1. Il documento superstite
Notizia originale e documentazione del provvedimento di
Caracalla emesso nel 212 ci è giunta solo attraverso un frammento
papiraceo di un testo greco ora conservato nel Museo di Giessen in
Germania (Papiro di Giessen, 40,1). Quindi la fonte primaria è lacunosa
e inoltre breve.
Nella trascrizione latina leggiamo: Imperator
Caesar Marcus Aurelius Severus Antoninus Augustus dicit: nunc vero
[....] potius oportet querellis et libellis sublatis quaerere
quomodo diis immortalibus gratias agam, quod ista victoria [...] me
servaverunt. Itaque existimo sic magnifice et religiose maiestatis
eorum satisfacere me posse, si peregrinos, quotienscumque in meorum
hominum numerum ingressi sint, civitatem romanorum, exceptis
dediticiis. Oportet enim multitudinem non solum omnia [....] sed
etiam victoria circumcingi. Praeterea hoc edictum augebit maiestatem
populi romanorum cum facta sit eadem aliorum [peregrinorum] dignitas
[....]. Dopo i caratteri sono così frammentari da rendere
impossibile qualsiasi integrazione e interpretazione. Fondamentali
sono, in verità, le interpretazioni, notizie e informazioni sul
decreto che si hanno in Cassio Dione, Agostino, Sidonio Apollinare,
Prudenzio e Ulpiano, mentre è abbastanza singolare il fatto che la Historia
Augusta non faccia menzione della constitutio. Tranne
quella di Dione (prima metà del III secolo), sono tutte informazioni
di due secoli posteriori e in buona parte elaborate in ambiente
cristiano.
Per di più, secondo alcune interpretazioni, il papiro è una silloge di
tre diversi documenti, uno edito nel 211, un secondo nel 212 e infine
un terzo del 215. Persino la discussa eccezione stabilita dall'exceptis
dediticiis è da alcuni integrata in maniera diversa in addediticiis
che cambierebbe radicalmente il senso dell'esclusione.
In ogni caso tutte le notizie indirette, inclusa quella quasi
contemporanea di Cassio Dione, concordano sul fatto che il contenuto
autentico della costitutio fu una generalizzata estensione
dei diritti di cittadinanza romana.
2. I precedenti del documento
Roma, già nella fase repubblicana, tendeva a concedere la
cittadinanza romana alle popolazioni e tribù che entravano a fare parte
della sua amministrazione, emblematica la progressiva estensione
geografica dei diritti di cittadinanza realizzata da Cesare e poi da
Ottaviano a favore delle popolazioni della Gallia cisalpina. In altri
casi lasciava sopravvivere le preesistenti civitates, divenute
foederate, che mantenevano autonomia amministrativa e giuridica
e la facoltà di applicare il loro diritto 'nazionale', acquisendo, però,
di converso obblighi verso il senato e l'imperatore e venendo così
inquadrate, in posizione autonoma ma subordinata, nel più generale
diritto romano. Roma e l'impero si comportarono più spesso come
un'immensa confederazione intertribale che non come un'istituzione
monolitica e centralizzata. La progressiva estensione del diritto di
cittadinanza, accompagnata da una contaminazione con i diritti locali e
tradizionali precedenti è testimoniata per l'epoca di Adriano
(soprattutto l'Africa) e per quello di Marco Aurelio (soprattutto
l'Africa e l'oriente), con editti tesi a concedere cittadinanza secondo
maglie ristrette e selettive a ben individuate famiglie e soggetti
sociali delle province.
Non bisogna, inoltre, dimenticare quanto la
milizia dentro l'esercito abbia contribuito a realizzare questa
estensione del diritto di cittadinanza secondo maglie selettive
estremamente qualificanti.
Ci troviamo, però, di fronte a maglie selettive non solo nella
estensione geografica, ma nella sfera di applicazione del diritto:
spesso, ad esempio, ai nuovi fruitori del diritto di cittadinanza non
era concessa la patria potestas, lo ius liberorum,
le stesse facoltà testamentarie comuni agli altri cittadini mentre
subivano limitazioni nei diritti economici. Il mosaico era variegato
geograficamente e socialmente: in una medesima civitas non
tutti i cittadini avevano i medesimi diritti e la situazione di partenza
differenziava una civitas da un'altra.
