La tolleranza di fatto nel dominato solare (270 -
285)
1. Sol e le
legioni
Già Gallieno era stato un adoratore di Sol, e quindi il primo
autentico provvedimento di legalizzazione dell'organizzazione
ecclesiastica fu emanato da un 'solariano'. Adoratori di Sol era stati
anche i Severi, che avevano praticato una politica tollerante nei
confronti della nuova religione orientale. Gli imperatori che seguirono
Gallieno, Claudio II, Aureliano, Quintilio, Probo e Caro, mantennero verso
il culto solare una aperta predilezione e non rinnegarono affatto il
provvedimento legalizzante di Gallieno. Anche sotto Diocleziano,
restauratore della tradizione capitolina e della religiosità arcaica,
molti dei suoi collaboratori, Costanzo Cloro e Massenzio tra quelli, non
si associarono al ritorno al passato e conservarono la preminenza del
culto solare, osteggiando la politica anticristiana del nuovo imperatore.
Questo legame tra culto solare e tolleranza verso i cristiani non è
certamente il prodotto di coincidenze.
Il governo e l'esperienza di Aureliano (271 - 275) sono emblematici di
questo legame.
Sappiamo che la madre di Aureliano praticava il sacerdozio a favore di Sol,
abbiamo notizia, inoltre, del fatto che giovanissimo entrò nell'esercito
illiriciano, dove il culto di Sol Invictus, l'emanazione solare
di Giove per le legioni, era diffusissimo tra i soldati. Sol invictus
era concepito come nume tutelare e protettore divino delle legioni
stanziate nell'illirico e sul Danubio: in una emanazione di Giove dai
tratti un po' particolari.
Già dal secolo precedente era diffusa l'ambizione e l'esigenza verso un
paganesimo riformato e rinnovato, una sorta di nuova moda pagana, votata
alla costruzione di un piano religiosamente sincretico tra i diversi culti
dell'impero; questa operazione culturale, in buona misura sponsorizzata
dagli Antonini (98 - 193), si basava su di una razionalistica e
intellettualistica interpretazione della tradizione religiosa pagana e
trovò il suo artefice e primo attore nella neo sofistica che affollava,
allora, i circoli imperiali.
2. L'imperatore e il divino
Nel terzo secolo qualcosa era cambiato: c'era stato il bolide di Emesa e
la sua divinità solare, si erano affermati i Severi (193 – 235) cioè, e si
era verificata la penetrazione e il successo nell'impero del culto iranico
di Mitra, anch'esso associato a una delle rappresentazioni di Sol,
soprattutto presso i soldati illiriciani. Si fece strada un sincretismo
pagano che oseremmo definire carismatico, che, cioè, si riferiva al corpo
dell'imperatore e alla sua associazione con il piano divino.
Caracalla, all'inizio del secolo, pensava a un isomorfismo fra il dominio
assoluto di Giove e il potere del principe, che se non camminava verso un
monoteismo pagano per qualche verso lo prefigurava: per un solo
imperatore, un solo Dio, insomma. Da Eliogabalo e Alessandro Severo in poi
(218 - 235) si introdusse nel rituale di corte il pluralis maiestatis
e la Adoratio del principe: il divino aleggiava intorno al dominus.
Attraverso il carisma imperiale, questo sincretismo tendenzialmente
monoteista si popolarizzò, poiché tutto si può negare ma non la presenza
carismatica del principe presso l'immaginario popolare. Le filosofie
stesse di scorta a questa idea sincretistica si 'democratizzarono e
volgarizzarono', iniziando a ottenere proseliti in mezzo agli strati
socialmente inferiori e subordinati delle popolazioni e soprattutto nella
truppa.
