecutori, che non avevano ottenuto lo scopo di riportare i cristiani alla religione tradizionale e l'estrema radicalità degli editti del 303 - 304.
La radicalità è testimoniata quando si scrive, secondo Lattanzio " ... ut denuo sint Christiani et conventicula sua componant, ..." e cioè che nuovamente possano essere cristiani e ricostruiscano i loro luoghi di riunione, segno inequivocabile del fatto che, dopo il 303, era illegale anche la professione di fede e la confessione privata del cristianesimo e che i luoghi di culto erano stati requisiti e, spesso, distrutti. Inoltre oltre alla distruzione delle chiese si era provveduto a comminare numerose condanne capitali, " ... multi periculo subiugati, multi etiam deturbati sunt ... " ' ... molti sottoposti alle minacce di vita, molti anche giustiziati ... '.
L'inutilità viene sinteticamente denunciata quanto si dichiara che  " ... atque cum plurimi in proposito perseverarent ... " e cioè che la maggioranza dei cristiani aveva conservato le proprie convinzioni, nonostante tutte le persecuzioni, vessazioni, espropri e condanne subite.  Quindi Galerio denuncia soprattutto un fallimento politico e sulla base di quello motiva l'abrogazione del provvedimento deciso otto anni prima insieme con Diocleziano, Massimiano e Costanzo Cloro. 

4. Le motivazioni dell'editto

Il preambolo dell'editto manifesta anche chiaramente che l'opera legislativa di Galerio ha un'origine esclusivamente politica; il principale augusto per l'oriente romano sospese la persecuzione perché inopportuna e non certo perché ingiusta. Non sono un principio morale e una considerazione di inammissibilità giuridica a motivare l'emissione dell'editto, ma una valutazione di opportunità politica, tra l'altro esposta con chiarezza e senza pudori nel testo della legge.
Gli editti del 303 erano annullati ma, secondo Galerio, erano stati scritti
nell'interesse e per il bene dello stato, " ... pro rei publicae semper commodis atque utilitate ...", che è e continua a rimanere il rispetto delle antiche leggi e delle istituzioni romane " ... leges veteres et publicam disciplinam Romanorum ...". La nuovamente intervenuta tolleranza e il riconoscimento legale sono, esclusivamente, il risultato dall'ostinazione dei cristiani che hanno resistito alla persecuzione; questa resistenza viene comunque connotata negativamente; si scrive, infatti, nell'editto che " ... siquidem quadam ratione tanta eosdem Christianos voluntas invasisset et tanta stultitia occupasset, ut non illa veterum instituta sequerentur ... ". La resistenza dei cristiani, che pure ha provocato l'abrogazione, stabilita dall'editto, delle leggi persecutorie è comunque considerata come prodotto di ostinazione, testardaggine e follia.
Tradotto in linguaggio colloquiale, Galerio afferma che i cristiani sono un problema politico irrisolvibile, a causa della loro irriducibilità a parte della tradizione romana, a causa della loro ostinazione e, soprattutto, a causa del loro proselitismo e diffusione. Nel 303, dunque, non si commise un'azione moralmente riprovevole, ma solo un grave errore politico, dal quale si poteva uscire o abiurandolo o portandolo alla conseguenza estrema dello sterminio delle comunità cristiana.
L'utilitarismo politico delle motivazioni del decreto viene occultato con un generico riferimento alla 'mitissimae nostrae clementiae intuentes', all'ispirazione che proviene dalla clemenza imperiale, a una sorta di atto filantropico. Ipocrisia notevole questa, poiché la mitissima clementia, per altre valutazioni di opportunità politica, non si occupò di abrogare le leggi persecutorie contro i Manichei, emesse dai tetrarchi nel 297.

