Caracalla, Eliogabalo e il cristianesimo

1. Caracalla: il contesto

Dopo la scomparsa del fondatore della dinastia, Settimio Severo, nel 212, l'atteggiamento sostanzialmente favorevole verso il cristianesimo  fu condiviso dai suoi successori, anzi si approfondì. Importantissimi per questo periodo che va dal 212 fino al 222 e che poi prosegue sotto Alessandro Severo fino all'usurpazione di Massimino il Trace (235), sono l'influenza del vescovo di Roma sulla corte, provata, e anche il fascino e il credito che alcune scuole teologiche orientali esercitarono sulla famiglia imperiale e non solo. In oriente Origene aveva libero accesso alla scuola teologica di Alessandria, riaperta dopo i torbidi del 202 / 203, e andava e veniva liberamente dall'Egitto alla provincia d'Arabia, addirittura sollecitato dal legato romano di quest'ultima provincia.
Illuminanti di questa temperie due episodi ascrivibili al periodo di Caracalla. Nel 215 il legato della provincia d'Arabia richiese la presenza presso di sé del filosofo e non solo consultò in proposito il prefetto d'Egitto, che aveva la responsabilità del governo di Alessandria dove Origene risiedeva, ma anche il vescovo di Alessandria. L'anno seguente si svolse in Africa un concilio pubblico della chiesa locale al quale parteciparono settanta vescovi. I due fatti dimostrano che non solo la chiesa araba ed egiziana avevano facoltà di riunirsi ma che gli amministratori locali conoscevano e rispettavano le competenze gerarchiche di quella organizzazione.

2. Caracalla: monoteismo e autocrazia

Caracalla si orientò decisamente verso un approccio monoteista nella questione religiosa, convinto che la rappresentazione teologica avesse uno stretto legame con quella politica e istituzionale e che, quindi, l'individuazione di una divinità superiore a tutte le altre sarebbe stata coessenziale alla determinazione di un governo univoco e autocratico sugli uomini. Per Caracalla la monarchia assoluta si associava necessariamente al monoteismo e in questo senso iniziò a teorizzare l'istituzione di un summus deus che era da lui identificato con sol nella versione venerata presso le legioni, soprattutto balcaniche. Il privilegio di una divinità pagana non pone il principe in contrapposizione con il cristianesimo che, anzi, proprio per la sua teologia monoteista appare interessante e affascinante; al contempo Caracalla cerca di rifondare l'istituto religioso pagano, facendo riferimento alle novità dell'oriente, vale a dire il cristianesimo, l'ebraismo e certe nuove tendenze pagane (culti solari, esoterici ed ermetici) ma mantenendosi nel solco della tradizione poiché sol rimaneva pur sempre una divinità riconosciuta nel pantheon pagano. Caracalla come prima di lui, embrionalmente, Settimio e dopo di lui più audacemente Alessandro Severo cercò di rinforzare, su nuove basi, il tradizionale inclusivismo del paganesimo romano: costituire una grande divinità, un summus deus appunto, che esercitasse autorevole coordinamento di tutte le deità che venivano venerate all'interno dei confini dell'impero. L'operazione ideologica del secondo dinasta severiano è importantissima per comprendere quanto, ormai, la consueta immagine del primus inter pares riferita all'augusto fosse scomoda e inadatta a rappresentare le nuove forme assunte dal principato e quanto, dunque, fosse necessaria una rifondazione dell'ideologia del potere imperiale, rifondazione che per le grammatiche dell'epoca doveva portare con sé una nuova facies religiosa. Caracalla, con cifre pagane e rimanendo disposto sul versante pagano, anticipò per molti aspetti la realizzazione ideologica di Costantino.

3. Caracalla: tensioni locali

Ciononostante anche durante il suo governo si verificarono alcuni episodi che possono essere detti persecutori, secondo un fenomeno ormai endemico. Furono episodi rigorosamente circoscritti ad alcune realtà locali, segnatamente africane e non sono mai stati annoverati tra le prove di una persecuzione generalizzata sotto Caracalla.
Da Tertulliano abbiamo notizia di alcune azioni discriminatorie dentro l'esercito, in una legione di stanza nell'Africa proconsolare, e di imprese persecutorie intentate dal governatore della Mauritania. Potrebbe, in verità, trattarsi delle conseguenze, piuttosto lievi, della grande ondata di indignazione che aveva percorso l'area sotto Settimio Severo in seguito al rifiuto dei cristiani di onorare il genetliaco dell'imperatore, che, ricordiamo, era originario della regione, e alla provocazione offerta da un legionario cristiano (probabilmente montanista) che aveva contestato degli onori militari attribuitigli. I timori panici dei pagani e l'eccesso di zelo di alcuni amministratori locali furono, ancora una volta, alla base di questi fenomeni e non una disposizione generale e tantomeno un provvedimento di legge specifico.