3. L'imperatore e il divino:
la tendenza al monoteismo
L'idea è abbastanza semplice: il divino sta dietro all'imperatore,
l'imperatore è la garanzia dell'unità dell'impero, tutte le deità presenti
e venerate nell'impero dovranno coordinarsi al comando di una deità
superiore e quella sarà la divinità protettrice del principe, in una
sintesi che ci sentiamo di definire neo – platonica, sotto il profilo
filosofico, e 'proto – autocratica', sotto l'aspetto politico. Alla
formalizzazione dell'istituto monarchico doveva accompagnarsi la tendenza
al monoteismo, coniugata con la precedente tradizione pagana e inclusiva
delle altre tradizioni religiose presenti nell'impero.
Si rafforzò, inoltre, in questo secolo, una escatologia pagana che, per
certi versi, assomigliava e, per altri, si opponeva radicalmente a quella
cristiana; si faceva avanti anche tra i pagani il problema della salvezza
e della storia o meglio dei destini della storia e la cultura e l'etica
pagane tendevano ad assumere gli aspetti viscerali di quelle cristiane.
Accomunava entrambi i fronti religiosi un'ansia intorno al significativo
della vita, all'inesplicabilità del dolore e della sofferenza, e al senso
del tempo e della storia. Il nuovo annuncio che caratterizzava l'ideologia
augustea, si doveva arricchire di nuovi significati e l'imperatore
diveniva non solo l'interprete e il protagonista dell'unità delle diverse
nazioni che componevano l'impero ma anche di questa tormentata etica.
Sotto i Severi e anche dopo di loro, la mediazione di queste escatologie
contrapposte poteva essere realizzata solo dall'impero, attraverso
l'associazione di una divinità imperiale al monarca, una sorta di summus
deus di derivazione platonica, ma ancora una volta volgarizzato.
4. Il dominato solare
La strada verso la definizione di questa somma deità fu lunga e originale,
passando per il culto tradizionale di sol invictus cui erano
consacrati gli eserciti, arricchendosi dei contenuti misterici e
sacrificali previsti dal culto di Mitra e giungendo a recuperare e
obliterare la divinità dinastica per eccellenza dei Severi, il bolide di
Emesa e, dunque, un'ulteriore emanazione solare. Sotto questo profilo,
squisitamente religioso, l'oriente e occidente pagano trovarono nuovi
terreni di confronto e l'esperienza dinastica dei Severi ricadde sul
presente degli imperatori illiriciani. Infine Aureliano e i suoi
successori si fregeranno del titolo più che significativo di Dominus
et Deus natus (“Signore e Dio per nascita”).
Ecco perché scriviamo di un dominato solare per loro.
L'epoca del dominato solare è l'epoca nella quale il summus deus
perde molte dei caratteri intellettualistici che aveva in epoca severiana
e acquisisce una facies popolare e mistica.
5. Cristo e il summus
deus
In questo contesto che relazione si delineava tra il culto del summus
deus, associato all'imperatore, e il dio dei cristiani? La
situazione sarebbe da dirsi ambigua poiché il dio sommo degli illirici,
sempre più identificato con una deità solare, era e si proponeva di essere
una divinità riassuntiva e, per certi versi, totalizzante; abbiamo usato
il termine 'riassuntiva' proprio perché il Sole degli imperatori illirici
(ma la religione solare ebbe fortuna oltre loro, Costantino, prima della
conversione al cristianesimo, la adottò) pretendeva di riassumere in sé
anche Cristo, o quanto meno i suoi principali attributi. Cristo era anche
rappresentato e definito come sol iustitiae, e quindi poteva
entrare a far parte degli attributi di sol. Dunque, più che un
piano di tolleranza religiosa si configurò un progetto di sussunzione
religiosa che ricorda i progetti in questo campo di Alessandro Severo.
