1. L'editto di Settimio: un
fantasma giuridico
Per molto tempo si è ritenuto che sotto Settimo Severo,
imperatore dal 193 al 211, fosse stato emanato un editto, intorno al 199
/ 200, di persecuzione generalizzata contro i Cristiani. Questa
convinzione è nata dalla comparazione e congiunzione di diverse notizie.
In primo luogo l'Historia Augusta secondo la quale Settimio in
un viaggio in Palestina nel 199, emise un provvedimento generale,
da intendersi come un editto secondo il quale Palaestinis plurima
iura fundavit. Iudaeos fieri sub gravi poena vetuit. Idem de
Christianos sanxit. Settimio, quindi, secondo questa notizia,
vietò il proselitismo tanto ebraico quanto cristiano. La notizia è
confermata da fonti posteriori, come Eusebio e altri autori cristiani
più tardi. A confortare l'idea di un editto generalizzato sono, in
effetti, anche le numerose testimonianze di episodi persecutori in
Africa, segnatamente in Egitto e a Cartagine. La presenza, inoltre, di
un gran numero di catacumeni tra gli inquisiti, confermebbe questa
ipotesi.
Settimio Severo sarebbe stato, derogando allo spirito degli Antonini e
di Commodo, intollerante verso il movimento cristiano e avrebbe inteso
colpirne soprattutto la diffusione. Molte cose concorrono a mettere in
discussione questa visione, anche se l'epoca di Settimio, come molte
altre prima e dopo di lui, fu percorsa da gravi nervosismi che, però,
come vedremo, si manifestarono a livello locale, seguendo provvedimenti
circoscritti e non generali.
Innanzitutto la datazione di tutte queste fonti che sono tutte più
tarde, del IV secolo. Di autenticamente coevo al governo di Settimio ci
sono le testimonianze di Dione Cassio ed Erodiano, per quanto riguarda
la storiografia ufficiale e pagana, e Ippolito, Tertulliano e Clemente
alessandrino, per quanto riguarda i cristiani. Nessuno di questi ultimi
autori fa menzione di un editto. L'unico elemento che viene sottolineato
dai contemporanei, come dai redattori di opere più tarde, è il fatto che
vennero inquisiti un gran numero di catecumeni e quindi, indirettamente,
il fieri usato nell'Historia Augusta
renderebbe
plausibile l'idea di una persecuzione generalizzata. Anche questo non
prova affatto un editto generale, ma, al contrario, semmai, un
provvedimento rivolto contro le nuove conversioni tra Giudei e
Cristiani.
Due cose: la religione giudaica era, tolta la parentesi di Adriano (117
- 141), dai tempi di Augusto una religione perfettamente licita
e lo rimase sia sotto Antonino, che ritirò il provvedimento del
precedente, sia con Settimio che onorò con l'edificazione di numerosi
luoghi di culto ebraici la Galileia, mentre il cristianesimo, dopo
Nerone, era una religione illicita, l'adesione alla quale se
scoperta, conclamata e non abiurata comportava la pena di morte. Anche
se l'Historia Augusta confonde, probabilmente, il governo di
Adriano con quello di Settimio in materia, un tale provvedimento avrebbe
senso solo per gli Ebrei che, rimanendo una licita religio,
avrebbero potuto legittimamente essere sottoposti al divieto di
proselitismo, non davvero l' idem de Christianos sanxit. I
cristiani, infatti, a meno di non ipotizzare una legge di legalizzazione
sotto Commodo (che non sarebbe del tutto improbabile ma della quale non
si ha alcuna notizia), rimanevano una religione illegale, in qualsiasi
condizione: erano fuori legge, lo ribadiamo solo se denunciati con prove
circostanziate e attraverso esposti pubblici e controfirmati, sia i
nuovi adepti (i catecumeni), sia gli aderenti dalla nascita o per
tradizione familiare.
La confusione della Historia Augusta a proposito di entrambe
le confessioni, confusione non nuova in molte interpretazioni
dell'epoca, induce a ridurre il credito e il valore di questa
testimonianza storiografica: un solo dubbio questo sicuramente fallace
brano lo origina, vale a dire che i cristiani abbiano goduto nell'ultima
età antonina di un'equiparazione, e in positivo, con la comunità
ebraica. In ogni caso l'ipotesi dell'emissione di un editto generale
contro i cristiani sotto Settimio esce davvero molto indebolito. Quasi
sicuramente non ci fu editto e non ci fu persecuzione generalizzata.