3. La fortuna della constitutio
Alla fine del II secolo, probabilmente, il diritto di
cittadinanza era assodato in Italia, diffussissimo nelle Gallie, diffuso
in Africa, più raro in Egitto e nell'area orientale dell'impero dove,
però, il diritto romano, al quale erano sottoposti i cives,
era fortemente influenzato dal diritto locale ed ellenistico al quale
tendeva ad assimilarsi. In un contesto simile la Constitutio
Antoniniana non fu percepita come un atto rivoluzionario ma come
la registrazione di una situazione esistente; potrebbe, così, spiegarsi
il fatto che i redattori dell'Historia Augusta abbiamo ignorato
il provvedimento, considerandolo una semplice e inifluente
risistemazione della legislazione in materia.
Secondo la nostra ipotesi, la constitutio subì un processo di
rivalutazione e rivisitazione storica e politica nel IV secolo per due
motivi: la mutazione della relazione con l'esterno, con il non - romano,
il 'barbaro', e l'affermazione della mentalità ecumenica cristiana.
Questi due ordini causali non sono slegati tra loro.
La constitutio in quel nuovo contesto, soprattutto per il
superstite alla nostra conoscenza ' ... peregrinos, quotienscumque in meorum hominum numerum
ingressi sint, civitatem romanorum, ... ',
offriva la possibilità di sviluppare un nuovo paradigma legislativo.
Fino al II secolo il problema internazionale dell'impero era stato
quello di assimilare nuove etnie, integrandole nell'impero e inserendole
dentro i confini, che si allargavano. Roma perseguì una programmazione
della conquista e dell'assimilazione etnica, linguistica e
dell'inclusione giuridica e religiosa.
Durante il III secolo e ancora di più nel IV secolo la situazione cambia
abbastanza radicalmente. Si verificano significative intromissioni di
popolazioni germaniche e slave dentro i confini dell'impero (Goti e
Sarmati nel IV secolo, Franchi, Vandali, Burgundi, Svevi, e popolazioni
mongoliche, oltre che nuovamente slavi e Goti nel V) che fornivano nuove
risorse fiscali, agricole e militari. La necessità di includere queste
nuovi contributi, spesso concordati, altre volte subiti, determinò una
necessità di semplificare, almeno nell'apparato ideologico, la questione
del diritto di cittadinanza, fino al punto che Ulpiano scrive, ormai in
epoca protobizantina e nel VI secolo, che
"coloro che abitano nel mondo romano, in base alla costituzione
dell'Imperatore Antonino sono stati resi cittadini romani.". L'idea di
Ulpiano è certamente coerente con il testo frammentario del
provvedimento di Caracalla quando afferma "accordo a tutti gli abitanti dell'Impero la
cittadinanza romana e nessuno rimanga fuori da una civitas,
ad eccezione dei dediticii" ma certamente introduce una
forzatura. Il diritto romano del II e III secolo prevedeva delle
gradienze nell'estensione e nella fruizione concreta del diritto e
la questione non si risolveva solo nella possibilità di portare i
tre nomi, quanto anche a diverse potenzialità nei diritti civili,
nel diritto di famiglia e nelle facoltà di fare testamento e
istituiva delle categorie precise tra i portatori di diritti di
cittadinanza. La cittadinanza, cioè, non si estendeva meccanicamente
e per qualche particolare aspetto giuridico i cives
potevano fare riferimento o erano ancora vincolati al loro diritto
'nazionale' e pre - romano.
La teoria giuridica della tarda latinità punta a una maggiore
omologazione e una più semplice e immediata assimilazione dei
soggetti estranei all'impero e ad interpretare in tal senso
Caracalla.
Il testo della costituzione, inoltre, denuncia insieme
con un carattere di riordino amministrativo, che è quello di evitare
numerosi ricorsi al sovrano per questioni riguardanti il possesso del
diritto di cittadinanza (..querellis
et libellis sublatis quaerere ...), un motivo
di carattere religioso, ovvero assimilare nel culto e nella venerazione
dei popoli dell'impero le tradizionali e le nuove divinità introdotte
nel Pantheon romano da ogni provincia ( ... quomodo diis immortalibus gratias agam
...) in nome del sincretismo religioso, già
evidenziato in Caracalla in altre parti di questi appunti.