5. Serdica e Milano

Alcuni hanno sottolineato che l'editto di Galerio è un'anticipazione lineare di quello di Milano del 313. In verità la parentela è superficiale: i provvedimenti si assomigliano ma non sono imparentati.
Il provvedimento di Serdica si rivolge esclusivamente ai cristiani e manifesta in questa sua dichiarata precisione e limitazione un'eccezionalità, una deroga alle normali regole imposte dalla tradizione che, comunque, va ancora rispettata. L'editto di Milano si presenterà, anche se in realtà non lo sarà affatto, come una legge di tolleranza religiosa generale e quindi come un rinnovamento complessivo della tradizione romana in materia religiosa. Costantino e il collega Licinio adottarono una nuova visione secondo la quale ogni religione aveva diritto di cittadinanza ed erano convinti che da questa tolleranza generale sarebbero derivati vantaggi politici e carismatici per l'impero. L'ottica di Galerio è meno coraggiosa e non preannuncia una ideologia generale in materia.
Le conseguenze dei due editti furono comunque analoghe: si tornò alle vedute in questo campo di Gallieno. L'editto di Galerio, però, è più mirato ma ancora una volta meno strategico sotto il profilo storico: unde iuxta hanc indulgentiam nostram debebunt deum suum orare pro salute nostra et rei publicae ac sua, scrive l'imperatore. Quindi i cristiani hanno l'obbligo di pregare per la salute dell'impero e del principe, precisamente come fanno i pagani; questo è un dovere civile che non può essere aggirato e solo così operando, cioè manifestando apertamente il loro sostegno all'impero, potranno vivere tranquilli nelle loro case (undique versum res publica praestetur incolumis et securi vivere in sedibus suis possint). È importantissima la precisazione di Galerio, quando scrive deum suum orare, perché associa la liturgia cristiana a tutte le liturgie pagane che possiedono un valore salvifico per l'impero: sarà dunque possibile per i cristiani partecipare, a loro modo e rispettando la loro confessione e le loro cerimonie, alla salute dell'impero.
Questa idea, in verità, sarà ripresa, ma inserita in una valorizzazione più ampia, anche nell'editto di Milano.

6. Il successo dell'editto

Galerio si propose di applicare l'editto in maniera rapida, efficace e articolata e scrive, infatti, che sarebbero state inviate delle disposizioni scritte in proposito ai governatori locali: alia autem epistola iudicibus significaturi sumus quid debeant observare. La sua legge avrebbe dovuto avere conseguenze per tutto l'impero.
Non accadde affatto.
Un dato che è indicativo di quanto il provvedimento di Serdica sia il risultato di una riflessione e valutazione personale dell'augusto per l'Illirico è costituita dalla limitazione geografica dei suoi effetti. Massimino Daia, nella prefettura dell'oriente, lo cassò quasi subito; Massenzio e Costantino, in occidente, lo ignorarono.
L'editto dell'aprile 311,  per la formale, anche se fittizia, principalis potestas di Galerio sugli altri tetrarchi avrebbe dovuto essere esportato e applicato in tutto l'impero, ma ebbe effetti solo nei Balcani. I colleghi all'impero non ne riconobbero la validità, pur partendo da considerazioni opposte.
Per Massimino Daia la persecuzione era ancora opportuna politicamente e poteva venire ancora utilmente usata nel confronto con gli augusti antagonisti che si erano elevati in occidente, oltre che confortare la sua personale inclinazione religiosa; mentre per Massenzio e Costantino l'abrogazione degli editti del 303 compiuta alla maniera di Galerio era inadeguata e tardiva. In verità i due tetrarchi dell'occidente si erano spinti molto più avanti nella riabilitazione delle comunità cristiane, prevedendo non solo la libertà della professione di fede ma anche la restituzione dei beni requisiti alla chiesa, senza, però, pensare necessaria l'emissione di una legge generale in materia.
L'editto di Galerio
non ebbe, dunque, per i contemporanei un grande impatto, tranne, ovviamente, per le chiese dell'illirico, anche se fu, dopo quello emesso da Gallieno intorno al 260, il primo provvedimento generale di legalizzazione della confessione di fede cristiana e della sua organizzazione.