4. Eliogabalo

Per valutare molti aspetti del governo di Eliogabalo è necessario tenere conto del fatto che fu intronizzato ad appena quattordici anni e fu l'emblema negativo del princeps puer contro il quale si scaglia spesso la storiografia senatoria attraverso l'Historia Augusta. La giovane età e certe originalità nel carattere ebbero sicuri effetti sul comportamento politico di Eliogabalo, soprattutto in campo religioso; Eliogabalo, inoltre, era giunto a Roma, nel 219, non solo come imperatore ma come sacerdote massimo del bolide di Emesa, emanazione solare, e a questa investitura liturgica doveva il suo soprannome. Dopo la parentesi tradizionalista del breve governo di Opelio Macrino (217 / 218), il nuovo principe riprese il solco di rinnovamento inaugurato dalla dinastia alla quale apparteneva, secondo linee spesso sconvolgenti e disorientanti.
Si unì in matrimonio con una sacerdotessa di Vesta e oscillò spesso tra il fanatismo ascetico e atteggiamenti assolutamente licenziosi. Nonostante tutto scopriamo che la sacerdotessa sposata, in spregio a qualsiasi tradizione pagana, era interessata alla letture di opere cristiane e quindi abbiamo testimonianza di una larghissima diffusione della cultura cristiana anche nei settori più tradizionalisti della capitale e che, probabilmente, la scelta matrimoniale di Eliogabalo va inquadrata in una prospettiva non solo sacrilega. Più leggibile la decisione, tramandata dall'Historia Augusta, di costruire un nuovo tempio sul colle Palatino dedicato alla divinità solare di Emesa, dentro il quale avrebbero avuto diritto di rappresentanza i simboli del cristianesimo. Il sincretismo progettato da Caracalla trovava in Eliogabalo una versione depotenziata e sregolata, poiché sottoposto all'autorità di un'emanazione solare recente ed orientale. Ancor più che per il periodo di Caracalla non abbiamo notizia alcuna di episodi persecutori nè al centro nè in periferia per Eliogabalo.

5. Eliogabalo: eloquenti tumulti romani

La fine di Eliogabalo c'entra ben poco con le sue simpatie per il cristianesimo: il giovane imperatore fu assassinato al termine di una ammutinamento di pretoriani seguito da un'insurrezione popolare a Roma. Gli artefici della sua detronizzazione violenta furono quasi certamente la vedova di Settimio e madre di Caracalla, Iulia Domna, Iulia Mesa e Iulia Mamea, tutte esponenti della famiglia severiana e tutte molto vicine al sincretismo proposto da Caracalla prima e Eliogabalo poi, quando non apertamente simpatizzanti per il cristianesimo. La dinamica dell'insurrezione e, per così dire, la scena del crimine inducono, però, qualche interessante  e ulteriore riflessione sulla politica religiosa del giovanissimo autocrate severiano.
Nel marzo 222, infatti, la madre di Eliogabalo (Iulia Soemia) e l'imperatore medesimo furono uccisi con una furia notevole, i loro corpi trascinati per tutta Roma e immersi nelle fogne secondo una crisi di violenza che riporta  alla memoria la rivolta del 189 contro il liberto Cleandro e il suo monopolio dei grani.

Abbiamo, inoltre, notizia del fatto che a Roma proprio in quell'anno, nel corso di un tumulto popolare furono giustiziati sommariamente Callisto, il vescovo della comunità, e due sacerdoti strettamente legati a lui. Callisto, Calepodio e Asclepiade (questi i nomi dei due presbiteri) subirono una morte estremamente simile a quella riservata all'imperatore: i loro corpi furono trascinati per le vie di Roma e poi gettati nel Tevere mentre Callisto fu defenestrato dal suo appartamento, gettato in un pozzo e lapidato.
La seconda 'scena del crimine' porta a sospettare che il crimine sia stato lo stesso: il martirio che subiscono i tre cristiani non ha nulla che possa essere riferito alle normali pratiche persecutorie. Inoltre si inferisce dalle fonti che a Roma, in quell'anno, non vi fu persecuzione alcuna e che, soprattutto, il nuovo principe appena intronizzato, Alessandro Severo, nutrirà nei confronti dei cristiani le medesime simpatie del cugino appena eliminato.
Callisto, il vescovo di Roma, era un uomo con una lunghissima esperienza imprenditoriale alle spalle, specificamente bancaria, sempre intento a ricercare finanziatori tra nobildonne e liberti imperiali che, se non direttamente cristiani, avevano un occhio di riguardo verso la nova superstitio e forse anche verso le attività creditizie che si erano sviluppate collateralmente a questa 'setta'; fin dai tempi di Commodo, ancor prima di diventare papa, Callisto aveva avuto modo di frequentare indirettamente e contattare gli ambienti di corte, queste frequentazioni e relazioni divennero probabilmente ancora più strette durante il governo di Eliogabalo. In verità Callisto, con la sua biografia, testimonia una nuova forma di intervento della chiesa dentro la società: la comunità cristiana diventa un soggetto economico di una certa rilevanza e istituisce una diretta relazione con gli imperatori della dinastia severiana.
Callisto, Calepodio e Asclepiade subirono gli effetti della rivolta contro Eliogabalo ma non per il fatto di essere cristiani ma di essere amici dell'imperatore appena deposto; insomma rimasero coinvolti nel flusso di epurazioni sommarie, spesso pretestuose e  operate con strumenti plebei, contro gli intimi del giovane principe che non si erano ancora decisi ad abbandonarlo e verso coloro che secondo chissà quali argomentazioni venivano ritenuti suoi collaboratori e 'alleati'.


Ancora una volta fondamentali i riferimenti all'opera di Marta Sordi, alle pagine 105 - 107, per la stesura di queste righe. Rimandiamo alla bibliografia generale di questi appunti per l'opera della studiosa).

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