Questo può spiegare l'entusiasmo con cui gli autori cristiani del V e VI
secolo ricordano l'editto: in un impero divenuto cristiano e che ora
basava sul cristianesimo il suo spirito ecumenico, la constitutio
di Caracalla rappresentava un notevole precedente storico e la prova di
un disegno divino realizzato nella storia. Per di più questo precedente
si coniugava perfettamente con la recente identificazione tra romano,
cittadino e cristiano in contrapposizione con un mondo non romano, peregrino
e pagano. L'omologazione passava ora, al contrario che per il tempo di
Caracalla, non attraverso un'inclusione ma una conversione
religiosa e un'interpretazione universalistica e semplificata
dell'editto era perfettamente funzionale a quest'impianto ideologico.
La grandezza della costitutio antoniniana fu determinata,
quindi, dalla storiografia posteriore più che dalla concreta
applicazione dell'editto che, forse, fu davvero impercettibile ai
contemporanei.
4. Gli esclusi della constitutio
La constitutio antoniniana sembra essere
e, probabilmente, è un’estensione generalizzata del diritto di
cittadinanza a tutti i liberi dell’impero, o meglio una dichiarazione di
principio che ufficializza lo status di cives per
tutti coloro che ne godevano, a diverso titolo e secondo diverse
gradienze. Caracalla intende porre fine all'estrema confusione e
imprecisione in materia che provocava continue denunce, rimostranze,
ricorsi (querellis) e un via vai di documentazione (libellis).
Dal testo greco, purtroppo lacunoso in più parti, della legge si ricava
che Caracalla ha davvero concesso o ufficializzato a tutti coloro che
sono nel mondo romano la cittadinanza romana, ma introduce un eccezione,
egli scrive, infatti, secondo l'integrazione più accredita, exceptis dediticiis,
eccezion fatta per i deditici, vale a dire,
letteralmente, per coloro e gli eredi e i discendenti di coloro che si
erano arresi alla conquista, donandosi nel corpo e nelle proprietà, ai
Romani.
L’ampiezza di questo esclusione non è chiara; bisogna pensare solo ai deditici
barbari, limitanei, oppure anche a quelli che vivevano nel cuore
dell’impero (Egizi, parte dei Galli, parte degli indigeni della
Mauretania)?.
Nel primo caso si sarebbe trattato di
poche ‘frange’ davvero insignificanti numericamente, mentre nel
secondo l’esclusione sarebbe quantitativamente più importante e
riguarderebbe una porzione discreta di quella rusticana plebs
scarsamente latinizzata che continuava a pagare l’imposta di capitazione
riservata ai non cittadini.
E’ probabile che in alcuni aree, in verità, l’estensione del diritto di
cittadinanza subì delle notevoli limitazioni e per questo aiutano
documenti di molto posteriori (IV e V secolo); in primis l’Egitto, dove
lo statuto speciale della Provincia, terra imperiale per eccellenza,
rende notevole l’eccezione e fa in modo che si mantenga fortissima e
diffusa la distinzione tra Romani (Greci) ed Egizi. Procedendo verso
occidente sacche di deditici sono segnalate in Cirenaica e poi
in Mauretania.
Salendo a nord troviamo deditici et laeti in Gallia,
soprattutto nella Gallia Belgica e nella Gallia Lugdunense, soprattutto,
qui, nella sua porzione nord occidentale, l’Armoricana e cioè l’attuale
Bretagna. Infine, nella penisola Balcanica, abbiamo gruppi di non
cives, soprattutto in Tracia.
Da dove origina questa esclusione e che connotati ha? L'origine
tradizionale e primigenia è certamente da ricercarsi nell'atteggiamento
assunto da questi gruppi e lignaggi all'atto della conquista, un rifiuto
e una resistenza alla quale fece seguito una rovinosa resa: il termine
spiega questo. Questa resa venne registrata giuridicamente e questo
complesso etnico, linguistico e sociale mantenne la sua individualità,
non entrando a far parte della civitas. Il persistere della
discriminazione nasce sicuramente dall’incapacità, da parte di questi
gruppi sociali (intendiamo anche intere comunità, vecchi agglomerati
tribali, interi paesi e comunità agricole) di acquisire la civitas
greco romana e, innanzitutto, la lingua: latinizzarsi in occidente,
ellenizzarsi in oriente. Questa incapacità, a volte, origina da un
rifiuto, soprattutto per il caso delle Gallie e dell’Egitto. Dunque,
all’interno dell’impero ci sono gruppi che mantengono la loro
‘tradizione linguistica e culturale’.