Le fonti hanno messo insieme e unito notizie diverse per costruire
l'affresco di un provvedimento di Settimio e notizie, a parte il passo
dell'Historia, ce ne sono.
2. Persecuzioni locali
Si verificarono processi e condanne capitali ad
Alessandria, tra il 201 e il 202 e poi dopo il 206 fino al 210, e in
Cartagine, intorno al 202. La frammentazione e limitazione temporale del
fenomeno e i suoi confini geografici testimoniano ancora di più
dell'assenza di un editto. In Egitto la persecuzione appare legata alla
carica del prefetto Minucio Leto, non se ne hanno notizie durante la
reggenza del suo successore, Claudio Giuliano, e riprende con la nuova
prefettura di Subaziano Aquila. In Cartagine i martiri, tra i quali
celeberrimi per la letteratura agiografica quelli di Perpetua e
Felicita, sono tutti databili al 202 / 203. Non solo ma un viaggio di
Settimio in Africa, avvenuto nel 203, è da mettersi in relazione con la
fine del processo persecutorio in Cartagine e con un intervento diretto
del principe affinché la ricerca d'ufficio e gli arresti indiscriminati,
dei quali si era reso protagonista il governatore locale, cessassero.
Poco davvero rimane di generale e genericamente diffuso in questa
persecuzione.
3. Un pretesto locale
Poco sappiamo dell'origine della persecuzione in Egitto,
ad opera di Municio Leto, e della chiusura della scuola teologica di
Alessandria avvenuta sotto la sua prefettura, sappiamo, però, che sotto
il suo successore, Claudio Giuliano, la scuola riaprì e il celeberrimo
Origine riprese le sue lezioni; potrebbe, comunque, essere la medesima
della provincia d'Africa.
Settimio Severo era di Leptis Magna, vale a dire era un
africano, era nato lì e la sua famiglia aveva in quella provincia le sue
radici. L'orgoglio nazionalista africano aveva in lui, certamente, un
punto di riferimento: un africano era giunto all'impero e alla massima
carica istituzionale.
Proprio nel 202 si celebrarono tanto i decennalia, cioè le
feste per il decimo anniversario del principato di Settimio, quanto i
festeggiamenti per le nozze di suo figlio primogenito, Caracalla. I
pagani accorsero, come al solito, alle celebrazioni che aveno un aspetto
oltre che civile religioso; quasi sicuramente la partecipazione pagana
nelle province africane, Egitto e Africa proconsolare, dovette essere
particolarmente sentita. Emersero, a questo punto, elementi
riconducibili alla mentalità diffusa tra le masse urbane e variabili
personalistiche.
A Cartagine come ad Alessandria, le folle pagane non poterono non
annotare l'usuale diserzione della comunità cristiana dalle feste,
mentre alcuni magistrati locali, particolarmente avversi al
cristianesimo, zelanti e probabilmente desiderosi di mostrarsi
rispettosi del carisma dell'imperatore in carica, non furono sordi ai
malumori della folla e alle numerose denunce contro i cristiani, che per
il loro comportamento erano equiparabili a dei 'senza dio'. Dall'altra
parte per molti cristiani i rigori del processo persecutorio e il
martirio non facevano che rinforzare al loro interno le correnti
più radicali e intransigenti, i montanisti, che estremizzarono il loro
rifiuto di aderire a qualsiasi manifestazione di lealismo verso le
istituzioni civili e militari romane. Ma anche tra i rigoristi, anche
nelle loro denunce, l'imperatore appare estraneo alla persecuzione;
Ippolito, che pure era vicino ai montanisti, nel suo commento a
Daniele, descrive la persecuzione del 202 come il prodotto dei
suoi 'satrapi' e non espressione diretta della volontà di Settimio.
In effetti e in molti casi, Settimio intervenne personalmente e con
azioni volte ad personam per salvare i cristiani dalla
condanna e decretarne la liberazione.