7. Testo latino

Inter cetera quae pro rei publicae semper commodis atque utilitate disponimus, nos quidem volueramus antehac iuxta leges veteres et publicam disciplinam Romanorum cuncta corrigere atque id providere, ut etiam Christiani, qui parentum suorum reliquerant sectam, ad bonas mentes redirent, siquidem quadam ratione tanta eosdem Christianos voluntas invasisset et tanta stultitia occupasset, ut non illa veterum instituta sequerentur, quae forsitan primum parentes eorundem constituerant, sed pro arbitrio suo atque ut isdem erat libitum, ita sibimet leges facerent quas observarent, et per diversa varios populos congregarent. Denique cum eiusmodi nostra iussio extitisset, ut ad veterum se instituta conferrent, multi periculo subiugati, multi etiam deturbati sunt. Atque cum plurimi in proposito perseverarent ac videremus nec diis eosdem cultum ac religionem debitam exhibere nec Christianorum deum observare, contemplationem mitissimae nostrae clementiae intuentes et consuetudinem sempiternam, qua solemus cunctis hominibus veniam indulgere, promptissimam in his quoque indulgentiam nostram credidimus porrigendam, ut denuo sint Christiani et conventicula sua componant, ita ut ne quid contra disciplinam agant. Alia autem epistola iudicibus significaturi sumus quid debeant observare. Unde iuxta hanc indulgentiam nostram debebunt deum suum orare pro salute nostra et rei publicae ac sua, ut undique versum res publica praestetur incolumis et securi vivere in sedibus suis possint. Hoc edictum proponitur Nicomediae pridie Kalendas Maias ipso octies et Maximino iterum consulibus. 

(Reperita in  http://www.treccani.it/enciclopedia/il-311-l-editto-di-serdica_(Enciclopedia_Costantiniana)/. Chiave di ricerca google: Editto di Galerio, Riferimento fonte; Lact., mort. pers. 34-35,1)

8. Testo tradotto 

Tra tutte le disposizioni che abbiamo preso nell’interesse e per il bene dello Stato, in primo luogo abbiamo voluto restaurare ogni cosa secondo le antiche leggi e le istituzioni romane, e fare in modo che anche i cristiani, che avevano abbandonato la religione degli antenati, ritornassero a sani propositi.
Ma, per varie ragioni, i cristiani erano stati colpiti da una tale ostinazione e da una tale follia che non vollero più seguire le tradizioni degli antichi, istituite forse dai loro stessi antenati[3]. Essi adottarono a loro arbitrio, secondo il proprio intendimento, delle leggi che osservavano strettamente e riunirono folle di persone di ogni genere in vari luoghi.
Perciò quando noi promulgammo un editto con il quale si ingiungeva loro di conformarsi agli usi degli antenati, molti sono stati perseguiti, molti sono stati anche messi a morte. Ciononostante, la maggior parte di loro persisteva nel proprio convincimento.
Considerando la nostra benevolenza e la consuetudine per la quale siamo soliti accordare il perdono a tutti, abbiamo ritenuto di estendere la nostra clemenza anche al loro caso, e senza ritardo alcuno, affinché vi siano di nuovo dei cristiani e [affinché] si ricostruiscano gli edifici nei quali erano soliti riunirsi, a condizione che essi non si abbandonino ad azioni contrarie all’ordine costituito.
Con altro documento[4] daremo istruzioni ai governatori su ciò che dovranno osservare. Perciò, in conformità con questo nostro perdono, i cristiani dovranno pregare il loro dio per la nostra salute, quella dello Stato, e di loro stessi, in modo che l’integrità dello Stato sia ristabilita dappertutto ed essi possano condurre una vita pacifica nelle loro case. 

(Reperita in https://it.wikipedia.org/wiki/Editto_di_Serdica. Chiave di ricerca google: Editto di Galerio) 

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