Solitamente questi gruppi compongono, a pelle di leopardo, buona parte,
forse la maggioranza, della rusticana plebs. L’acquisizione
della cittadinanza rimarrà per quelli legata ancora alla capacità di
riscatto culturale individuale o alla decisione di un’intera comunità di
‘convertirsi’ alla cultura romana o greca.
Il romano, il cittadino romano equipara, ma non confonde, questo stato
di indipendenza con lo stato dei barbari. Il dediticio è posto
e si pone al di fuori del mondo romano, pur facendone poi parte (gli auxilia
sono in buona parte formati da loro).
5. Gli inclusi
Sicuramente la constitutio ebbe, però, il
significato, per tutte le comunità e i gruppi fortemente latinizzati ed
ellenizzati, di introdurre uno strumento collettivo, e non più, come
prima, individuale per l’acquisizione della cittadinanza, secondo
un'estensione sul modello epidemico, secondo affinità e vicinanze. C’è
da credere che oriente greco, Grecia stessa, illiriciano, Hispania e
Africa abbiano goduto profondamente del provvedimento di Caracalla.
Infine un’ultima riflessione: scopriamo, attraverso la vicenda dei deditici,
un’immagine dell’impero anche come complesso coordinato, confederazione
di comunità, culture diverse, lingue diverse.
La cultura, il diritto romano (i deditici, i laeti e
i peregrini a quanto pare vivono nel loro diritto particolare)
sono gli strumenti di una ‘emancipazione sociale e civile’ che porta le
singole comunità, dotate di un loro particolare diritto ad abbandonarlo
ed a omologarsi a quello ‘comune e generale’ che è quello romano.
Se le comunità e/o i gruppi sociali resistono e rifiutano e, comunque,
si manifesta l’impossibilità di questo ‘salto culturale’ rimarrà a
ciascuno dei suoi componenti, che ne sia interessato, la via della
emancipazione individuale attraverso la milizia nell’esercito,
l’emigrazione in città e via discorrendo. Ma sempre, si badi bene,
questa emancipazione avverrà, in questi ultimi casi, attraverso
l’abbandono della comunità e/o gruppo sociale di origine.
Sotto molteplici punti di vista, la Constitutio Antoniniana,
che riempirà di Aureli e Antonini il mondo romano, poichè i nuovi
cittadini e i 'cittadini rettificati' assunsero uno dei cognomen
dell'imperatore, è il portato giuridico dell’impero universalista del
secolo precedente e della sua ‘filantropia’ dove il raggio di azione di
quella rimane limitato al mondo etico, linguistico e religioso romano.
6. La Constitutio Antoniniana e il diritto tributario
Gli storici di parte senatoria, che non nutrono troppo grandi simpatie
verso Caracalla, interpretano l’estensione del diritto di cittadinanza
come un escamotage fiscale. Dione Cassio, di poco
posteriore all'emissione dell'editto, lo giudica in tal senso. I cives,
infatti, erano soggetti al pagamento dell’annona che era una tassa in
natura e, dunque, colpiva i produttori agricoli, al contrario i non cives,
i deditici, pagavano la capitazione, il tributum capitis,
sulla cui natura esistono molti dubbi.
In effetti Caracalla rafforzò una mentalità fiscale, che avrà fortuna
durante tutto il terzo secolo, secondo la quale ad essere oggetto
dell’annona non sono le personae (le singole figure
giuridiche, i cives) ma le res (i beni).
Nasce un concetto che, modernamente, potrebbe essere detto di
‘imponibile fiscale’. Ogni quota di beni e di prodotti,
indipendentemente da chi li produca, vanno consegnati allo stato. Il
grande produttore ha, sicuramente, una responsabilità fiscale maggiore
(di qui la lamentela di Cassio Dione sul fatto i grandi proprietari
erano costretti a dare anche ciò che nei loro campi non veniva
coltivato). Insomma viene fuori un concetto di ‘imponibile collettivo’,
inerente le singole comunità agricole, del quale il massimo
rappresentante è il grande proprietario in quelle.
Senza essere presi troppo alla lettera lo stato di Caracalla, e in tutti
quelli che lo seguiranno al principato in quel secolo (fino a
Diocleziano), esercita una specie di ‘socialismo fiscale agrario’.
Sotto questo profilo può in parte essere accettata la tesi secondo la
quale la constitutio fu un atto demagogico e di affermazione
del dispotismo autocratico del principato imperiale, in base al quale
tutti gli abitanti dell'impero erano omologati e assimilati
giuridicamente di fronte a un apparato statale fondato autocraticamante.
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