4. La normalizzazione
Passata la stretta repressiva e i torbidi locali del 202 /
203 che in Egitto, nonostante una lunga interruzione, andranno avanti
fino al 210, però, il quadro che si delinea è quello di una sostanziale
pacificazione, quasi concordataria. Il montanismo rimane, ovviamente, un
problema nello scongelamento delle relazioni tra movimento cristiano e
stato romano, come nel caso delle intraprese di un soldato romano e
cristiano che, in occasione di una sua promozione, rifiuta di cingere il
capo con una corona d'alloro che fa temere allo stesso Tertulliano,
montanista anch'egli, che possa venir meno tam bonam et tam longam
pacem, cioè un periodo di buone relazioni, di relazioni
amichevoli tra impero e cristiani. Siamo nel 211 e il clima di
pacificazione, almeno in Africa, che comunque per i natali
dell'imperatore è terra significativa per misurare lo stato delle
relazioni tra la comunità e le istituzioni, è ottima. L'anno seguente,
pur con grave disappunto di Tertulliano, a Cartagine in occasione
dell'assunzione all'impero del figlio di Settimio, Caracalla, o di
un'amnistia generale concessa per la morte di Geta, anche i cristiani di
Cartagine si associarono alla feste generali, apponendo festoni e
lucerne fuori dalle finestre e gli usci di casa, come qualsiasi altro
cittadino.
Se ci fu un editto, ma non ci fu, era certamente stato ritirato e,
ancora di più, l'atmosfera di cui si ha testimonianza è quella di
un'incredibile avvicinamento delle comunità cristiane ad alcune liturgie
pagane e civili, quando queste non entrino in aperta contraddizione con
il testo evangelico.
5. Considerazioni ultime e prolettiche
I salvataggi, i diretti interventi dell'imperatore, tutti
volti a sollevare dalle accuse e dai procedimenti punitivi elementi
della classe dirigente locale, oltre che testimoniare ancora una volta
la diffusione interclassista del movimento cristiano, offrono la
prospettiva di una nuova mentalità: l'imperatore solleva dalle accuse
dei cristiani regolarmente processati e denunciati. Sgombrato il campo
dalla sempre più improbabile emissione di un editto da parte di
Settimio, ci permettiamo di sottolineare un elemento del tutto nuovo
che, paradossalmente, renderebbe meno degna di incredulità la frase
dell'Historia Augusta in relazione a coloro che diventano
cristiani. Qui alcuni fatti locali potrebbero, cioè, rivelare una nuova
tendenza, ben più approfondita di quella tracciata dagli Antonini: il
fatto che in gran parte furono i catecumeni a fare le spese delle
iniziative del governatore d'Africa e dei prefetti d'Egitto e che
l'imperatore libera direttamente dei cristiani. Certamente il gran
numero di iniziati tra i martiri testimonia sia il succeso del
movimento, che è in fase espansiva quanto, secondo alcuni, il fatto che
ora si viene a formalizzare l'istituto del catecumenato e dovettero
affrontare questa nuova forma iniziatica anche i cristiani di vecchia
data, una sorta di nuova entrata, secondo nuove regole. Potrebbe però
essere legittimo pensare che l'azione locale, generalizzata dal
resoconto dell'Historia Augusta e dalle altre fonti del
IV secolo, si sia svolta, almeno sotto il profilo istituzionale,
tralasciando pogrom e azione dirette dei pagani, proprio contro il
proselitismo cristiano e non contro i cristiani tout cour.
Questo davvero sottile filo ipotetico potrebbe legarci davvero a
un'eventuale e sconosciuto provvedimento legalizzante verso le comunità
cristiane emesso tra Marco Aurelio e Settimio, quindi in epoca di
Commodo.
L'atteggiamento di Caracalla, Eliogabalo e soprattutto di Alessandro
Severo verso la comunità cristiana potrebbe essere più facilmente
comprensibile in base a questo ipotetico presupposto giuridico, del
quale non è traccia; traccia in Settimio e nei suoi diretti interventi,
oltre che in Commodo è di un atteggiamento ben più aperto, quasi
concordatario nei confronti delle comunità cristiana che si reitererà
nel resto della dinastia severiana.
(Ancora una volta fondamentali i
riferimenti all'opera di Marta Sordi, alle pagine 94 - 102, per la
stesura di queste righe. Rimandiamo alla bibliografia generale di
questi appunti per l'opera della studiosa).