Il miracolo politico di questo summus deus imperiale era proprio
nelle ambiguità e negli equivoci che lasciava volutamente aperti. Il culto
solariano rifiutava il paganesimo tradizionale e il suo fanatismo
liturgico, ma non lo censurava e ancora Aureliano rispettava l'aruspicina
e prendeva gli auspici; i solariani non imponevano una particolarità
liturgica e rifiutavano di ammettere la diversità cristiana che era
percepita come riassumibile nel culto supremo di sol. Si
affermava, così, un'indifferenza per le professioni di fede, fondata
sull'indiscutibile supremazia della divinità solare, che produsse, nella
concretezza storica, una tolleranza generalizzata in materia religiosa: il
culto della divinità solare avrebbe potuto essere adeguata anche a tutti
coloro che non lo praticavano attivamente e non doveva essere necessario e
imposto.
6. Assonanze teologiche e
liturgiche
Dal canto loro i Cristiani, scientemente o no, forse alcuni sì altri no,
caddero nell'equivoco, magari ribaltandolo, come nel caso di Cristo che
iniziò da quelli a essere descritto come Sol iustitiae, sole di
giustizia.
Ancora di più questo equivoco era approfondito dal fatto che il dies
solis (il giorno / festa del sole) dei solariani e dei pagani in
genere, corrispondeva perfettamente alla domenica cristiana. Era, dunque,
facile pensare per gli adepti di entrambe le confessioni che, in fondo, si
celebrasse la medesima festa, anche se in forme differenti. Dunque
l'emergere, nel pantheon pagano, dell'importanza di Sol non
allontanava, anzi, forse casualmente, avvicinava le due tradizioni
religiose.
Ma c'è di più. Il 25 dicembre i pagani celebravano il dies natalis
solis, cioè letteralmente il “giorno della nascita del Sole”; non
ci pare fuori di luogo ipotizzare che il calendario liturgico cristiano
abbia stabilito per quella data il natale di Cristo con una sicura
intenzione di obliterare la festa pagana, senza completamente negarla e
censurarla, anzi, invece, con il desiderio di simpatizzare con quella.
7. La perfetta legalità
della chiesa
Anche i cristiani, quindi, si resero partecipi del piano sincretico,
organizzato intorno alla religione solare rivisitata lungo il III secolo,
e che da Gallieno, fino anche alla prima fase del governo di Diocleziano,
cioè per quarantacinque anni, egemonizzò il contesto religioso
dell'impero. Per quasi mezzo secolo non si ha notizia di fenomeni
persecutori, ma indizi di un accresciuto proselitismo cristiano e di una
tranquillità giuridica assodata e consolidata. La chiesa era
un'istituzione perfettamente legale grazie all'editto di Gallieno, che non
era stato più revocato. Della penetrazione di cristiani nell'esercito
abbiamo più prove. Durante i primissimi tentativi anti cristiani di
Diocleziano, intorno al 297, l'imperatore è costretto a epurare la guardia
palatina nella quale militano numerosissimi cristiani; qualche anno prima,
un renitente alla leva, nell'Africa settentrionale, cercando di
giustificarsi davanti al tribunale, afferma che non può portare le armi in
ragione della sua fede, ma il magistrato lo tacita replicando che
moltissimi cristiani fanno parte dell'esercito e il disertore viene
condannato in quanto tale e non certo perché cristiano. Del completo
riconoscimento legale che aveva acquisito la chiesa è esemplare il caso
dell'arbitrato esercitato da Aureliano per dirimere la controversia sorta
nella comunità cristiana della Siria: l'imperatore interviene nella
questione e stabilisce che sia l'autorità del vescovo di Roma a decidere
del contenzioso. La chiesa, quindi, non solo usufruisce del probivirato
imperiale ma gode del riconoscimento legale delle sue gerarchie nel campo
del diritto privato: la questione sorta ad Antiochia tra il
vescovo Donno e l'anti vescovo Paolo era, sotto il profilo strettamente
legale, una questione di usufrutto del patrimonio e dei beni immobili
della comunità e l'imperatore si guarda bene dall'affrontare le
questioni dogmatiche che erano dietro alla controversia legale. Il
diritto di appello alla chiesa romana, che l'imperatore riconosce nella
sua sentenza, fa, però, indirettamente riferimento alla gerarchia
cattolica e quindi al testo evangelico.
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